
10 maschere del manipolatore
29/06/2023
Il sadico Ted Bundy
06/07/2023Jeffrey Dahmer è noto come il cannibale di Milwaukee.
Jeffrey Dahmer è destinato a rimanere negli annali per i disumani omicidi commessi tra il 1978 ed il 1991. Dopo essere stato condannato all’ergastolo nel 1992, non ha scontato la sua pena perché due anni dopo è stato ucciso da un altro detenuto affetto da schizofrenia, Christopher Scarver.
Sono diversi i soprannomi che hanno accompagnato l’immagine di Jeffrey Dahmer negli ultimi 30 anni: il Diavolo, il Mostro, il Serial Killer perverso o il Cannibale di Milwaukee; ma lui ha sempre sostenuto di non essere pazzo, nel senso clinico del termine, perché malgrado la scelleratezza delle sue azioni, Jeffrey era totalmente cosciente mentre compieva quei delitti e consapevole delle spietate atrocità che infliggeva alle sue vittime, eppure, sapeva anche di “non poter farne a meno”.
L’inizio della fine
La sera del 22 Luglio del 1991, un giovane afroamericano di 32 anni, Tracy Edwards, correva seminudo e ammanettato per le strade di Milwaukee chiedendo aiuto.
Imbattutosi in una volante della polizia, raccontò di essere stato drogato ed ammanettato da un uomo che aveva cercato di ucciderlo.
I due poliziotti, Robert Rauth e Rolf Mueller, increduli, accompagnarono il ragazzo presso l’abitazione da cui era riuscito a scappare per verificare i fatti.
Quando i poliziotti giunsero davanti alla porta dell’appartamento 213, all’indirizzo 924 di North 25th Street di Milwaukee, percepirono un odore nauseabondo provenire dal suo interno.
Un uomo aprì la porta e li lasciò entrare, “l’aria era irrespirabile”, i due agenti gli chiesero di fornire le chiavi delle manette ancora ai polsi del giovane Tracy che, sotto choc, farfugliava ancora ciò che l’uomo aveva cercato di fargli e chiedeva ai due agenti di ispezionare la casa.
Uno dei due poliziotti aprì il cassetto di un comodino, al suo interno trovò centinaia di polaroid che ritraevano prima ragazzi incoscienti in assurde posizioni e successivamente i rispettivi cadaveri smembrati.
Scattò subito l’allarme al Dipartimento di Polizia di Milwaukee. L’uomo venne arrestato, ma non oppose resistenza, anzi, affermò che avrebbe meritato la morte per ciò che aveva fatto.
Quella sera il mondo venne a conoscenza dell’esistenza di uno spietato Serial Killer che viveva a Milwaukee e che aveva mietuto 17 vittime nel corso dei suoi tredici anni di furia omicida. Il suo nome era Jeffrey Dahmer e da allora la storia lo avrebbe ricordato come il Cannibale di Milwaukee.
L’infanzia di Dahmer
Jeffrey Lionel Dahmer nacque a Milwaukee il 21 Maggio del 1960. Ebbe un’infanzia tranquilla e nella norma, almeno fino al compimento dei 6 anni, quando si trasferì in Ohio con la sua famiglia; figlio di Lionel Harbert Dahmer e Joyce Flint, lui un chimico e lei un’istruttrice di telescriventi.
Dopo il suo trasferimento a Doylestown, Jeffrey si ritrovò spesso da solo: il padre era assente per motivi accademici; la madre, che soffriva di depressione da prima che Jeffrey nascesse, trascorreva la maggior parte del tempo a dormire e da sveglia era talmente intontita dalle pesanti pillole che assumeva da non potersi prendere cura del figlio.
Anche quando entrambi i genitori erano presenti, le liti tra i due erano talmente violente da dimenticarsi della presenza del bambino.
Ad ogni modo, nel Dicembre del 1967 la coppia mise al mondo David, con cui Jeffrey però non strinse mai un vero legame.
Il gioco macabro di Dahmer
Nel 1968 la famiglia si trasferì ad Akron, Ohio, e fu lì che Jeffrey, all’età di 8 anni, scoprì l’unica passione che lo tenne impegnato nei pomeriggi solitari in casa Dahmer: collezionare carcasse di animali morti che poi seppelliva nel bosco vicino casa.
Quando il padre, Lionel, venne a sapere degli interessi del bambino, non lo scoraggiò dal proseguire, ma anzi lo spronò insegnandogli le tecniche migliori per sbiancare le ossa e preservare gli scheletri degli animali, convinto che quella passione fosse pura curiosità scientifica.
Eppure, nel 1975, la “curiosità” di Jeffrey andò oltre la sfera accademica quando trovò un cane morto per strada.
Dahmer raccolse il suo cadavere da terra e decise di decapitarlo, impalò il teschio su di un bastone e inchiodò il corpo dell’animale ad un albero nel bosco dietro casa. Questa sanguinaria esperienza non fece che alimentare la passione di Jeffrey, che si tramutò in un vero e proprio desiderio di morte.
La situazione familiare, nel frattempo, non fece che peggiorare, culminando in un divorzio nel 1977. La madre Joyce si trasferì in un’altra città assieme al fratellino David, mentre Lionel andò ad abitare per alcuni mesi in un Motel.
Jeffrey, ormai adolescente e perennemente solo in casa, cominciò a bere molto anche nelle ore diurne, arrivava ubriaco a scuola e studiava poco.
Fu più o meno in quel periodo che comprese di essere attratto dagli uomini, ma decise di non confessarlo alla famiglia per paura di non essere accettato.
Il giovane Dahmer riuscì a diplomarsi a 18 anni. Correva l’anno 1978, anno in cui commise il suo primo omicidio.
Primo omicidio
Steven Hicks aveva appena 19 anni l’estate in cui, mentre faceva l’autostop chiedendo un passaggio per un concerto rock, venne adescato da Jeffrey.
Il ragazzo lo attirò a casa sua, gli offrì della birra e gli promise di portarlo al concerto. Dopo un paio di birre Steven chiese di andare, poiché doveva raggiungere i suoi amici e la strada era lunga fino al concerto, ma Jeffrey temporeggiava dicendo che a breve si sarebbero messi in viaggio.
Quando il giovane Hicks, spazientito e a disagio, fece per andarsene, la furia di Jeffrey esplose al punto che decise di colpirlo in testa con un manubrio di 4,5 kg per poi strangolarlo con il suo manico.
Spogliò il cadavere del ragazzo e ne abusò.
Per disfarsi del corpo, pensò di dissezionarlo come aveva imparato a fare con gli animali e seppellirne i resti in giardino.
Nonostante la macabra uccisione di Steven, i desideri di Jeffrey non erano ancora pienamente appagati, infatti, a distanza di qualche settimana, decise di riesumarne il corpo, scioglierlo nell’acido e frantumarne le ossa.
Del ragazzo rimasero pochi frammenti che disperse nel bosco, ma che la polizia non riuscì mai a ritrovare.
Fu così che Jeffrey commise il primo omicidio nella casa dei suoi genitori.
Steven fu la prima vittima di una lunga lista di giovani uomini che moriranno in modi terribili.
La dipendenza dall’alcol
Nell’Agosto di quell’anno, Dahmer si iscrisse all’Università statale dell’Ohio, dietro consiglio di suo padre Lionel che, tornato a casa, scoprì che il figlio aveva trascorso l’intera estate da solo, facendo continuo abuso di alcol.
Jeffrey, comunque, non frequentò mai le lezioni e continuò a bere notte e giorno.
Dopo tre mesi, lasciò l’università e si arruolò nell’Esercito Militare degli Stati Uniti nel 1979, dove si specializzò, ironia della sorte, come medico da campo.
Questa nuova professione lo tenne a stretto contatto con uomini gravemente feriti, molto probabilmente fu questo il motivo per cui la scelse.
I suoi problemi con l’alcol peggiorarono e le sue prestazioni lavorative ebbero un notevole calo, fintanto che, nel 1981, venne congedato con onore dall’esercito americano, ma non ebbe il coraggio di confessarlo al padre, perciò decise di trasferirsi a Miami, in Florida.
Lì trovò lavoro in una salumeria e visse per mesi in un Motel. Spendeva tutto il suo denaro in alcol e finì per essere sfrattato dal motel e costretto a dormire in spiaggia. Dopo mesi vissuti per strada, Jeffrey trovò il coraggio di chiamare il padre Lionel e lo pregò di poter tornare a casa in Ohio, con la promessa di comportarsi bene.
All’inizio si sforzò veramente di non trasgredire alle regole e si mostrò volenteroso nello svolgere faccende e commissioni per Lionel e la sua compagna Shari, ma ben presto ricadde nei soliti vizi: ricominciò a bere e fu arrestato per alcolismo.
Venne accusato di ubriachezza molesta e condannato al pagamento di una multa di 60 dollari e alla reclusione in carcere per 10 giorni (pena che fu sospesa per decisione del giudice che decise di dare a Jeffrey un’altra possibilità, evitandogli il carcere).
Nel Dicembre del 1981, Lionel e Shari, delusi dal comportamento del figlio, mandarono Jeffrey a vivere con la nonna Catherine a West Allis, in Wisconsin.
Inizialmente sembrava che la nuova sistemazione avesse sortito un buon effetto nel giovane Dahmer, il quale non solo trovò lavoro come flebotomo (addetto ad eseguire salassi), ma diminuì la sua dipendenza dall’alcol e cominciò a frequentare la chiesa assieme alla nonna.
Ma questi miglioramenti durarono poco tempo: il 7 Agosto del 1982 Jeffrey fu arrestato per atti osceni in luogo pubblico, dopo aver esibito le parti intime “alla presenza di 25 persone tra cui donne e bambini”, e venne condannato al pagamento di una multa da 50 dollari.
A seguito del suo arresto venne licenziato e rimase disoccupato per qualche anno, vivendo alle spalle della nonna Catherine.
Nel 1985 trovò lavoro in una fabbrica di cioccolato di Milwaukee, ma fu in questo periodo che i suoi desideri perversi si risvegliarono.
Dopo l’omicidio di Steven, Jeffrey si accontentò di torturare animali e trascorrere intere serate in compagnia di manichini che nascondeva nell’armadio, cercando di reprimere le “pulsioni” sessuali e distruttive che tornavano a galla di tanto in tanto.
Ma un giorno, mentre si trovava nella biblioteca pubblica di Allis, un ragazzo gli passò un biglietto in cui si offriva di praticargli del sesso orale.
Dahmer non rispose al biglietto, ma questo particolare episodio lo riportò a rimuginare sulle sue ossessioni di dominare e sopraffare gli uomini. Cominciò così a frequentare i bar gay della città dove conobbe le successive vittime.
La seconda vittima
Nel 1987, Jeffrey incontrò il 25enne Steven Tuomi e lo invitò in una camera presa in affitto all’Ambassador Hotel di Milwaukee.
Dahmer drogò i drink del ragazzo ed ebbe un rapporto consensuale con lui, almeno secondo le dichiarazioni del Killer che asserì che le sue intenzioni non fossero quelle di ucciderlo ma che volesse solamente dormire con lui.
Eppure, il mattino seguente, quando Jeffrey si svegliò in stato confusionale, apprese della prematura dipartita del giovane Tuomi.
Il ragazzo giaceva accanto a lui nel letto e sembrava che dormisse, rivelò Dahmer, ma poi si accorse dei grandi lividi sugli avambracci di Steven e vide il suo sterno completamente sfondato.
Nella notte del 20 Settembre dell’87, Jeffrey Dahmer aveva mietuto la sua seconda vittima
Rinchiuse il corpo di Tuomi in una grande valigia e lo portò a casa di sua nonna dove, in cantina, ebbe rapporti sessuali con il suo cadavere, per poi smembrarlo, scioglierlo nell’acido e gettare via i resti nella spazzatura.
Questo modus operandi divenne uno schema ricorrente che adottò con quasi tutte le sue vittime, a cui si aggiunsero anche altre perversioni.
Gli altri omicidi
A distanza di sette mesi uccise la sua terza vittima, un 14enne di origini nativo-americane adescato in un bar gay con la promessa di offrirgli 50 dollari per degli scatti fotografici di nudo. Jamie Doxtator fu drogato, seviziato e strangolato nella cantina della nonna Catherine.
I gusti sessuali del Mostro diventarono sempre più specifici: prediligeva vittime di etnia mista, tra cui messicani e asiatici, ma la maggior parte dei ragazzi che sedusse e uccise furono afroamericani.
Nel 1988, Dahmer fu accusato di violenza sessuale ai danni del tredicenne Somsak Sinthasomphone di origini laotiane. La vittima fu attirata in un Motel per delle foto di nudo ben retribuite. Somsak fu uno dei pochi che riuscì a salvarsi dalle grinfie dell’assassino.
Jeffrey fu condannato a 10 mesi in un ospedale psichiatrico, ma appena uscito tolse la vita al 26enne afroamericano Anthony Sears, a cui tagliò e mummificò testa e genitali che conservò per sé.
La nonna lo mandò via di casa per la sua recente condanna, per il suo continuo stato di ubriachezza, ma soprattutto per gli strani rumori ad ora tarda e il tanfo disgustoso proveniente dalla cantina, dove Jeffrey diceva di tenere un laboratorio in cui dissezionava gli animali.
Catherine credette per molti mesi che il nipote si dedicasse davvero al suo hobby, ma la puzza non fece che peggiorare e la donna costrinse Jeffrey a traslocare.
La tana del mostro
Nel nuovo appartamento al 924 di North 25th Street si consumarono altri 12 omicidi.
Il Mostro, finalmente da solo e lontano dagli occhi indiscreti della nonna, poté dare sfogo ai suoi più sordidi istinti. Non si limitò più a strangolare, violentare e smembrare le sue vittime, ma cominciò a mangiarne parti del corpo a crudo o cucinate sui fornelli.
Anche qui, il fetore rivoltante causato dalla conservazione e cottura della carne umana suscitò molte lamentele nel vicinato, che allertò più volte il capocondomino e la polizia di Milwaukee, ma nessuno fece mai nulla di concreto.
La sera del 26 Maggio del 1991 la polizia finalmente arrivò agli ex appartamenti Oxford, stabilimento dove abitava Jeffrey, grazie alla chiamata di due donne molto preoccupate: Glenda Cleveland e Sandra Smith, madre e figlia.
Le due erano vicine di casa di Dahmer e dissero alla polizia di aver trovato un ragazzo molto giovane vagare nudo e incosciente per il palazzo.
Konerak Sinthasomphone, appena 14enne e fratello di Somsak, era riuscito a scappare dall’appartamento del suo assassino nel cuore della notte.
Il Mostro lo aveva attirato a casa sua quel pomeriggio con la solita offerta di denaro, ma poi lo aveva drogato, violentato e lobotomizzato (tentato di lobotomizzare con metodi casalinghi) affinché non riuscisse a scappare.
Dahmer, quella sera, uscì di casa per comprare altro alcol, lasciando il piccolo Konerak svenuto e riverso nel suo sangue, ma questi rinsavì e scappò.
Mentre le donne parlavano con la polizia e mostravano il sangue presente sul corpo di Konerak che purtroppo non riusciva a parlare date le lesioni celebrali, il Mostro tornò a casa.
Jeffrey disse alla polizia che quello era il suo fidanzato John e che fosse scappato in seguito ad una lite di coppia. Gli agenti credettero alla sua versione e al fatto che il ragazzo era tanto ubriaco da non riuscire a parlare.
Così, nonostante le rimostranze e lo sconcerto di Glenda e Sandra, riaccompagnarono Konerak nell’appartamento di Dahmer, in cui fu violentato e cannibalizzato dal Mostro poco dopo.
Glenda Cleveland, comunque, non smise mai di chiamare la polizia per accertarsi che Konerak stesse bene, ma di lui non si ebbero più notizie
Il Cannibale di Milwaukee attuò altri quattro massacri prima di essere scoperto. Il suo ultimo omicidio fu ai danni del 17enne Joseph Bradehoft, i cui resti furono rinvenuti dalla polizia nel freezer di Dahmer tre giorni dopo.
L’arresto di Dahmer
Il 22 Luglio del 1991, Tracy Edwards fuggì dall’appartamento 213, soprannominato “il mattatoio 213”. Infine, dopo un intervento della polizia Jeffrey Dahmer fu arrestato.
Nell’appartamento furono rinvenute sei teste umane, resti di carne e genitali maschili nascosti nei cassetti della cucina e in soggiorno, e grandi bidoni contenenti corpi disciolti nell’acido.
Il processo si tenne il 30 Gennaio del 1992 a Milwaukee e l’assassino fu condannato per 15 capi d’imputazione a fronte dei 17 confessati, per mancanza di prove sufficienti per due omicidi.
Venne recluso nel Columbia Correctional Institute di Portage, carcere detentivo di massima sicurezza, dove avrebbe dovuto scontare la pena di 957 anni di reclusione, ma vi rimase per soli 2 anni.
Nel 1994 fu ucciso da un detenuto affetto da schizofrenia, Christopher Scarver, che lo colpì in testa con un peso. Morì il 28 Novembre a causa del trauma cranico, il suo cervello fu asportato e conservato per approfondimenti scientifici.
Jeffrey Dahmer dichiarò alla stampa di non ritenere i genitori responsabili delle sue devianze, perché lui era nato “con il male dentro”.
Asserì più volte di non considerarsi pazzo e di non aver compiuto quelle atrocità per odio, ma per “esigenza”.
Il quadro psichiatrico di Dahmer rivelò la sua paura di essere abbandonato, paura che lo spinse a ridurre dei malcapitati innocenti in zombie, somiglianti ai manichini che conservava nell’armadio da piccolo, cosicché non potessero lasciarlo.
La sindrome dell’abbandono, il disturbo antiasociale, la conseguente solitudine, unita alle parafilie scoperte da bambino, contribuirono a dare forma all’inferno personale di Jeffrey, in cui non visse unicamente in qualità di anima tormentata, ma ne divenne il Diavolo.
Dopo la sua morte, il padre Lionel scrisse un libro autobiografico intitolato: “A Father’s Story” (La storia di un padre) in cui ripercorse l’infanzia di Jeffrey e i possibili motivi che lo spinsero a diventare uno spietato pluriomicida.
La storia del Cannibale di Milwaukee ha ispirato tanti libri, film e serie tv, tra cui la più recente “Dahmer- Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer”.
Se vuoi rimanere aggiornato seguimi sulla mia pagina Facebook-Gruppo: Criminologia e Grafologia.