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18/01/2020Qui l’analisi dei disegni del Re Vittorio Emanuele III pubblicata sul quotidiano Libero Pensiero.
In un articolo del giornalista Andrea Cionci, pubblicato sul quotidiano Libero Pensiero in data 20 dicembre 2019, poi riprodotto da Caterina Spinelli il sul sito di Libero Quotidiano.it, unitamente ad altri autorevoli artisti e critici, come il critico d’arte Vittorio Sgarbi ed il pittore Giorgio Dante, anch’io ho prestato il mio contributo per una valutazione del significato intrinseco e psicologico delle opere eseguite dal sovrano.
I disegni del Re
Nell’articolo sono pubblicati soltanto alcuni dei disegni del Re Vittorio Emanuele III, ma grazie a tutta la produzione grafica che mi è stata prodotta ho potuto esprimere una mia personale valutazione.
Il disegno o il dipinto sono sempre simbolici, essi sono la trasfigurazione dei sentimenti, delle emozioni e dei desideri dell’artista e come tali possono essere analizzati e studiati per capire il sentimento dell’autore.
Esaminandoli posso dire che i colori preferiti dal Re Vittorio Emanuele III ricordano il tramonto, coi suoi tratti rosei e seppiati ed a volte grigiastri.
Essi ricalcano dei momenti di pace al volgersi della sera oppure un ritrovo dopo il lavoro, un momento di relax a termine della giornata, come a ricercare la lentezza e la serenità della sera dopo una lunga giornata di lavoro.
I personaggi rappresentati sembrano essere pronti per mettere da parte le tribolazioni del giorno per un momento di condivisione amichevole, un momento di confronto per prepararsi per il raccoglimento serale.
Questa ricerca della calma della sera nei quadri del Re, di quella lentezza del momento del tramonto, quando ormai la giornata volge al termine, è rigenerante nella sua staticità e tranquillità.
Disegnando questo momento di riposo il Re sembra voler prendere le distanze dai mille impegni giornalieri che affollavano le sue giornate e che probabilmente non lo abbandonavano nemmeno di notte; ma nei suoi quadri egli anela a qualcosa che forse gli sfugge nella vita reale: i momenti sobri, leggeri, fatti di pace e di oblio da tutto ciò che creava tensione ed ansia.
Anche le riproduzioni paesaggistiche del tutto prive di personaggi raccontano del loro vissuto che ci è già stato in quei posti, come se le persone trasparissero dalle pareti a mo’ di fantasmi, trasparenti ma non invisibili del tutto, a monito di tutto ciò che in tali abitazioni, palazzi o rifugi, fosse accaduto nel passato.
Cosa dicono i disegni
Il vissuto, i fatti del passato, le opere compiute sono molto importanti per Vittorio Emanuele III tanto quanto il fatto che non debbano essere dimenticati, poco importa se non traspaiono in maniera eclatante o palese, l’importante è che il ricordo di essi non vada perso.
Un’ultima nota, i quadri sono colmi di colori e immagini: era molto importante, quindi, per il Re Vittorio Emanuele III che lo spazio fosse interamente riempito, invaso (almeno nella parte centrale che è l’essenza dell’immagine), come se la vita e i trascorsi lasciassero un’impronta che deve rimanere indelebile nella mente, e le azioni, le gesta, non devono essere dimenticate o inutilmente sprecate.
Questi disegni in acquarello dimostrano la sensibilità e la profondità di Vittorio Emanuele III, che desidera ritagliarsi dei momenti da uomo normale per desiderare cose da persona normale, e cioè che ciò che fa per gli altri non passi inosservato.
Gli affetti familiari e i sentimenti sinceri sono ciò che ricerca Vittorio Emanuele III dopo essersi dedicato agli altri per tutto il giorno, è da loro che vuole tornare dopo ogni cosa.
L’articolo su Vittorio Emanuele III
Di seguito le due immagini che riproducono l’articolo in questione e che potete trovare e leggere integralmente sul quotidiano Libero Pensiero.
Qui il link all’articolo per chi volesse visionarlo direttamente dal sito di Libero Quotidiano.it.
Qui di seguito riporto il testo integrale dell’articolo apparso su Libero Pensiero relativo all’analisi dei disegni di Vittorio Emanuele III, con l’intervento mio, di Vittorio Sgarbi e del pittore Giorgio Dante.
Più bravo a dipingere
Vittorio Emanuele III era più bravo a dipingere che a regnare in Italia.
Secondo Degas «il disegno è l’espressione più diretta e spontanea dell’artista: una specie di scrittura che rivela -meglio della pittura – la sua vera personalità».
Ecco perché rivestono un interessante valore documentale i disegni da poco ritrovati e che ci presentiamo in esclusiva: sono i lavori del giovane Vittorio Emanuele III di Savoia, da lui realizzati tra i dodici e i diciotto anni di età.
Un carattere schivo, diffidente e malinconico quello del “Re soldato”, amante di discipline “da biblioteca”, come storia, geografia e numismatica.
Non è difficile immaginarlo da ragazzo, mentre riprendeva dal vero i suoi paesaggi nella beata solitudine campestre.
Sulla sua figura di monarca la storia ha espresso giudizi pesanti – per il voltafaccia dell’8 settembre e lo sbando cui furono abbandonati i nostri militari – che hanno spazzato via i suoi primi discreti anni di regno e il merito di aver vinto la Grande Guerra.
Il dileggio si è poi spesso accanito sull’unica cosa della quale non aveva colpa, ovvero il suo aspetto fisico.
Forse a causa della consanguineità dei suoi genitori, Umberto I e Margherita di Savoia-Genova, cugini fra loro, o forse per via di un parto difficile, crebbe di statura solo fino ai 153 cm.
CAPRO ESPIATORIO. Per via di questi e altri fattori, la storiografia non lo ha mai molto considerato, ritenendolo una figura mediocre.
Per larga parte degli ambienti monarchici e per storici più di nicchia, invece, Vittorio Emanuele III è stato un personaggio molto travisato, che ha fatto ciò che poteva in una situazione di grave difficoltà, poi divenuto un capro espiatorio per coprire altri e maggiori responsabili.
Fatto sta che quando il sovrano, nel 1946, abdicò e scelse l’esilio, Vittorio Emanuele III non poteva portare tutto con sé e donò parte dei suoi archivi e dei suoi averi, tra cui uniformi e decorazioni, a funzionari e cortigiani fedeli.
Parte di questo materiale è stato acquisito recentemente da un collezionista e, dato che era già molto ben catalogato, è stato da poco esposto a Roma, nel 150° della sua nascita, presso il Museo dei Granatieri di Sardegna.
Diretto dal tenente colonnello Bruno Camarota, insieme all’appena riaperto Museo della Fanteria, quello dei Granatieri è una realtà molto attiva e da alcuni anni propone ricche e frequenti mostre su personaggi storici di primo piano.
Le fotografie del Savoia, per grandissima parte completamente inedite, erano già ordinate in buste divise per soggetto e situazione: vi sono quelle relative ai figli, alla consorte regina Elena, a scene di quella intimità familiare che regalò a Vittorio Emanuele i pochi momenti davvero felici della sua esistenza.
Vi è persino una busta del medico personale del Re, conte Quirico, che, tra le altre cose, custodisce ancora gli aghi utilizzati per le vaccinazioni del sovrano e dei suoi figli.
Si può dire, quindi, che l’esposizione al Museo dei Granatieri conserva anche un campione del Dna della famiglia reale.
Una componente cospicua del materiale cartaceo è costituita da sessantanove, tra acquarelli e disegni a matita, che ritraggono paesaggi, castelli, capanne contadine, ponticelli, rovine romanticheggianti.
«Mentre i dipinti di Hitler», commenta Vittorio Sgarbi, «stupiscono di più, per il solo fatto che una personalità come quella del dittatore tedesco amasse la pittura e l’arte, i lavori di Vittorio Emanuele III sostanzialmente confermano un’individualità “diminutiva” e poco originale, certamente bene educata, col suo vedutismo alla Massimo d’Azeglio, o le copie accademiche di ritratti forse ripresi da Benozzo Gozzoli o da qualche altro pittore fiorentino.
Del resto, Casa Savoia è stata grande fino a Umberto I, ma con Vittorio Emanuele III ha segnato la sua fine».
PROSPETTIVA. Un accademismo scolastico non privo di qualche pregio, tuttavia.
Secondo il pittore Giorgio Dante, affermato esponente del figurativismo contemporaneo: «Sebbene di qualità variabile, i disegni di Vittorio Emanuele III sono interessanti e ben fatti, quasi certamente eseguiti dal vero e denotano un ottimo studio prospettico delle complesse architetture.
Le poche cancellature mostrano una mano sicura, il segno nitido e leggero è attento al rispetto delle luci.
Nonostante il soggetto difficile, l’acquarello monocromo è un bellissimo lavoro.
Certamente il giovane principe assorbì i dettami di un’Accademia che, a fine ‘800, era giunta al culmine della tecnica».
La grafologa Marilena Cremaschini, specializzata nell’analisi delle personalità attraverso il disegno, offre questa interpretazione: «I disegni evocano momenti di pace al volgersi della sera, come a voler ricercare la lentezza e la serenità dopo le avversità del giorno.
Colpisce l’assenza assoluta di figure umane nei suoi paesaggi, espressione di un bisogno di ritirarsi proprio dal contatto con gli altri.
Questa esigenza di privacy emerge anche dalla “insularità” dei disegni, raccolti e concentrati al centro del foglio con un ampio margine bianco intorno.
I soggetti riguardano spesso edifici antichi, o rovine, segno che i fatti del passato erano davvero importanti per il futuro Re.
L’uso dei colori o della scala di grigi denota una spiccata sensibilità, ma il chiaroscuro è molto controllato come se tutto quello che lui avrebbe voluto fare, od essere, fosse stato impedito dal suo ruolo, o forse anche dalla sua fisicità».
Che siano artisticamente validi, o meno, su quei fogli ingialliti, rimangono fissate le luci e ombre – per quanto tenui – di una personalità che ha tenuto in mano le sorti della Patria per ben 46 anni e che per questo meriterebbe di essere studiata più a fondo. Di Andrea Cionci
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