
Le bugie innocenti
02/12/2016
La firma
05/12/2016Capita a tutti di invidiare, ma quando l’invidia è eccessiva è tossica per chi la prova.
Invidiare è un sentimento che abbiamo provato tutti nella vita. In certi momenti di più, in altri di meno, tutto dipende da quanto ci sentiamo realizzati o meno, perché l’invidia scatta proprio nel momento delle sconfitte e delle delusioni.
Superato il brutto momento però dovrebbe passare, altrimenti finiamo per intossicarci.
Invidia tossica
A volte siamo invidiosi non soltanto verso una persona in particolare, ma diventa un sentimento diffuso, verso tutti coloro a cui le cose vanno particolarmente bene, che sia in ambito lavorativo o affettivo o altro. Perchè c’è sempre qualcuno che ha qualcosa che noi vorremmo avere ma non abbiamo oppure che è come noi vorremmo essere ma non siamo.
L’invidia è un meccanismo inconsapevole, che mettiamo in atto quando ci sentiamo sminuiti dal confronto con l’altro.
E’ un tentativo alquanto maldestro di recuperare la fiducia, la stima in noi stessi svalutando l’altro. Si tratta quindi del risultato di un processo: c’è il confronto, l’impressione devastante di inferiorità e di impotenza e poi la reazione aggressiva.
Per cercare di proteggere il nostro valore, svalutiamo l’oggetto che ci provoca un senso di inferiorità. Invidiare è quindi un tentativo, spesso inconsapevole, di reprimere ciò che attiva la nostra disistima, attraverso la svalutazione distruttiva del modello a cui vorremmo assomigliare.
Infatti, l’invidioso, paradossalmente, è sempre alla ricerca di un termine di confronto che lui giudica superiore per poterlo svalutare. Guarda sempre l’altro con occhio ostile, perchè più bravo, più bello, più ricco, più fortunato, e così via.
Costellazione di emozioni
L’invidia è una costellazione di emozioni comprendente rabbia, rancore, astio, ostilità, che nasce nell’individuo nel vedere qualcuno che è felice, sta bene, è soddisfatto, è riuscito in una certa cosa, un sentimento che a volte ha un’intensità tale da far desiderare che il benessere altrui si trasformi in male: nel guardare l’altra persona stabiliamo, senza neanche volerlo, un confronto e questo confronto ci rimprovera per ciò che non abbiamo e ciò che non siamo.
Invidiare è un’emozione sgradevole che ammettiamo a fatica e che genera imbarazzo.
Nell’invidiare, l’altra persona con cui stabiliamo un paragone è il vincitore e non importa se quanto gli invidiamo e vorremmo per noi gli è costato lacrime e sangue.
Quando siamo preda dell’invidia diventiamo ciechi e vediamo noi stessi come vittime di un’ingiustizia. L’altro funziona come uno specchio e ci mostra, non necessariamente in modo intenzionale, la nostra inferiorità.
Per difenderci dal desiderio di invidiare ricorriamo alla squalifica ed all’annientamento di ciò che in realtà ci sembra carico di pregio. La calunnia, il pettegolezzo, la critica gratuita sono tutte strategie che possono aiutarci a tenere questo sentimento lontana dalla nostra consapevolezza.
La favola di Esopo “La volpe e l’uva “ è un bell’esempio di svalutazione di ciò che non riusciamo a ottenere. La volpe dice che l’uva non è matura proprio perchè non riesce a coglierla. Del resto, se una cosa non ha valore, non c’è motivo per provare un sentimento negativo verso chi invece può goderne.
Invidiare può così spingerci a cercare di distruggere chi, volontariamente o meno, mette a nudo la nostra nullità e la nostra impotenza.
La letteratura ha magnificamente illustrato il carattere aggressivo di tale sentimento, come nel personaggio di Iago ne “l’Otello” di Shakespeare o di Salieri nel “Mozart e Salieri” di Pûskin, figure meschine dilaniate da un’invidia cieca che finirà per ritorcersi contro loro stessi.
Invidiare è un sentimento fastidioso, inquietante, sia per chi lo nutre che per chi lo subisce, comincia negli occhi di chi guarda.
L’invidioso trova la vista dell’altra persona intollerabile e dolorosa: l’altra persona sottolinea, con il suo stesso esistere, quanto le siamo inferiori e non ci permette di avere di noi una buona immagine, di riconoscere e apprezzare le nostre qualità.
Dinanzi all’altro siamo uno zero, la nostra identità e la nostra autostima vacillano.
Parente della gelosia
Si è soliti parlare più serenamente e facilmente della gelosia ma non dell’invidia, che vediamo sempre come un sentimento troppo negativo per riconoscerci in esso.
La preferenza accordata alla gelosia si spiega con il fatto che la gelosia è un’emozione che sia noi che la morale sociale accettiamo con più facilità.
La gelosia implica infatti un rapporto d’amore e fa sentire meno in colpa che non l’invidiare: la gelosia mira a salvaguardare il legame esistente con una persona amata, legame minacciato dall’intrusione di un terzo elemento.
Mentre invidiare implica l’impulso a danneggiare l’altra persona, la gelosia mira al mantenimento del possesso della persona amata e alla eliminazione del rivale.
Se ammettere di essere invidiosi vuol dire dichiarare di desiderare ciò che non si ha e con ciò la propria inferiorità rispetto a un’altra persona, ammettere di essere gelosi vuol dire, almeno in parte, di avere un qualche legame affettivo con questa persona.
La gelosia, con il suo aspetto romantico, può essere una difesa dall’invidiare. Appare quasi nobile confessare di aver paura di perdere chi amiamo, di non essere i figli o gli amici preferiti. E proviamo empatia per la sofferenza di chi è geloso, visto che tutti temiamo di essere abbandonati e di rimanere soli, e repulsa verso l’invidioso.
Se però tutti la provano, quasi nessuno la confessa.
Si può ammettere di farsi prendere dall’ira, di crogiolarsi nella pigrizia o di soffrire per gelosia, ma di essere invidiosi no.
È l’emozione negativa più rifiutata perché ha in sé due elementi disonorevoli: l’ammissione di essere inferiore e il tentativo di danneggiare l’altro senza gareggiare a viso aperto ma in modo subdolo, considerato meschino.
Invidiare, infatti, spesso è caratterizzata dall’ostilità nascosta verso l’altro, dal desiderio di danneggiarlo, magari dietro le spalle con commenti denigratori, e di privarlo di ciò che lo rende invidiabile.
Tradizionalmente si teme proprio lo sguardo malevolo dell’invidioso: non a caso la parola latina invidia, rimasta uguale, ha la stessa radice di videre, vedere.
Dante, nella Divina Commedia, mette gli invidiosi in purgatorio, con le palpebre cucite da fil di ferro: così sono chiusi gli occhi che invidiarono e gioirono dalla vista dei mali altrui.
Anche un’altra caratteristica rende tale sentimento difficile da ammettere, persino a se stessi.
La si prova soprattutto per chi è simile, per le persone che si considerano paragonabili come condizioni di partenza. Per una donna è bruciante il confronto con la conoscente bella e corteggiata, più che quello astratto e “sproporzionato” con una top model; si può invidiare il collega che è stato promosso, non il direttore generale.
Studi sull’invidia
Basti pensare a un esperimento condotto da Andrew Oswald, della University of Warwick (Gb), e Daniel Zizzo, della University of East Anglia (Gb): i partecipanti, con un gioco al computer, ottenevano differenti somme di denaro e bonus casuali. Poi avevano la possibilità di bruciare i guadagni degli altri, visibili sullo schermo, restando anonimi ma sacrificando parte delle loro vincite.
E il 62% dei giocatori lo hanno fatto, pagando fino a 25 centesimi per ogni euro bruciato, cioè perdendo soldi pur di annichilire la ricchezza altrui. Perchè invidiosi e risentiti verso guadagni ingiusti degli altri.
Non solo gli svantaggiati colpivano i più ricchi e avvantaggiati dai bonus: i ricchi, sapendo che sarebbero stati bruciati, colpivano tutti per rappresaglia.
Dal test è emerso, dicono gli autori, “il lato oscuro della natura umana”.
«Ecco perché l’invidiare è messa al bando e condannata dalla società: implica ostilità ed è socialmente distruttiva, perché la persona invidiosa è potenzialmente pericolosa. Non solo: minaccia lo status quo e mette in dubbio la legittimità della distribuzione delle risorse, stabilita dal Creatore. Non stupisce che nella cultura cristiana sia uno dei 7 vizi capitali» aggiunge Richard Smith, psicologo della University of Kentucky (Usa) che studia i meccanismi dell’invidia.
L’invidia è velenosa anche per chi la vive. «È spiacevole. Si provano senso di inadeguatezza e inferiorità. Si ha la sensazione che il vantaggio dell’altro non sia meritato, con frustrazione, perché si pensa di non riuscire a ottenere la stessa cosa. Inoltre, chi tende a essere invidioso rischia, invece di apprezzare le proprie abilità in senso assoluto, di valutarle solo se confrontate con quelle di altri che appaiono migliori: questo diminuisce l’auto-valutazione» dice Smith.
Invidiare è anche doloroso come ha mostrato uno studio condotto da un team di scienziati giapponesi che hanno analizzato con la risonanza magnetica funzionale cosa accadeva nel cervello dei partecipanti, a cui veniva chiesto di immedesimarsi in situazioni con diversi personaggi.
Di fronte a quelli simili a loro, ma più brillanti su aspetti per loro rilevanti non riuscivano a non essere invidiosi, e nel loro cervello aumentava l’attivazione della corteccia cingolata anteriore dorsale: tanto maggiore quanto più intensa era l’invidia che il partecipante diceva di provare.
«Lo svantaggio dell’altro è vantaggio per sé nel terreno della competizione sociale; l’inferiorità e la sua sgradevolezza possono così trasformarsi in superiorità e soddisfazione. Il dolore dell’invidioso si riduce e si ha una sensazione piacevole. Infine, si placa il senso di ingiustizia che spesso è parte dell’invidiare: la sfortuna sembra meritata» spiega Smith.
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