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04/10/2017Gli Hikikomori sono adolescenti che hanno paura della società.
Sono giovani, spesso giovanissimi, che smettono di uscire di casa, di frequentare scuola e amici. Decidono di chiudersi nelle proprie stanze, limitando al minimo anche i rapporti con i propri familiari e mantenendo i contatti col mondo prevalentemente attraverso il web.
Gli Hikikomori sono un fenomeno sempre di più in crescita.
Chi sono gli Hikikomori
Hikikomori è un termine giapponese che significa letteralmente “ritirarsi” (Zielenziger, 2008) e che rimanda ad una particolare condizione riscontrata nei giovani adolescenti, i quali si ritirano letteralmente dalla vita sociale, passando gran parte del loro tempo nella propria stanza, guardando la tv o giocando ai videogiochi.
Gli adolescenti ritirati sono per lo più giovani di sesso maschile e hanno un’età compresa tra i 13 e i 20 anni. La causa di questo disagio può essere ricondotta a una progressiva mancanza di fiducia in sé e a un deficit nella strutturazione della propria identità.
Due condizioni, queste, da cui possono derivare sensazioni di angoscia dovute al pensiero più o meno consapevole di dovere affrontare una prestazione, con le relative aspettative da parte del mondo degli adulti e dei pari.
Il ritiro sociale degli Hikikomori può essere accompagnato anche da una forte somatizzazione, che prevede sintomi quali: dolori fisici (mal di testa, vomito) e stati d’animo invalidanti, ai limiti della condizione psichiatrica:
- ansia marcata o panico
- umore depresso
- paura dell’esterno o ansia per l’incontro.
Con l’acuirsi di questa sofferenza, possono verificarsi lunghi periodi di blocco in casa e la scuola, i centri sportivi e i gruppi di coetanei iniziano ad essere attivamente evitati.
Il modo in cui gli Hikikomori passano il tempo può variare notevolmente da persona a persona.
Alcuni trascorrono il tempo navigando su Internet, da cui spesso sono altamente dipendenti, giocando a videogiochi o guardando film e serie TV. Altri potrebbero dedicarsi a hobby creativi come la scrittura, il disegno o la musica. Alcuni Hikikomori potrebbero concentrarsi su attività autodistruttive o passare gran parte del tempo dormendo.
Quali sono le cause
L’Hikikomori è una forma di interazione dinamica tra più cause:
- vergogna
- senso di inadeguatezza rispetto a sé stessi e in rapporto agli altri
- senso di disagio percepito, spesso senza consapevolezza, nel passaggio dalla fase infantile a quella adolescenziale.
Quest’ultimo elemento influisce spesso sui cambiamenti dell’immagine di sé e del proprio corpo che l’adolescenza comporta.
Quanto all’immagine di sé, è da rilevare come tra il caregiver e l’adolescente viene condiviso, in modo spesso inconsapevole, un progetto narcisistico grandioso, per il quale ogni possibile fallimento, oppure ogni eventuale delusione, rappresentano qualcosa di emotivamente intollerabile e ingestibile. Ne conseguono ansia, rabbia e frustrazione.
Anche un clima familiare depressivo, o l’avere entrambi i genitori depressi, può incidere sulla fiducia di sé dell’adolescente, proprio quando la sua fiducia è in via di costruzione.
Anche il corpo è un fattore da considerare. Perché il corpo di un adolescente è in trasformazione, biologica e fisiologica, e la stessa psicologia risulta mutare vorticosamente. La mancata integrazione di questo sviluppo può determinare sofferenze.
L’adolescente allora, sentendosi inadeguato o non apprezzabile, tende ad adottare una strategia di camuffamento o alleviamento, fino alla eliminazione del corpo nell’interazione con gli altri. In poche parole: ha paura di essere di essere visto. Il corpo degli adolescenti comunica, anche se spesso è difficile decifrarne la lingua.
La mancanza di fiducia interna, grazie alla quale è possibile elaborare il lutto dell’ideale infantile, può svilupparsi come fonte di incertezza e portare con sé minacce di fallimento. Una protezione a tutto questo viene trovata dall’adolescente nella chiusura.
Se infine, malauguratamente, a questa chiusura si associano casi di bullismo, sofferenza e senso di sfiducia facilitano l’apertura di ferite profonde.
I rischi del ritiro sociale
Il ritiro sociale viene visto dall’adolescente hikikomori come la soluzione immediata al suo dolore: somatizzazione e angosce tendono a sparire, e si ha l’illusione momentanea del controllo. Una sorta di farmaco che anestetizza le frustrazioni della vita.
In questo “bunker regressivo” i ragazzi pensano di essere al riparo dai nuovi compiti evolutivi: cambiamenti del corpo, delle responsabilità scolastiche, personali, e delle relazioni, che hanno ormai delle sfumature erotiche e sessuali.
Ma il “costo” di questo paliativo errato è enorme, e può comportare:
- isolamento
- appiattimento affettivo e sentimentale
- blocchi nello sviluppo della personalità
- incapacità di confrontarsi con la realtà
- inibizione della crescita identitaria.
I genitori faticano a capire i comportamenti del figlio ritirato. Inizialmente cercano le cause in patologie fisiche, nella svogliatezza o in atteggiamenti da “bambino capriccioso”. Questa fatica è comprensibile e dolorosa, e deriva dalla difficoltà nel vedere che la sofferenza del ragazzo è profonda, reale.
Tutte le dinamiche familiari sono messe in discussione, e il lavoro del terapeuta con i genitori consiste nel progressivo avvicinamento tra la sofferenza del figlio e quella dei genitori stessi, per sviluppare una reciproca comprensione e un mutuo ascolto.
Difficoltà nel riconoscerlo
La difficoltà nel conoscere il fenomeno potrebbe dipendere dal fatto che esso è un’espressione silenziosa di un disagio: l’adolescente che fa uso di sostanze, o che sviluppa disturbi alimentari, utilizza forme “attive” per esprimere una sofferenza; mentre il ragazzo che si chiude nella stanza sceglie (più o meno consapevolmente) una modalità di espressione di un disagio ancor più complessa da decodificare rispetto ad altre.
Inoltre, mancando studi longitudinali e trasversali sul fenomeno, non è ancora possibile sciogliere il dibattito sul come considerare l’Hikikomori: se un problema culturale sociologico o un quadro clinico psicopatologico.
Non essendoci criteri diagnostici disponibili, Aguglia et al. (2010) sottolineano come si rischia di confondere la condizione dell’Hikikomori con l’esordio di una schizofrenia per via della presenza in entrambi i casi del ritiro sociale e della bizzarria dei sintomi; nell’autoreclusione, però, mancherebbero deliri e allucinazioni.
Inoltre, l’Hikikomori può avere pensieri intrusivi che però sono legati a esperienze personali del ragazzo stesso piuttosto che essere sganciate dalla realtà.
Sebbene ci siano differenze culturali tra oriente ed occidente, Ricci (2008) trova come punto di contatto tra il fenomeno giapponese e quello italiano la presenza di una figura materna iperprotettiva che non consente al figlio la possibilità di sperimentare e tentare di risolvere le difficoltà che incontra nel proprio cammino.
Ricordiamo, infatti, che la sperimentazione per un adolescente è fondamentale per la costruzione della propria identità e dell’uomo che sarà domani. Senza di essa, il ragazzo rimarrà confuso, spaesato, con la sensazione di non sapere ciò che desidera e ciò che vuole essere; finendo così probabilmente per seguire le scie dei desideri di qualcun altro scambiandoli come propri.
In alternativa l’adolescente può scegliere di ritirarsi dal mondo esterno per tentare di costruire la propria strada senza confrontarsi con l’esterno.
In questo secondo caso, possiamo ipotizzare un altro punto di contatto tra il fenomeno giapponese e quello italiano: la scelta di autorecludersi per evitare di confrontarsi con un mondo esterno pressante, o che si vive come insostenibile o inadatto per sé.
Ritirandosi il ragazzo non deve fare i conti con le sfide che la quotidianità gli presenta (da quelle scolastiche a quelle relazionali).
A tal proposito Pietropolli Charmet (citato in Mangiarotti, 2009) pone in evidenza anche un altro punto che i giovani autoreclusi italiani possono avere in comune con quelli giapponesi: la percezione che lo scarto tra ciò che desiderano e il contesto reale sia troppo grande da poter essere affrontato, e ciò che si desidera diventa in tal modo avvertito come impossibile da raggiungere.
Il risultato di questo processo, secondo Lupi e Piotti (2015), è che il ragazzo non prova vergogna per qualcosa che ha fatto o per un suo modo di essere; ma piuttosto per ciò che non riesce ad essere o a realizzare.
Come prevenire la sindrome
La sindrome da hikikomori è un problema complesso la cui prevenzione richiede un approccio multidimensionale e multidisciplinare. Ecco alcune strategie che possono contribuire a prevenire la sindrome da hikikomori:
- Insegnare ai giovani abilità sociali a partire dalla giovane età può aiutarli a sentirsi più a loro agio nelle interazioni sociali. Le scuole e le organizzazioni possono offrire programmi di formazione sull’assertività, la comunicazione e la gestione dello stress.
- Creare un ambiente familiare empatico e sicuro in cui i giovani si sentano compresi e sostenuti. Gli adulti devono essere disposti ad ascoltare le preoccupazioni dei giovani e a cercare aiuto professionale se necessario.
- Limitare il tempo trascorso online, specialmente sui social media e nei giochi online, può aiutare a prevenire l’isolamento eccessivo.
- Promuovere l’attività fisica per contribuire a migliorare e preservare la salute mentale dei giovani.
- Integrare l’educazione sulla salute mentale nei programmi scolastici affinché i giovani sappiano come e quando chiedere aiuto.
- Essere consapevoli dei segni precoci di isolamento sociale e problemi emotivi. L’intervento precoce di insegnanti, genitori e amici può fare la differenza nella prevenzione della sindrome da hikikomori.
- Aiutare i giovani a stabilire obiettivi di vita significativi e a sviluppare un senso di scopo può contribuire a prevenire l’isolamento sociale e la mancanza di motivazione.
- Ridurre la pressione scolastica che spesso può rivelarsi opprimente. Promuovere un ambiente educativo meno competitivo può essere importante.
È importante riconoscere che la sindrome da hikikomori è complessa e che non esiste una soluzione unica. La prevenzione richiede sforzi su più fronti e un impegno continuo nella promozione del benessere mentale dei giovani.
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2 Comments
Salve conosco il problema da vicino. È una lotta continua con piccole vittorie e tantissime sconfitte e come al solito le scuole (docenti) non sono pronte neanche a riconoscere il problema…una delle cause è il bullismo…x loro sono questi ragazzi ad essere troppo sensibili! Io non mollo!
Cara Rossella, non deve mollare.
Le rispondo via mail in privato.