
L’intelligenza emotiva
28/03/2017
La comunicazione persuasiva
31/03/2017L’hardiness è la resistenza psicologica agli eventi stressanti.
L’hardiness (definito anche resistenza psicologica o resistenza cognitiva) è uno stile di personalità che permette una persona a far fronte, di resistere di impegnarsi attivamente nel processo di adattamento trasformazionale necessario di fronte a eventi particolarmente stressanti.
Il termine hardiness è stato introdotto nella letteratura specifica per la prima volta nel 1979 dalla psicologa Suzanne C. Kobasa.
Capacità e resistenza
La capacità di far fronte (coping, in inglese) permette alla persona con hardiness di riformulare la situazione stressante e di percepirla come un’opportunità di crescita anziché come una minaccia.
L’hardiness è caratterizzata da tre fattori principali, ovvero:
- sensazione di controllo sugli eventi esterni
- impegno attivo nella vita quotidiana
- prospettiva di sfida nei confronti cambiamenti inaspettati.
Le tre componenti dell’hardiness si complementano a vicenda, facendo sì che l’individuo lavori più degli altri per trasformare situazioni potenzialmente stressanti in opportunità positive e stimolanti.
Per questo motivo, se questo tratto della personalità si sviluppa in modo consistente, segna un percorso di crescita verso una completa resilienza in ambienti stressanti, la quale alla fine risulta in un miglioramento della performance attraverso un tipo di coping attivo.
Le organizzazioni, soprattutto negli ultimi anni, hanno sempre più compreso l’importanza di investire in politiche aziendali che promuovessero il benessere dei propri dipendenti, al fine di prevenire fenomeni quali il burnout, definito come l’esito patologico di un processo stressogeno, una risposta specifica dell’individuo a seguito di un’esposizione prolungata a stressors legati all’ambiente lavorativo.
Oltre ai più noti fattori di rischio di questo fenomeno, quali un eccessivo disequilibrio tra le richieste dell’ambiente e le risorse dell’individuo, il sovraccarico da lavoro, l’assenza di equità o valori contrastanti, esistono alcuni fattori, chiamati protettivi, che svolgono un ruolo di moderatore nei confronti dello sviluppo del burnout, riducendone l’incidenza, ad esempio l’hardiness.
Cos’è l’Hardiness
Il concetto di hardiness è stato introdotto da Kosaba, Maddi e Kahn nel 1982, e si riferisce ad un insieme di tratti di personalità che agiscono come risorsa di resistenza individuale nei confronti di eventi di vita stressanti.
Le componenti di questo costrutto sono tre:
- Impegno personale (commitment): i soggetti con elevato impegno personale, tendono a restare coinvolti con l’ambiente e ciò che li circonda, nonostante le situazioni di stress, trovando un significato ed un senso anche agli eventi avversi. In questo caso gli individui scelgono un approccio attivo, piuttosto che uno improntato sulla passività e sull’evitamento.
- Percezione di controllo (control): viene definito come “la tendenza a sentirsi ed agire come se si fosse influenti, piuttosto che impotenti, di fronte alle varie contingenze della vita”. Soggetti con alto senso del controllo ritengono di poter influenzare, attraverso le proprie competenze, conoscenze, ed immaginazione, gli eventi esterni; pertanto, metteranno in atto strategie di coping, perlopiù rivolte alla modificazione e risoluzione del problema.
- Accettazione delle sfide (challenge): una disposizione positiva nei confronti delle sfide si associa alla credenza secondo cui il cambiamento sia un processo naturale, un’opportunità di crescita, piuttosto che una minaccia alla stabilità ed alla sicurezza. Questo approccio correla positivamente con la presenza di maggiore apertura e flessibilità.
In base a ciò che affermano alcuni studi, sembra che un livello alto di Hardiness sia in grado di fornire prestazioni migliori nel caso in cui questi vengono sottoposti a condizioni di forte stress.
Molti sono gli studi sull’Hardiness che sono stati condotti nel territorio americano tra cui una ricerca interessante fatta dal professor Sheldon Hanton.
Quest’ultimo si è impegnato ad esaminare tutti i livelli di Hardiness sia di studenti che di atleti, scoprendo che i soggetti che avevano i livelli più alti di Hardiness presentavano però livelli inferiori di ansia somatica e cognitiva.
In base a questa scoperta, è possibile affermare che quando i soggetti che hanno livelli maggiori di Hardiness vengono messi dinanzi a situazioni molto difficili, sono in grado di rispondere positivamente.
Un ruolo protettivo
In ambito occupazionale, varie ricerche condotte su diversi campioni di soggetti appartenenti a popolazioni che svolgono lavori differenti, tra cui autisti, infermieri, avvocati, studenti del college, hanno evidenziato il ruolo protettivo dell’hardiness, rispetto lo sviluppo di sintomi legati a malattie organiche tra cui malattie cardiovascolari, sindromi metaboliche, obesità e psichiatriche quali ansia, depressione, burnout.
Oltre a svolgere un ruolo protettivo, l’hardiness promuove strategie di coping attive focalizzate sul problema, piuttosto che strategie disfunzionali come la negazione e l’evitamento del problema, e comportamenti sociali che si basano sul dare e\o ricevere assistenza e supporto e disincentivando quelli basati sulla competizione o su uno stile comunicativo autoritario.
Una delle ricerche più rilevanti, è quella condotta da Kosoba e Maddi tra il 1975 e il 1987 all’interno di una nota compagnia telefonica dell’epoca, la Illinois Bell Telephone (IBT).
E’ stato osservato che i soggetti che descrivevano la loro infanzia caratterizzata da eventi avversi, ma allo stesso tempo supportati ed incoraggiati dai genitori e dagli insegnanti a credere nelle loro capacità e potenzialità, presentavano una migliore “hardy attitude”.
Pertanto, i risultati suggerirono che l’hardiness può essere appresa e ciò è stato confermato anche dagli esiti ottenuti, dopo che alcuni manager della IBT hanno frequentato un training che andasse a potenziare tale abilità.
I risultati hanno evidenziato che il training non solo incrementava l’hardiness, ma anche la soddisfazione e il coinvolgimento lavorativo, la percezione del supporto sociale, mentre diminuivano i sintomi d’ansia, depressivi e la pressione sanguigna, a differenza di coloro che appartenevano al gruppo di controllo.
Il modello delle 3 C
Per individuare i processi psicologici che alimentano l’hardiness si può fare riferimento a un modello, proposto negli anni ’80 da S. Kobasa e S. Maddi, validato da molte ricerche e applicazioni, anche nella psicologia delle emergenze.
Il Modello è noto come modello “3 C” o (CCC), dalle iniziali delle principali componenti della “resistenza psicologica allo stress”: Commitment, Control, Challenge.
Queste identificano altrettante disposizioni, o atteggiamenti che possono aiutare ad attivare efficacemente l’impiego di risorse di cui noi tutti disponiamo per affrontare situazioni di sovraccarico, di pericolo e, in generale, di stress.
Le tre componenti del modello 3 C possono essere descritte con poche parole per aiutare chiunque a riconoscere l’hardiness in sé stessi e a rafforzarla.
Commitment (Impegno)
L’impegno riguarda la nostra capacità di coinvolgerci attivamente, in prima persona, in compiti realisticamente affrontabili con le nostre competenze e nel nostro ruolo, che hanno effetti, anche piccoli ma positivi, nel gestire o risolvere il problema.
Una possibile concatenazione di pensieri che, se attivati, portano all’impegno è “Io conto, sono importante per la mia famiglia; la mia famiglia è importante per me; la mia vita è importante per la mia famiglia; e il mio lavoro per gli altri o quello che posso fare per loro è importante, quindi… Io conto.”
La consapevolezza del nostro valore e del nostro significato per gli altri ci spinge all’impegno e ci aiuta ad affrontare la situazione problematica.
Control (Controllo)
L’impegno e la consapevolezza di poter fare qualcosa rafforzano la sensazione di controllo.
Anche se a tutti capita di sentire, o temere, o credere di non avere controllo sul problema che si deve affrontare, lo scoraggiamento e la rinuncia non ci aiutano. Invece ci farà star meglio sentire che abbiamo un qualche controllo, almeno su alcuni aspetti del problema.
La vulnerabilità, la malattia e la morte sono parte della condizione umana, e dobbiamo accettarle. Ma finché in vita non siamo mai del tutto impotenti.
Una volta compreso il problema nei giusti termini, avremo sempre delle risorse e delle capacità per affrontare anche le difficoltà più grandi.
Challenge (Sfida)
L’impegno e il senso di controllo, la convinzione di poter fare qualcosa, preludono alla terza componente della robustezza psicologica: la capacità di sentire che il problema o la difficoltà sono una sfida alle nostre capacità, una sfida che possiamo accettare e vincere, sicuri che supereremo la crisi e che, anche se ci saranno perdite e costi da pagare, saremo arricchiti dall’esperienza, sia dagli aspetti negativi che ci colpiscono, sia da quelli positivi che sapremo riconoscere.
Consapevoli che ogni problema e ogni crisi è anche un’occasione, una possibilità di crescita e di miglioramento. Accettare la sfida attiva la capacità, che tutti abbiamo, di lottare contro pericoli e avversità, tanto più efficacemente quanto più siamo capaci di valutare realisticamente le nostre risorse e le possibilità di affrontare le situazioni.
L’impegno in una sfida non va confuso con l’arroganza, con la presupponenza irrealistica, né con l’onnipotenza. Invece occorre riconoscere e rivalutare attentamente le risorse che possiamo mettere in campo per riprendere il controllo e superare le difficoltà.
C’è sempre da guadagnare dall’affrontare e superare le crisi, anche quelle che avremmo preferito ci fossero risparmiate. Cresceremo, aumenteremo l’esperienza e la saggezza, diventeremo più forti e questo ci aiuterà sia ad affrontare costruttivamente altre situazioni problematiche, sia ad aiutare altri a farlo.
Consigli pratici
Per essere pratici, ecco sei indicazioni basate sul Modello 3 C, semplici ma non per questo banali, per rafforzare l’impegno ad affrontare la crisi in corso, per mantenere il controllo sulle avversità, e per accettare le sfide che le avversità ci impone:
- Pensa ai familiari e agli amici che apprezzano il tuo impegno e che la supportano, contattali e comunica il tuo problema con loro.
- Individua i colleghi che possono comprendere la sua situazione, che affrontano problemi simili o più difficili, consultati con loro, cerca di capire come loro hanno affrontato o affronterebbero il problema.
- Anche se il problema è nuovo, pensa ai problemi analoghi o difficili che nel passato hai risolto o superato.
- Se un problema ti sembra troppo grande, procedi per piccoli passi, scomponilo in problemi più piccoli e risolvibili, affronta ogni ostacolo uno per volta.
- Pensa che è solo un momento difficile ma che potrai superarlo ed essere più forte.
- Ricorda a te stesso che sfidare le avversità può essere difficile e fonte di sofferenze, ma ti consente di migliorare le tue capacità individuali e collettive, rafforza i legami e i valori importanti, restituisce a noi e agli altri una rinnovata immagine positiva di noi stessi.
Le indicazioni per rafforzare la resistenza allo stress presuppongono e sono da integrare con l’attenzione a non trascurarsi, a non affrontare una situazione di crisi evidentemente lunga e piena di incertezze, spendendo subito tutte le proprie risorse, come se si trattasse di una breve corsa da scattista.
Se vuoi rimanere aggiornato seguimi sulla mia pagina Facebook.