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19/11/2016Nel Complesso di Achille la vulnerabilità dell’uomo è nascosta dietro al suo successo.
In genere le persone che soffrono di questo disturbo riescono a dare in società delle prestazioni, anche professionali, di alto livello, gli altri li riconoscono come persone valide e nutrono stima nei loro confronti ma essi si sentono insicuri ed incerti.
Chi è l’Achille
Petruska Clarkson ha definito questo complesso sulla base della sua esperienza di psicoterapeuta: racconta di essersi imbattuta più volte in persone di successo che, pur ritenute eccellenti, provavano scarsa fiducia in sé e un profondo senso di inadeguatezza.
Un po’ come l’eroe greco Achille, esse trasmettevano un’immagine invincibile ma celavano un profondo nodo di vulnerabilità. Un tallone di Achille, appunto, strettamente connesso alla loro storia personale.
Nonostante l’apparente successo, questi uomini hanno una fragilità che impedisce loro di mettersi a nudo, di parlare realmente di sé e di creare dei rapporti seri e duraturi per l’incapacità di impegnarsi e di aprirsi al partner.
Anche se ha successo con le donne, questo tipo di uomo fatica ad avere con loro un reale rapporto costruttivo e di condivisione, il suo senso di totale insicurezza lo fa scappare da ogni impegno, da ogni relazione stabile, anche professionale non solo relazionale, poiché teme che gli altri scoprano la sua reale fragilità.
Si crea dunque una doppia identità, quella pubblica, di facciata, quella fatta per essere esposta in società, e quella intima, vera, negata al pubblico e tenuta segreta.
È il complesso di Achille, che si verifica nell’uomo (nella donna esiste il corrispondente nel complesso di Cleopatra, anche se con qualche differenza), temuto e riverito la sua forzata immagine di forza e solidità, ma una immagine di pura facciata ed apparenza.
Caratteristiche del complesso
Il complesso di Achille si presenta in una persona che corrisponde a queste sette condizioni:
- Disparità fra competenza riconosciuta dall’esterno e la capacità che la persona riesce ad ammettere (pseudocompetenza), unita alla sensazione di essere un impostore;
- Forte ansia e tensione prima di svolgere un compito rilevante;
- Tensione spropositata o sfinimento dopo la prestazione;
- Senso di sollievo, anziché di soddisfazione, dopo aver concluso un compito;
- Impossibilità di usare l’esperienza di successo come fonte di sicurezza per le prestazioni successive;
- Senso di paura, vergogna, umiliazione al pensiero di essere scoperti;
- Solitudine dovuta al desiderio di ottenere supporto dagli altri, bloccato dalla paura di non essere compresi.
Il disturbo può manifestarsi in diversi ambiti di vita: lavoro, studio, sport, relazioni interpersonali o relazioni affettive (es. essere un compagno o una compagna), vita familiare (es. essere padre o madre; cura della casa).
La pseudocompetenza
La Pseudocompetenza è la condizione che caratterizza chi soffre del complesso di Achille.
Il termine descrive un divario, una mancata coincidenza fra il livello di competenza riconosciuto dall’esterno (gli altri) e quello che la persona stessa si riconosce.
Lo pseudocompetente non si ritiene sufficientemente adeguato alla prestazione, e il problema è soggettivo, anche se il resto del mondo, e con esso l’oggettività, lo descrivono come competente.
Lo pseudocompetente vive con molto disagio la propria condizione: prova vergogna, fatica a confidarsi con gli altri perché teme di non essere capito proprio perché gli altri lo giudicano molto diversamente da come lui stesso si valuta.
Se si confidasse non riuscirebbe ad ottenere comprensione, e finirebbe col vergognarsi ancora di più.
La pseudocompetenza trova fondamento nella storia della persona e nel suo vissuto.
Secondo la Clarkson, il più delle volte chi sviluppa la sindrome di Achille ha veramente un punto debole: probabilmente ha saltato qualche tappa nell’apprendimento, e ha una piccola mancanza, ad esempio non ha maturato completamente qualche competenza di base, ed è subito approdato a un livello di complessità superiore, riuscendo però a mantenere uno standard qualitativamente elevato nelle proprie performance.
Sebbene riconosca o possa arrivare a individuare la propria carenza, lo pseudocompetente è talmente preda delle emozioni e della vergogna da non riuscire a prendersi cura della stessa: convinto di dover rispettare standard di perfezione, finisce col continuare a portare avanti, come in un circolo vizioso, la recita del bravo studente, o del bravo manager, o del bravo genitore.
L’educazione ricevuta durante l’infanzia, nel contesto familiare o in quello scolastico, così come episodi che hanno segnato la storia della persona, possono essere le radici sulle quali la pseudocompetenza è cresciuta e si è sviluppata, diventando poi uno stile della persona preservato anche in età adulta.
Achille nel cinema
Il cinema ha raccontato del complesso di Achille in un film tutto italiano, nella storia de: “Il bell’Antonio”, un film diretto nel 1960 da Mauro Bolognini e tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati.
Nel film si racconta la vicenda di un uomo famoso per la sua beltà e per la sua fama di donnaiolo, ma che nella realtà era totalmente impotente. Le dicerie avevano creato un mito che di fatto non esisteva.
Nella Catania dei primi anni sessanta un giovane uomo ritorna nella città natale ed immediatamente attorno a lui si diffonde la fama sulla sua virilità e doti amatoriali, nomea che travisa completamente i fatti reali in quanto il bell’Antonio è impotente.
Quando si sposerà la moglie, dapprima felice, avrà poi un’amara sorpresa in quanto il matrimonio non verrà mai consumato.
Sia nel mito di Achille che nella vicenda del bell’Antonio si da risalto alle loro qualità oltre la media di uomini, miti ed eroi, che nella realtà difettano proprio delle capacità di cui si fomenta la loro fama.
Questo sta a significare che spesso la troppa sicurezza ostentata nasconde una fragilità ed un’incapacità di cui il soggetto si vergogna e che non è in grado di gestire tanto da creare una falsa rappresentazione di sé.
Colui che patisce tale complesso è talmente condizionato dalla paura di essere scoperto, o che gli altri possano notare il suo lato debole, da costruire un’immagine esterna e pubblica di estrema forza e dominanza, così che nessuno abbia a sospettare che ci si possa trovare davanti ad un uomo debole e inadeguato.
E con maggiore sarà la rabbia e l’irruenza nel mostrarsi forti ed invincibili, tanto maggiore sarà l’ossessione e la paura di essere scoperti nella propria fragilità.
L’uomo che patisce il tallone d’Achille non riesce a rapportarsi e convivere con la propria vulnerabilità e debolezza, trasformandola in ansia ed ossessione.
La psicologia ritiene che tale complesso derivi proprio da quella fase di castrazione vissuta nell’infanzia a causa della frustrante richiesta dei genitori di essere superiore ed eccellente in determinate aspettative, dovendo pertanto compiacerli il piccolo si adatta, costruisce un personaggio che rispecchia le aspettative dei grandi.
Questo condizionamento invalidante ha impedito a quel piccolo di poter esprimere, senza sensi di colpa o frustrazioni, la propria fragilità.
Ciò determina un limite alla potenziale espressione del bambino, che si sente adeguato, inficiando lo sviluppo non solo di tipo affettivo ma soprattutto relazionale.
La maschera creata da piccolo per compiacere i genitori diventa da adulto una vera e propria maschera dietro la quale nascondersi ogni giorno e con tutti, impedendo a chiunque di notare la persona che ci sta realmente dietro.
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