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02/08/2017Il Serial Killer è un assassino seriale.
La definizione del serial killer ha subito nel corso del tempo diversi adattamenti, da quella storica formulata dal FBI nel 1979 per cui: l’assassino seriale è colui che uccide almeno 3 o più vittime con una certa regolarità nel tempo e con lo stesso modus operandi; a quella più moderna dello studioso Ruben De Luca (2000) che si può così riassumere:
“L’assassino seriale è un soggetto che mette in atto personalmente due o più azioni omicidiarie separate tra loro, nello stesso luogo o in luoghi diversi oppure esercita un qualche tipo di influenza psicologica affinchè altre persone commettano l’azione omicidiaria al suo posto.
Per parlare di assassino seriale è necessario che il soggetto mostri una chiara volontà di uccidere ripetutamente, anche se poi gli omicidi non si compiono o le vittime sopravvivono.” (Anatomia del serial killer, 2000)
L’innovazione della definizione sta nel considerare tutte le azioni “omicidiarie” dell’assassino, anche quelle tentate, indipendentemente che si realizzi effettivamente un omicidio, dando rilievo alla predisposizione del soggetto ad una volontà di sterminio.
Killer (da to kill, uccidere) indica, letteralmente, l’uccisore, l’assassino; tale termine, impostosi nel linguaggio comune, è andato assumendo il significato più specifico di chi uccide per mandato altrui: un tempo si sarebbe chiamato sicario.
Killer è dunque un soggetto che esercita il mestiere di assassino, ad esempio l’uomo di mafia; una sorta, dunque, di specialista dell’omicidio, professionista o dilettante che sia.
Il termine serial killers è piuttosto recente, ma il fenomeno è risalente nel tempo: gli assassini seriali ci sono sempre stati.
I primi grandi serial killers
Ci sono serial killers storici mai considerati tali, ne sono un esempio imperatori Nerone e Caligola che erano degli assassini seriali in piena regola: uccidevano per il solo gusto di sperimentare nuove emozioni, quando erano annoiati dalla monotonia della vita quotidiana.
Intorno al XV secolo, è stato documentato il caso del maresciallo di Francia Gilles de Rais. Si stima che, dal 1432 al 1440, egli abbia ucciso circa ottocento bambini usandoli come vittime sacrificali per il suo interesse per la magia nera.
Rais prima degli omicidi alimentava le sue fantasie perverse con l’assunzione di alcool e droghe, che incrementavano il suo stato di eccitazione e di delirio; poi torturava le vittime e le faceva decapitare assistendo alla loro agonia.
Questo caso segna l’inizio, in epoca moderna, dell’omicidio seriale di natura sessuale e delirante, non legato alla conquista del potere politico o a guerre in atto.
Un altro caso storico è quello della contessa ungherese Erszébet Bathory, la quale, all’inizio del XVI secolo, venne condannata per aver ucciso circa seicentocinquanta giovani donne con lo scopo di fare il bagno nel loro sangue.
Nell’Ottocento vi furono vari casi accertati, i più eclatanti furono quello di Jack “lo Squartatore” (1888 nel quartiere di White Chapel a Londra) e dell’italiano Vincenzo Verzeni (intorno al 1870 nel Pavese) e sottoposto da Lombroso a perizia psichiatrica, anche se, purtroppo, quasi nulla di quell’indagine è giunto fino a noi.
Le prime definizioni
Nel XX secolo le prime tracce di quello che, solo più tardi, verrà denominato omicidio seriale sessuale le troviamo in Psychopatia Sexualis di Richard von Krafft-Ebing, il quale definisce “uccisione per libidine” quel particolare tipo di omicidio in cui l’uccisione della vittima contribuisce direttamente alla stimolazione del piacere sessuale.
Questa categoria trova corrispondenza nella definizione di lust murderer di Holmes e De Burger, i quali parlano di assassino per libidine (appunto lust murderer), quando l’eccitazione e la gratificazione sessuale si verificano al momento dell’atto omicida.
In questo secolo, il problema dell’omicidio seriale è diventato particolarmente evidente, sia a causa di un notevole incremento numerico degli assassini seriali, sia a causa della maggiore attenzione prestata dai mass media a casi di questo genere.
Fino all’inizio degli anni ’80, il termine serial killer non esisteva e questo tipo di criminale veniva genericamente definito multiple killer (assassino multiplo).
Sotto questa denominazione erano raggruppati tutti gli assassini che uccidevano più di una vittima, senza però operare alcuna distinzione fra i diversi eventi delittuosi.
L’espressione serial killer venne coniata negli Stati Uniti e, precisamente, dagli agenti dell’F.B.I..
La paternità di questo termine non è casuale, dato che gli Stati Uniti sono il paese che presenta il numero più alto di assassini seriali nel mondo.
La definizione data dall’F.B.I., che tuttavia si rivela minimalistica e piuttosto asettica, è la seguente: “un serial killer è un soggetto che uccide più persone, generalmente più di due, in tempi e luoghi diversi, senza che sia immediatamente chiaro il perché, anche se lo sfondo sessuale del delitto è quasi sempre riconoscibile”.
Non deve perciò stupire che, generalmente, si identifichi il serial killer con l’omicida sadico che rapisce le sue vittime e le uccide secondo un rituale di ferocia, che può prevedere ogni genere di sevizie, torture e violenze sessuali pre o post mortem, compresi fenomeni di cannibalismo, vampirismo e necrofilia.
Occorre, però, avvisare che il legame sesso-violenza è si un movente fondamentale del meccanismo psicodinamico dell’assassino seriale, ma è altresì soltanto una parte, seppur la più consistente, dell’ampio ventaglio di motivazioni alla base del comportamento omicidiario seriale.
Diversi tipi di serial killer
Fino all’inizio degli anni ’80 si parlava genericamente di “omicidio multiplo”, quando ci si trovava di fronte ad un unico assassino che uccideva più di una vittima ed è per merito dell’F.B.I. che si comincia a parlare di serial killer.
Gli assassini multipli, ad eccezione di quelli che uccidono due vittime nello stesso tempo e in un solo luogo (“double killer“) oppure tre vittime nelle stesse condizioni (“triple killer“), sono suddivisi dall’F.B.I. in tre categorie:
- mass murderer (“assassino di massa”). Uccide quattro o più vittime nello stesso luogo e in un unico evento; di solito il soggetto non conosce le proprie vittime e la scelta è per lo più casuale;
- spree killer (“assassino compulsivo”). Uccide due o più vittime in luoghi diversi ed in uno spazio di tempo molto breve; questi delitti spesso hanno un’unica causa scatenante e sono tra loro concatenati; anche in questo caso, il soggetto non conosce le sue vittime e, dato che non nasconde le sue tracce, viene catturato facilmente;
- serial killer. Uccide tre o più vittime, in luoghi diversi e con un periodo di “intervallo emotivo” (“cooling off time“) fra un omicidio e l’altro; in ciascun evento delittuoso, il soggetto può uccidere più di una vittima; può colpire a caso oppure sceglierla accuratamente; spesso ritiene di essere invincibile e che non verrà mai catturato.
Il cooling off time
Il cooling off time, che tradotto significa “tempo di raffreddamento”, è il periodo che va dall’eccitazione provata dal serial killer per l’uccisione, il compiacimento che ne trae e che lo tiene in una condizione di stand-bay, di raffreddamento appunto, e la necessità impellente che riesplode e che lo spinge a commettere un successivo omicidio.
Newton fa notare che il difetto principale della tassonomia creata dall’F.B.I. è di non specificare la lunghezza del periodo di cooling off tra un omicidio e l’altro, affinché si possa parlare di assassino seriale piuttosto che di omicidio compulsivo o di massa; inoltre rimangono esclusi dalla definizione tutti gli assassini che vengono catturati dopo il secondo omicidio, ma che, se liberi, avrebbero continuato ad uccidere.
Un importante passo avanti in materia di definizioni è stato compiuto dall’italiano Ruben De Luca, che ha proposto una definizione molto più adatta a rappresentare la complessità di un fenomeno come l’omicidio seriale in tutto il mondo.
La ripetitività dell’azione
L’assassino seriale è un soggetto che mette in atto personalmente due o più azioni omicidiarie separate tra loro oppure esercita un qualche tipo di influenza psicologica affinché altre persone commettano azioni omicidiarie al suo posto.
In questo caso gli omicidi sarebbero su commissione, ma colui che compie materialmente l’azione è talmente soggiogato dal serial killer che si può escludere in lui la volontà dell’omicidio, per parlare di momentanea incapacità di intendere e volere o della colpevolezza per un reato minore come l’omicidio colposo (almeno in Italia).
Per parlare di assassino seriale, è necessario che il soggetto mostri una chiara volontà di uccidere, anche se poi gli omicidi non si compiono o le vittime sopravvivono: l’elemento centrale è la “ripetitività dell’azione omicidiaria”.
L’intervallo che separa le azioni omicidiarie può andare da qualche ora a interi anni e le vittime coinvolte in ogni singolo episodio possono essere più di una.
L’assassino seriale agisce preferibilmente da solo, ma può agire anche in coppia o come membro di un gruppo.
Le motivazioni sono varie, ma c’è sempre una componente psicologica interna al soggetto che lo spinge al comportamento omicidiario ripetitivo.
I vantaggi di questa definizione, per la comprensione di un fenomeno così complesso, sono numerosi.
Innanzi tutto viene considerato serial killer chiunque commetta anche solo due azioni omicidiarie (e non tre come richiesto dall’F.B.I.), perché queste sono sufficienti a stabilire il circuito ripetitivo patologico, ed elimina l’ambigua categoria dello spree killer, la cui particolarità è che tutte le fasi dell’omicidio seriale si consumano in un arco di tempo estremamente rapido.
Oltre a ciò, tale definizione si rivela particolarmente utile perché parla di “azioni omicidiarie”, in quanto, per classificare un soggetto nella categoria degli assassini seriali, è importante la sua intenzione, non il risultato pratico.
La novità più importante di questa definizione è l’introduzione di un nuovo tipo di assassino seriale: il serial killer “per induzione”.
Il serial killer per induzione
Una persona può esercitare un grado di influenza talmente forte da indurre altri a commettere omicidi in sua vece: materialmente il soggetto in questione non compie alcun crimine, moralmente è il vero responsabile della serie omicidiaria.
In questo caso sono da considerare assassini seriali, pur con un diverso grado di responsabilità, sia l’istigatore sia l’esecutore materiale degli omicidi.
Un’altra questione controversa è l’ambito di applicabilità della categoria degli omicidi seriali: se si considera soltanto il numero delle vittime, anche il killer di mafia o il terrorista diventano assassini seriali, se si prendono in considerazione, invece, le motivazioni che spingono ad uccidere, sono fenomeni distinti.
Possono avere, però, dei punti in comune; la differenza è minima quando anche il killer su commissione o il terrorista hanno dei motivi psicologici per entrare a far parte di un tale gruppo. Fondamentalmente, questi ultimi entrano a far parte di una “sottocultura criminale estesa”, mentre l’assassino seriale classico conduce una guerra solitaria contro la società.
Anche gli assassini seriali che agiscono in gruppo, in realtà, uccidono spinti da un bisogno psicologico personale, il bisogno di sentirsi realizzati attraverso il controllo del potere.
Il gruppo rappresenta una copertura nel quale il soggetto si sente più protetto; ed è proprio in esso che un soggetto con caratteristiche da assassino seriale può raggiungere uno status elevato manifestando quella patologia che, invece, lo relegherebbe ai margini della società convenzionale.
Altre sottocategorie di serial killer
Altri autori hanno approfondito la definizione di De Luca, creando delle sottocategorie in base al tipo di motivazione dei delitti, alla indicazione della scena dell’omicidio e ad altri aspetti.
Lunde considera gli individui che commettono più di un omicidio quasi sempre dei malati mentali rispetto a chi compie un omicidio singolo.
Divide gli assassini seriali in due categorie:
- gli schizofrenici paranoici, caratterizzati da un comportamento aggressivo e sospettoso, da allucinazioni (spesso uditive) e da illusioni di grandezza e/o di persecuzione,
- i sadici sessuali, che uccidono, torturano e/o mutilano le vittime per raggiungere l’eccitazione e il piacere sessuale; questi, in particolare, deumanizzano le vittime considerandoli oggetti.
Hickey definisce assassino seriale chiunque uccida, mostrando premeditazione, tre o più vittime in un periodo di giorni, mesi o anni.
Secondo il grado di mobilità mostrato dagli assassini, distingue tre categorie:
- assassini seriali “itineranti“, soggetti che spesso coprono distanze enormi ogni anno, uccidendo vittime in diversi Stati;
- assassini seriali “locali”, che cercano vittime nello stesso Stato in cui hanno compiuto il primo omicidio;
- assassini seriali “stazionari”, soggetti che non lasciano mai la loro casa e il posto d’impiego; le vittime risiedono nella stessa struttura o vengono catturate ogni volta nello stesso posto.
Ressler, Burgess, Douglas, invece, introducono un’importante distinzione nell’ambito della definizione coniata dall’F.B.I., cioè quella tra comportamento organizzato e disorganizzato, distinzione utile soprattutto dal punto di vista pratico dell’investigazione.
Il serial killer organizzato pianifica con cura i propri delitti, scegliendo un tipo particolare di vittima che, in qualche modo, ha un legame simbolico con lui.
Il serial killer disorganizzato, al contrario, agisce per un impulso improvviso che lo porta a uccidere vittime scelte casualmente, senza preoccuparsi di coprire tutte le sue tracce; di conseguenza, è molto più facile da catturare.
Alcuni autori, come Holmes e De Burger, hanno definito quelli che, secondo loro, sono gli elementi caratteristici dell’omicidio seriale:
- l’elemento centrale è la ripetizione dell’omicidio; l’assassino seriale continua ad uccidere finché non viene fermato; il periodo in cui avvengono gli omicidi può estendersi per molti mesi o anni;
- l’omicidio seriale avviene “uno contro uno”, tranne rare eccezioni;
- di solito, fra l’assassino e la sua vittima non c’è alcun tipo di relazione oppure, se c’è, è superficiale;
- l’assassino seriale prova “l’impulso ad uccidere”; gli omicidi seriali non sono crimini di passione né originati da una provocazione della vittima;
- negli omicidi seriali, mancano, tipicamente, motivi evidenti.
Wilson e Seaman, riprendendo gli studi dello psicologo Albert Maslow, definiscono la “teoria dei bisogni progressivi”.
Facendo riferimento ai quattro livelli della gerarchia dei bisogni di Maslow, essi sostengono che le persone inizialmente uccidevano spinte dalla povertà e dalla fame; verso la metà dell’Ottocento, uccidevano per lo più per tutelare la propria sicurezza domestica; una volta soddisfatti questi bisogni, la persona sente il bisogno di gratificazione emozionale e sessuale, da qui la nascita dell’omicidio a sfondo sessuale; infine, una volta che si sono garantiti cibo, rifugio e gratificazioni emotive, si uccide per un bisogno di autostima, per ottenere rispetto.
È questo il caso dell’omicidio seriale; l’insicurezza e la mancanza di un’identità precisa, vengono prepotentemente ad opprimere il soggetto, costringendolo a ripetere il comportamento omicidiario nella speranza di affermare il proprio sé.
Per finire, Simon analizza in particolare gli assassini seriali sessuali, affermando che in essi agiscono in maniera conscia quegli impulsi antisociali che le persone normali tengono relegati nella loro parte inconscia, e li paragona ai tossicodipendenti: anche il serial killer ha bisogno di dosi sempre più frequenti per raggiungere lo stesso grado di eccitazione emozionale.
Queste definizioni di omicidio seriale non mostrano molta eterogeneità tra loro e, soprattutto, gli autori non indicano il campione di riferimento per cui non è possibile fare confronti adeguati.
Per contro, c’è accordo tra quasi tutti gli autori indicati nell’escludere dalla definizione di omicidio seriale, gli omicidi di matrice terroristica, quelli politici e quelli compiuti nel corso di guerre (gli unici che ammettono l’esistenza di queste forme atipiche di omicidio seriale sono Lester, Dietz e De Luca).
Oltre a ciò, alcuni autori (Ressler, Burgess, Douglas e Holmes, De Burger) tendono erroneamente ad enfatizzare l’assenza di relazioni con le vittime ed il fatto che l’omicidio seriale sia una situazione di “uno contro uno”.
Così facendo vengono praticamente a negare l’esistenza dell’omicidio seriale compiuto da donne (ritenuto, invece, un dato certo da parte di tutti i restanti studiosi del fenomeno), dato che la quasi totalità di esse uccide persone con le quali ha una relazione molto stretta.
Questi autori non considerano, inoltre, che non è affatto raro imbattersi in coppie o gruppi che compiono omicidi seriali e che, in alcuni paesi (Ungheria e Messico), questa è la modalità operativa prevalente.
Pochi, inoltre, sono gli autori che pongono a due omicidi il limite minimo per poter parlare di serial killer; la stragrande maggioranza, sulla scorta delle indicazioni dell’F.B.I., comincia a parlare di omicidio seriale solo dopo il terzo omicidio, senza considerare che il processo psicologico che porta al comportamento omicidiario seriale si è già instaurato dopo due omicidi e che il soggetto può essere catturato prima della commissione del terzo delitto.
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