
Disturbo della balbuzie
21/04/2017
I parlatori tardivi
23/04/2017I bambini tardivi sono quelli che sbocciano tardi.
I bambini tardivi o Late Bloomers, che dall’inglese significa “bambini che sbocciano tardi”, si riferisce ai bambini che, senza patire alcuna patologia invalidante, hanno uno sviluppo ritardato rispetto alla media, ossia tutti quei bambini che non sono i primi a camminare, né a parlare, né a leggere, né a correre.
Nel caso si tratti di ritardo nel linguaggio si parla di parlatori tardivi o Late Talkers.
Questi bambini non hanno alcuna anomalia, semplicemente hanno bisogno di più tempo per imparare a fare le cose, perché nessun bambino è uguale all’altro.
La maturità e la funzionalità si acquisisce col tempo personale, che viene deciso dal bambino, senza tener conto di statistiche né di altre metriche, come tutte le acquisizioni dell’uomo, solo che tale ritardo spesso allerta i genitori che temono che vi siano delle problematiche cliniche del figlio, messo continuamente a confronto con le capacità e l’evoluzione degli altri bambini coetanei.
In caso di dubbio basta una semplice visita specialistica, ma in circostanze normali concedete a vostro figlio il tempo di cui ha bisogno per crescere e diventare grande.
Quando sono tardivi
Nei casi in cui sia esclusa una patologia clinica, il ritardo nell’acquisire determinate funzionalità motorie o di linguaggio è puramente transitorio, superabile con un po’ di pazienza e senza alcuna complicanza od incidenza sul sano e normale sviluppo del bambino.
I ritardi di un bimbo si possono distinguere in due categorie:
- I Late Talkers , i parlatori tardivi che sono quei bambini che a 24 mesi hanno un vocabolario con meno di 50 parole e non hanno ancora iniziato a combinare le parole in funzione di frase, o formare un complesso di più parole avente un senso compiuto; i parlatori tardivi possono recuperare lo sviluppo linguistico intorno ai 4 anni, oppure evolversi in bambini con Disturbo Specifico del Linguaggio.
- I Late Bloomers, cioè coloro che hanno uno sviluppo generico in ritardo rispetto alla media dei coetanei, sono i cosiddetti “bambini che sbocciano in ritardo” nel camminare, nello stare eretti, nel parlare, ma che rientrano nella norma entro i 36-40 mesi.
Bambini e sviluppo motorio
L’età media per i primi passi è circa di 12 mesi, ma il «calendario» di sviluppo psicomotorio personale varia da caso a caso ed è una questione puramente individuale.
Ogni bambino ha i propri tempi che vanno rispettati: qualcuno può iniziare a camminare precocemente, prima dei 12 mesi di vita, qualcun altro può impiegare più di tempo e aspettare fino ai 16-18 mesi.
Questa è una tappa molto importante per il bambino che deve avere molto coraggio, senso di fiducia in se stesso, voglia di libertà per provare a camminare per la prima volta; ogni piccolo arriva a questo momento solo quando si sentirà pronto per affrontarlo.
Bisogna cercare di assecondare il bambino, che non va mai forzato, ma spronato cautamente e senza insistenza.
Non deve essere il genitore a metterlo in piedi, per poi cercare di lasciarlo da solo, il bambino deve raggiungere autonomamente la stazione eretta, perché solo allora sarà pronto per stare in piedi e muovere i suoi primi passi, a mamma e papà il compito di incoraggiarlo e complimentarsi con lui per i traguardi raggiunti.
Non appena il bambino comincia a spostarsi da solo, occorre riorganizzare gli spazi in casa, eliminare dalla sua altezza tutti gli oggetti fragili o pericolosi, coprire gli spigoli con paraspigoli, le prese elettriche con copri-presa, chiudere i detersivi negli armadietti ed assicurarsi che questi non possano essere aperti dalle manine del bambino (che riescono a fare miracoli non sottovalutateli dunque), togliere i tappeti troppo morbidi che potrebbero farlo inciampare, mentre lasciare quelli che sono sufficientemente rigidi.
Insomma, gli spazi di casa devono essere adeguati alle esigenza del bambino ed alla sua sicurezza, basta una piccola distrazione per causare un indicente domestico sgradevole.
Le tappe del cammino
Ogni bambino segue un suo personale percorso di crescita, anche se si possono dare riferimenti di massima per identificare le tappe dello sviluppo motorio:
- intorno al terzo mese di vita il neonato inizia a mantenere la testa eretta,
- al quarto mese se messo a pancia in giù riesce con forza a tirarsi su con le braccia e se messo sulla schiena sgambetta e muove le braccia,
- al sesto mese sta seduto con appoggio,
- all’ottavo mese sta seduto in modo autonomo e inizia ad accennare un movimento di strisciamento e progressivamente impara a rotolarsi su se stesso,
- ai dieci mesi il bambino è in grado di passare dalla posizione supina a quella seduta in maniera indipendente, si aggrappa alle sbarre del lettino o ad altri appigli per alzarsi in piedi e se messo in piedi vi rimane per un breve periodo,
- all’undicesimo mese riesce a gattonare e a muoversi autonomamente per la casa e se trova appigli si alza in piedi da solo,
- al dodicesimo mese iniziano i primi passi.
La deambulazione eretta è preceduta solitamente dal gattonamento o da spostamenti a terra con varie modalità: da seduto, strisciando, a orso, in ginocchio, ecc., e da spostamenti in piedi tenendosi a vari sostegni: persone, mobili bassi, sedie.
Senza gattonamento
Il gattonamento va considerato come una vera e propria tappa nello sviluppo del bambino, una fase preparatoria che gli permetterà di acquisire sicurezza e abilità, di prendere «le misure» e la consapevolezza delle distanze, delle profondità e di sperimentare ostacoli e pericoli.
Capita che alcuni bambini non gattonino o non sperimentino nessun tipo di spostamento a terra, non importa, cammineranno ugualmente bene con i loro tempi.
Alcuni bambini saltano infatti questa fase e sperimentano altre modalità di movimento, ad esempio strisciano a pancia in giù, si spostano da seduti aiutandosi con mani e piedi, per poi passare direttamente alla stazione eretta.
Il gattonamento non è quindi un pre-requisito necessario per camminare, o una fase obbligatoria, e ogni bambino ha un processo psicomotorio personale.
È bene lasciare tempo al bambino di fare i suoi esperimenti il più possibile in autonomia, trovando da solo il modo di governare il suo corpo e gestire i suoi movimenti.
Il fatto che impari da solo è importante perché i procedimenti connessi alle azioni motorie devono essere assimilate e memorizzate, se fatte da sole abbreviano i tempi delle funzioni ottimali.
Solo in questo modo acquisirà gradualmente sicurezza e si preparerà a poco a poco a mettersi in piedi.
L’atteggiamento dei genitori deve essere sempre giocoso e incoraggiante, mai preoccupato e troppo protettivo, nemmeno deve creare ansia e nervosismo nel bambino che già sta sperimentando cose nuove e pertanto è facilmente suggestionabile.
Una buona «palestra» per consentirgli di fare i suoi esperimenti può essere un tappetone morbido con la gomma sotto, così non si arrotola, con alcuni giocattoli: imparerà a spostarsi nella modalità che gli risulta più congeniale per raggiungerli.
È bene evitare, se il bimbo non lo fa da solo, di sorreggerlo in piedi, e per i primi passi tenendolo per le mani: è probabile che senza di noi lui si senta incapace e che richieda così continuamente il nostro intervento.
Il bimbo deve sperimentare un’autonomia motoria che dovrebbe avere anche un significato psichico ed affettivo di distacco dalle mani dei genitori, e deve acquisire questa sicurezza facendo da sé.
Alcuni bambini perfettamente normali non camminano fino ai 16 – 18 mesi, ma questa condizione non è di per sé allarmante.
La cosa importante è la progressione delle sue abilità.
Se il bambino ha imparato un po’ tardi a rotolare e ad andare carponi, gli servirà qualche settimana in più anche per camminare, l’importante è che continui a imparare cose nuove.
I bambini sviluppano le loro abilità in modo diverso, alcuni più velocemente di altri. In particolare i bambini prematuri potrebbero superare queste ed altre fasi parecchi mesi dopo i loro coetanei.
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2 Comments
Sono capitata su questo articolo cercando informazioni su come superare il mio senso di colpa di mamma. Ho un bambino di 15 mesi che ancora non parla e cammina a stento, anche se lo stimoliamo, anche se frequenta un micronido, anche se passa tempo all’aperto, nella natura, e ha frequenti interazioni sia con coetanei sia con adulti. Vivo questa cosa malissimo, nonostante le rassicurazioni del pediatra, proprio a causa del confronto con altri bambini coetanei e con le loro (a volte spietatamente competitive) madri. Faccio addirittura parte di un gruppo whatsapp dove si fanno paragoni sui progressi di tutti e il mio è sempre quello piu’ indietro, letteralmente su tutto. Tant’è che vorrei togliermi dal gruppo e smettere di frequentare queste ragazze perchè sento che io e mio figlio siamo troppo inadeguati. Nel profondo di me stessa desidero solo che mio figlio cresca felice, indipendente e senza paturnie. Per ora è un bimbo socievole, sorridente e che si interessa a tutte le cose che lo circondano, e anche alle persone. Non ha praticamente mai avuto nessun problema a dormire nè a mangiare, nè problemi di salute, tant’è che ho vissuto il primo anno con lui con grande serenità e soddisfazione, fino a rendermi conto un paio di mesi fa di questi benedetti “ritardi”. Soffro davvero tanto quando penso che lo aspettano potenzialmente anni di confronti continui, e che per il momento è in ritardo rispetto alla media, quindi lo sarà probabilmente anche nelle future tappe della crescita (non so come funzioni in Italia, viviamo in Francia e qui un bambino che non sa parlare bene al momento in cui comincia la materna è già considerato ritardato. Uguale se non sa scrivere all’inizio della prima elementare – e non alla fine come verrebbe naturale pensare.) Mi arrovello tra i sensi di colpa pensando a quali stimoli aggiuntivi avrei potuto o potrei dargli per farlo arrivare “al livello” degli altri. Leggo libri su libri e cerco di applicare tutto cio’ che posso nei limiti del possibile (ho anche un lavoro a tempo pieno, che per me è fonte di soddisfazione economica e personale e che non intendo lasciare; ma so che il tempo che passo lavorando non posso passarlo con il mio bimbo, a parlargli e a stimolarlo. Mi spiace ancora di piu’ stressarlo quando lo vedo stanco e bisognoso semplicemente di coccole e di mangiare e dormire).
Quali sono i metodi pratici per uscire da questa impasse? Cosa potrei fare per smettere di sentirmi cosi’ preoccupata e giudicata? Ho paura di trasmettergli questa ansia e che questo non possa che peggiorare notevolmente le cose per il suo futuro!
Non deve confrontare suo figlio con gli altri, ogni bambino ha i suoi tempi ed i suoi ritmi personali nello svolgere compiti o nel relazionarsi, questo non significa che ha dei problemi magari è semplicemente più riflessivo o più timido.
Il confronto continuo degli altri invece è estremamente deleterio perché lo fa sentire incapace e non al pari degli altri, dandogli la sensazione di essere un diverso, di non essere uguale agli altri e quindi tenderà a rendere sempre meno e ad emarginarsi.
Se proprio vuole farmi valutare la maturità congitiva di suo figlio, che non ha nulla a che vedere con la resa pratica provi a farmi valutare alcuni dei suoi disegni, nel caso decidesse di procedere in tal senso mi scriva privatamente via mail e le darò tutte le indicazioni: info@marilenacremaschini.it
Marilena