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09/01/2017Il déjà-vu è un effetto della nostra memoria.
Il termine di origine francese “déjà-vu”, letteralmente “già visto”, è ormai entrato nella nostra quotidianità: ognuno di noi, o quasi, lo ha sperimentato almeno una volta nella vita.
Si tratta della sensazione di aver già vissuto una determinata esperienza o di aver già visto un certo luogo, che risulta quindi inspiegabilmente familiare.
Anche la scienza conferma l’esistenza del déjà-vu fornendone una spiegazione razionale: si tratterebbe, in tale ottica, di un fenomeno psichico dovuto all’alterazione dei ricordi. Anche se poi, ogni scuola di pensiero rivisita la teoria a modo proprio.
Il fenomeno déjà-vu
Il déjà-vu viene spesso associato anche a fenomeni come chiaroveggenza, precognizione, percezioni extra-sensoriali, memorie di vite passate.
In alcuni casi il déjà-vu viene confuso con le profezie autoavveranti, anche se questo è un fenomeno della mente completamente diverso.
Secondo altre teorie potrebbe trattarsi del ricordo di sogni, la cui traccia rimarrebbe nella cosiddetta memoria a lungo termine.
Che cosa sia il déjà-vu, realmente, non è dato a sapersi, ma da sempre è oggetto di studi, fin dai tempi di Aristotele e Pitagora. Per non parlare della sua larga diffusione nella tradizione popolare e nelle riflessioni di scrittori, scienziati, religiosi, psicoanalisti che nel corso del tempo hanno cercato di svelarne l’arcano.
Il déjà-vu è assai differente da una sorpresa che archiviamo in fretta poiché la giudichiamo insensata. Esso ci mostra che il tempo non passa. È il ritorno a una situazione già realmente vissuta e che, in quel momento, si ripresenta identica.
Déjà vu secondo la psicologia
A parlare del déjà-vu sono stati in molti, ognuno con il proprio punto di vista particolare.
Freud, per esempio, lo associava ai contenuti inconsci della psiche, che attraverso di esso riuscirebbero a manifestarsi nello stavo di veglia. I messaggi trasmessi dal déjà-vu non andrebbero ignorati poiché fonte di informazione preziosa sulla nostra parte inconsapevole.
Carl Gustav Jung, il cui approccio era molto più spirituale rispetto a quello del contemporaneo Freud, riteneva invece che il déjà vu fosse il punto di incontro fra psiche individuale e collettiva. Ovvero attraverso questo stratagemma, il soggetto riuscirebbe a connettersi con i simili, ma del tutto inconsciamente.
In casi simili, Jung era più propenso a parlare di sincronicità degli eventi.
Alla categoria del miracoloso e del perturbante appartiene anche quella particolare sensazione che si ha in certi momenti e in certe situazioni, di avere già vissuto una volta proprio quella esperienza, di essersi già trovato una volta nella medesima circostanza, senza che abbia mai successo lo sforzo di rammentare chiaramente quel passato che sentiamo così vivamente.
Déjà vu secondo la scienza
Gli studi neuropsicologici che hanno tentato di dare una spiegazione logica al déjà-vu lo identificano, nella maggior parte dei casi, come un’anomalia mnemonica, una specie di ricordo sbagliato.
Esso viene infatti definito, a volte, “falso riconoscimento”, ovvero un’esperienza passata viene confusa con il presente a causa di qualche somiglianza.
Secondo l’ipotesi neurologica, supportata dal biologo Premio Nobel Susumu Tonegawa, viene identificato come un errore della memoria episodica. Ciò dipenderebbe da alcuni neuroni tesi a riconoscere, tramite una sorta di mappa neurale, i luoghi che visitiamo.
Questi dati spaziali vengono memorizzati, ma nel caso in cui si visiti un luogo somigliante può capitare che le mappe dei due luoghi si sovrappongono, creando la sensazione di esserci già stati.
Lo studioso Hegren lo ricollega all’epilessia e c’è chi ipotizza persino un rallentamento dell’attività neuronale. A fare il punto della situazione, visto l’accavallarsi di numerose teorie, è stato, negli ultimissimi anni, lo psicologo Alan S. Brown, che allo strano fenomeno ha dedicato un intero libro, “The Déjà Vu Experience: Essays in Cognitive Psychology”.
Oltre a constatare che il déjà vu capita almeno una volta nella vita al 60% delle persone, soprattutto se sottoposte a condizioni di stress, Brown ha classificato le principali teorie in circolazione in 4 sottogruppi:
- spiegazioni di tipo neurologico, che, come abbiamo visto, lo ritengono una disfunzione del sistema nervoso, correlata talvolta all’epilessia,
- la teoria del processamento duale di Pierre Gloor, secondo cui il fenomeno si verificherebbe quando il sistema neuronale per la familiarità si attiva e quello del ricordo mnestico no,
- terza in classifica la teoria attenzionale, secondo la quale il déjà vu è causato da una doppia percezione
- infine, le teorie mnestiche, che lo attribuiscono a qualcosa di già visto, o immaginato, in un precedente momento. In quest’ottica si tratterebbe quindi di un errore di memoria.
Déjà vu e la fisica quantistica
Secondo il fisico teorico, Michio Katu, questo misterioso fenomeno del déjà-vu sarebbe connesso con l’esistenza di universi paralleli.
Nella cosiddetta “Teoria delle Stringhe” il tessuto dell’Universo è formato da stringhe o membrane in costante vibrazione.
Inoltre, non esisterebbero solo 4 dimensioni, tempo e spazio tridimensionali, ma altre 6 dimensioni spaziali, che potrebbero a loro volta corrispondere ad altrettanti universi con leggi fisiche a parte, che la fisica quantistica definisce “universi paralleli”.
Il déjà vu sarebbe, secondo Michio Katu, la capacità di passare da un universo all’altro e per spiegarlo in modo più dettagliato, il ricercatore fa riferimento alla teoria del “Multiuniverso” del Premio Nobel Steve Weinberg.
Secondo il celebre fisico esistono infinite realtà parallele anche nella stessa stanza, proprio come accade per le onde radio. Possiamo sintonizzarci su un’onda radio alla volta, basta una radio per farlo e secondo la stessa logica, siamo sintonizzati, nel nostro universo, sulla frequenza della realtà fisica.
L’esperimento
Uno studio dell’Università di St. Andrews , in Scozia, ha utilizzato la risonanza magnetica per cercare di trovare le origini di questo, fino ad ora, evento inspiegabile del déjà vu. Per questo, i ricercatori hanno usato un metodo classico per generare “falsi ricordi”.
L’esperimento déjà vu consiste nel far leggere ad una persona un elenco di parole correlate – come acqua, sete, calore – ma senza indicare la parola “bere”.
Questo esercizio scatena un bias. Infatti, quando la persona deve elencare le parole da ricordare, è sicura che “bere” faccia parte di quelle ricordate.
Ma dal momento che la creazione di un falso ricordo non è la stessa cosa di un déjà vu, i ricercatori hanno aggiunto un nuovo elemento.
Innanzitutto, hanno letto ai partecipanti tutte le parole senza nominare “bere” e poi hanno chiesto se ne avessero ascoltate alcune che iniziavano con “B”.
La risposta è stata unanime: No. Tuttavia, quando fu chiesto loro se avessero sentito “bere”, non poterono negarlo e la maggior parte di essi mostrava segni di confusione.
Data questa contraddizione, i partecipanti hanno commentato di aver avuto questa strana esperienza di déjà vu.
Akira O’Connor, a capo della ricerca, ha dichiarato che il fenomeno che si verifica nel cervello durante il déjà vu è in realtà un processo decisionale o di risoluzione dei conflitti.
Il cervello, eseguirebbe un’operazione di verifica dei fatti; controlla la sua “base di memoria” e invia un segnale quando si verifica un qualche tipo di errore, come per questa contraddizione.
In questo modo, si è determinato che il dejavu sarebbe un’indicazione che il sistema di controllo del cervello funziona correttamente.
E ciò, inoltre, spiegherebbe perché molto di più si verifica nei giovani e molto poco negli adulti più anziani; poiché in età avanzata la memoria inizia a subire un deterioramento.
Infine, i ricercatori hanno spiegato che ci sono ancora altri studi per determinare tutte le funzioni e le altre possibili cause della generazione istantanea di una “memoria rianimata” del déjà-vu.
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