Negli ultimi anni nelle Università degli USA si stanno verificando dei casi di suicidio degli studenti che hanno sempre avuto un ottimo rendimento e che preoccupano enormemente tutti i genitori americani.
Tutti i ragazzi che hanno seguito questo tragico evento hanno palesato tutti i sintomi derivante da una forte depressione dovuta all’incapacità di tenere un alto rendimento scolastico quanto quello dimostrato al liceo.
Ma come mai il cambiamento del tipo di scuola manda in crisi i ragazzi sino a spingerli ad un gesto tanto estremo?
Dobbiamo tener conto del fatto che tali ragazzi vengono tutti dal liceo con profitti scolastici oltre la media se non ottimi, resa dovuta sia per la maggiore facilità dei compiti richiesti dal liceo, i minori impegni a cui sono esposti, la vicinanza di casa e della famiglia luogo molto rassicurante e rasserenante ogni volta che c’è una difficoltà.
Essi si ritrovano d’un tratto catapultati in una realtà che non sanno affrontare e completamente soli, lontano da casa pertanto lontano dal sostegno dei famigliari, con lezioni impegnative e molto assillati (comprovato il fatto che le Università americane richiedano maggior impegno per compiti sempre più impegnativi e non solo di tipo scolastico in quanto è richiesta, per mantenere una buona media, una valida ed efficiente attività post-scolastica di tipo sportivo o comunque dedita al sociale o alla cultura) il ritmo di lavoro viene a raddoppiarsi e non sempre i risultati sono alti quanto quelli prodotti al liceo.
Questo aumento delle difficoltà unito ad un mancato riscontro dei risultati comporta per i giovani universitari americani la crescita di sentimenti di inadeguatezza e di incapacità mai provati prima, oltre al fatto di sentirsi soli in un ambiente che diventa sempre più ostile.
Rischiano così di diventare troppo stressati, a non sentirsi adeguati e vedersi sminuire di fronte ad altri che invece hanno maggiori capacità di resistenza, ciò innesca delle reazioni depressive che spesso non riescono a risolvere da soli trasformando tale condizione da semplice disagio transitorio ad una vera e propria malattia di tipo grave con conseguenze devastanti.
La competizione nell’ambito universitario tra i ragazzi è talmente alta che spesso chi soffre di tale sentimento di inadeguatezza ha difficoltà a parlarle anche con gli amici più cari per paura di essere ridicolizzato, emarginato o peggio ancora essere sottovalutato nelle sue capacità e pertanto tenuto fuori dal gruppo dei migliori.
Ha difficoltà inoltre a parlarne con la famiglia che lontana si potrebbe preoccupare, inoltre c’è anche il timore di non voler deludere le aspettative dei genitori visti i risultati scolastici comprovati durante il liceo.
Pure il New York Times si è occupato di tale circostanza che vede un aumento esponenziale delle vittime che non reggono i ritmi stressanti e si è interrogato sul preoccupante fenomeno che, con un lento ma costante incremento si registra nelle università del Nord America: la drammatica decisione di ragazzi che, sotto la pressione di un sistema scolastico, sociale e familiare (spesso tutte e tre le cose insieme), decidono di togliersi la vita.
A partire dal 2007, nella fascia d’età 15-24 anni, i suicidi sono passati dai 9.6 per 100mila persone agli 11.1 del 2013.
Un sondaggio nazionale effettuato l’anno scorso da Robert P. Gallagher dell’Università di Pittsburgh, e sponsorizzato dall’American College Counseling Association(ACCA), cioè l’associazione Americana che si occupa del sostegno psicologico per gli studenti universitari, ha rivelato che più della metà degli studenti interrogati ha problemi psicologici, con un incremento del 13 percento avvenuto nel giro di due anni.
Stando a quanto riportato dal Center for Collegiate Mental Health di Penn State, ansia e depressione (in questo ordine) sono oggi i disturbi psicologici più diffusi tra gli studenti.
Un caso emblematico è stato registrato dell’Università di Pennsylvania, una delle università più prestigiose degli Stati Uniti, facente parte della cosiddetta Ivy League, cioè la rosa delle otto università Americane che si distinguono per eccellenza accademica, prestigio e selettività, tra cui figurano anche Harvard e Yale, nella cui sede nel giro di 13 mesi ben 6 studenti si sono tolti la vita.
Un numero elevatissimo di suicidi che non può essere ricondotto ad una mera sventurata eventualità.
Dopo il suicidio di una studentessa, l’università ha creato una task force per esaminare il problema della salute mentale nel campus.
Nel loro report finale, pubblicato quest’anno, è emersa la necessità di potenziare la sensibilizzazione al problema, nonché di rinforzare i servizi di assistenza (in questa direzione è stata introdotta un’apposita linea telefonica).
Un aspetto chiave da combattere, stando a quanto emerso dall’indagine, è il fenomeno della così detta Penn Face (cioè la faccia da tenere a Penn, abbreviazione di Università di Pennsylvania), questo fenomeno si riferisce ad una strategia sociale adottata dagli studenti: quella di mostrarsi felici anche quando si è tristi o stressati, pur di nascondere il loro disagio e non essere additati come incapaci, inetti per la paura di essere quindi emarginati o derisi.
L’articolo del New York Times sottolinea come, nonostante la definizione Penn Face si applichi a quella particolare università, il fenomeno che designa è tristemente diffuso anche altrove.
All’Università di Stanford, in California, un’altra delle più celebri e prestigiose università statunitensi, il fenomeno si chiama Duck Syndrome (cioè la sindrome dell’anatra), e designa l’ideale di perfezione rincorso da molti studenti che si compone di intelligenza, traguardi, salute, bellezza e popolarità – il tutto idealmente raggiunto senza mostrare alcuno sforzo.
L’esempio dell’anatra è stato usato per la sua tecnica particolare di nuoto o stabilizzazione mentre sta nell’acqua: guardandola da fuori appare calma e tranquilla sulla superficie, mentre sott’acqua agita fortemente le zampette senza sosta per mantenere la posizione e la stabilità.
Nessuno guardandola da lontano direbbe che fa tanta fatica per rimanere immobile e a galla, così come gli studenti universitari hanno questa mania di non voler palesare difficoltà, momenti di crisi e di tensione, creando le condizioni favorevoli per uno stato depressivo.
«Nessuno vuole essere quello che fa fatica mentre tutti gli altri ce la fanno. Nonostante tutto quello che ti succede – lo stress, qualche accenno di depressione, la sensazione di sentirsi “sovraccaricato” – tu vuoi metterci davanti una facciata di positività», dice uno studente di Penn al giornale.
Il menzionato report descrive come gli studenti provino «un’enorme pressione che può manifestarsi come demoralizzazione, alienazione o come condizione psicologica quali ansia e depressione».
Il Dr. Anthony L. Rostain, psichiatra di facoltà a Penn, spiega che la vergogna – frutto del fatto di non sentirsi bravi abbastanza e all’altezza di ogni prestazione – è il sentimento dominante del drammatico processo.
«Non è che uno non stia facendo bene. Ma è quella sensazione del dirsi “non sono bravo”. Invece che pensare “ho sbagliato in qualcosa”, questi studenti pensano “sono un fallimento”», dice lo psichiatra.
L’articolo del New York Times continua spiegando che questo aspetto culturale dell’America, definito “iper-realizzazione”, è già combattuto da un decennio, ma il recente tasso di suicidi ha riacceso di recente il dibattito.
Un titolo dell’Huffington Post, a Marzo, citava: «Nel nome del College! Cosa stiamo facendo ai nostri figli?».
L’articolo prosegue affermando che «queste dinamiche culturali di perfezionismo ed eccessiva indulgenza hanno creato degli adolescenti ultra-concentrati sul successo, ma che non sanno come fallire».
Alcuni ricercatori puntano il dito contro le aspettative dei genitori, come ad esempio la famosa psicologa Alice Miller (autrice del libro Il Dramma del Bambino Dotato, 1979, tradotto in più di 30 lingue), che spiega come alcuni bambini molto sensibili possano essere così soggetti alle aspettative dei genitori da voler fare di tutto per soddisfare quelle aspettative – a costo di pagare il prezzo della loro salute personale.
Questo processo viene definito dalla psicologa «una tragica perdita del sé nell’infanzia».
La Penn University ha cominciato ad introdurre qualche novità.
Per esempio Pennsive, un blog dove gli studenti sono invitati a parlare liberamente di salute mentale, oppure (molto carina) l’idea degli ugly selfie (cioè i selfie brutti), dove si cerca di invertire il trend di Instagram e Facebook per cui si vuole presentare costantemente un’immagine esteticamente gradevole di se stessi.
Qualcosa sta cambiando, e ci auguriamo che l’allarmismo di questi tempi possa realmente trasformarsi nella nascita di un movimento vivo e realmente “rivoluzionario”, cioè capace di sovvertire quelle regole implicite che dominano il sistema universitario così come gran parte del mondo del lavoro contemporaneo.
Ma non dobbiamo pensare che la realtà americana sia lontana e diversa dalla nostra perché purtroppo situazioni simili avvengono anche in Italia quando i ragazzi, per gli stessi motivi sopra riportati, non sono in grado di sostenere i ritmi scolastici più impegnativi di una scuola superiore a quella precedentemente frequentata.
Il risultato di tale tensione e frustrazione è un aumento esponenziale dei casi di depressione, anche del tipo grave, ossessioni e manie di suicidio che spesso sfociano realmente nell’atto di autochiria.
Quando vi sono situazioni di dubbio, di sospetto che qualcosa non vada nella psicologia del ragazzo per frustrazioni o disagi che non riesce a risolvere ma che manifesta con delle fasi depressive, e di disistima, meglio rivolgersi ad un consulente esperto che possa valutare la situazione, il suo stato di gravità ed eventualmente predisporre delle terapie di intervento e si sostegno psicologico.
In tal caso può essere di aiuto analizzare la scrittura del ragazzo per valutare l’eventuale presenza di segni della tendenza depressiva ed altro, così come è stato evidenziato nel mio libro “I SEGNI DELLA TENDENZA SUICIDIARIA NELLA SCRITTURA – I segni grafologici che emergono maggiormente nelle grafie di persone con tendenze siucidarie” che potete trovate nella mia pagina delle pubblicazioni, argomento trattato anche in un mio corso specifico usufruibile online.
In ogni caso mai sottovalutare i campanelli dall’allarme che sono nervosismo, ansia, angoscia, difficoltà a dormire, difficoltà a rimanere svegli ed attivi il giorno seguente, difficoltà di concentrazione, difficoltà a portare a termine anche i compiti più semplici che prima si risolvevano facilmente, blocchi dovuti ad attacchi di panico, smarrimento, disagio, e senso di incapacità.
Se vostro figlio cambia il suo comportamento e da ragazzo o ragazza serena perde il sorriso e la voglia di vivre e diventa apatico/a, disinteressato, nervoso, si chiude in se stesso è il caso di consultarsi con qualcuno che sia esperto in tali tematiche.
Capita a chiunque di avere un momento di debolezza, ma non per questo significa essere dei deboli o degli incapaci, a volte si ha soltanto bisogno di uno stimolo e di un rinforzo adeguato, che sproni e faccia riapparire il sorriso perché la vita va vissuta al meglio e con serenità, sempre.
La grafologia in tale caso può essere di aiuto perché riesce a valutare lo stato di benessere o di tensione e demoralizzazione di un ragazzo e permette quindi un intervento terapeutico adeguato e risolutivo.