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03/11/2017Il comportamento prosociale è quello che da importanza all’altro.
La prosocialità è la competenza a favorire, senza la ricerca di ricompense esterne, estrinseche o materiali, altre persone, gruppi o fini sociali oggettivamente positivi, secondo i loro criteri.
La maggior parte degli psicologi intende la prosocialità come qualsiasi comportamento diretto a beneficiare le altre persone. Perché un’azione si possa considerare prosociale, il ricevente della stessa deve inoltre accettarla, approvarla ed esserne soddisfatto.
Questo tipo di comportamento aumenta le probabilità di generare una reciprocità positiva e solidale nelle relazioni interpersonali o sociali successive, migliorando l’identità, la creatività, l’iniziativa positiva e l’unità delle persone o dei gruppi implicati (Roche, 1997).
Prosociale e altruismo
Gli psicologi sono stati spesso curiosi di trovare le risposte al perché le persone si impegnano nel comportamento prosociale.
Una teoria, che risponde a tale quesito, è la selezione parentale: c’è una tendenza più alta ad aiutare coloro che sono legati a noi più di altri. Un’altra teoria chiamata norma di reciprocità parla della necessità di aiutare qualcuno in modo che anche lui possa aiutarci in cambio. L’empatia e i tratti altruistici della personalità sono due altre ragioni che portano le persone a impegnarsi in comportamenti prosociali.
Nel comportamento prosociale c’è una tendenza a prevedere premi psicologici o sociali che aiutano il comportamento, mentre l’altruismo è quando una persona aiuta un’altra senza alcun interesse a ottenere benefici.
Una persona altruista non si aspetta niente in cambio per il suo aiuto. Questo è il motivo per cui alcuni considerano l’altruismo come la forma più pura del comportamento prosociale.
Prestare aiuto o dimostrare altruismo verso chi è in difficoltà può sembrare un gesto naturale ma, diversi avvenimenti di cronaca sembrano smentirlo. Sono noti, infatti, numerosi episodi di mancato soccorso come quello di Kitty Genovese, una giovane donna assassinata in piena notte in un sobborgo newyorchese nel 1964, il cui evidente bisogno di aiuto non sollecitò alcun intervento da parte delle persone presenti.
Numerosi studi sperimentali dimostrano che essere testimoni di situazioni di pericolo insieme ad altri può ridurre la prontezza a prestare aiuto anziché sollecitare altruismo verso le vittime.
Non esistono individui dotati di altruismo “in assoluto”; la psicologia sociale sottolinea come i comportamenti d’aiuto dettati dall’altruismo siano piuttosto il risultato dell’interazione tra le caratteristiche personali di ogni individuo e le specifiche situazioni di vita che egli si trova ad affrontare.
Ciò vuol dire che le persone possono essere guidate dall’altruismo e fornire aiuto in un determinato contesto ma non in un altro.
I comportamenti prosociali, si muovono da motivazioni come lo stesso altruismo, l’empatia, la reciprocità, l’innalzamento dell’autostima e la gratitudine, ma comportano anche un costo in termini di stress, tempo, pericolo per sé stessi: si fornisce aiuto solo se la percezione dei benefici provocati dal proprio altruismo supera i costi ad esso associati.
Come osserva Serge Moscovici (1994), esibire oggi comportamenti prosociali dettati da altruismo sembra quasi “controtendenza” in una società fondata sul primato dell’interesse e del successo individuale, in cui è l’egoismo la norma culturale dominante. In questo senso, molti sono gli studi avviati negli ultimi anni su programmi per educare alla prosocialità.
Prosociale in psicologia
Il comportamento prosociale, in psicologia, viene contrapposto al comportamento antisociale, ovvero quel pattern di condotte che prevedono atti ostili e pericolosi nei confronti della società, quindi in antitesi alle sue regole.
Studi successivi sul comportamento prosociale hanno dato vita a teorie (soprattutto nell’area della psicologia sociale) che ne hanno approfondito la dimensione psicologica, relazionale ed evolutiva, focalizzandosi sulle dinamiche che la definiscono e sulle derivazioni che il comportamento prosociale riporta nella sfera:
- delle emozioni
- dell’identità
- dell’intelligenza
- sulle capacità relazionali.
Lo psicologo G.V. Caprara, nel libro Il comportamento prosociale. Aspetti individuali familiari e sociali, riporta la necessità di considerare l’appartenenza culturale, ad esempio riguardo la tendenza ad attribuire maggiore o minore importanza rispettivamente al Sé pubblico o al Sé privato, e alle imposizioni che derivano dall’appartenenza ad uno specifico gruppo sociale.
Nella teoria del comportamento prosociale di Caprara troviamo una riflessione basata sul concetto di coerenza intra-individuale: ci si aspetta che una persona con competenze prosociali sia anche sensibile, benevola e gentile. Nonostante ciò, la coerenza sembra operare in modalità differenti in relazione al contesto ed alla situazione che si sta vivendo, anche in relazione all’appartenenza a specifici gruppi ed alle imposizioni coinvolte.
Si tende ad esempio ad aiutare con maggiore facilità i familiari, a manifestare comportamenti prosociali in situazioni in cui vi sia una richiesta esplicita ed in cui non vi siano altri che possono accoglierla.
L’attitudine al comportamento prosociale può altresì rispondere:
- al bisogno di appartenenza
- alla necessità di riconoscimento sociale
- all’autentico desiderio di aiutare gli altri, anche a discapito dei propri interessi.
Tuttavia, ciò non rappresenta necessariamente esempio di puro altruismo, in quanto si può aiutare ad esempio per combattere i sensi di colpa legati alle specificità del funzionamento della propria personalità, per gestire l’ansia oppure per sentirsi realizzati nell’amore per sé stessi.
Caprara spiega quindi che gli individui apprendono la prosocialità dall’esperienza, e che la manifestano in relazione ad obiettivi e valori personali.
Accanto alla predisposizione dettata dal temperamento e da una forma di intelligenza emotiva vi è l’influenza delle differenze individuali nella scelta dei comportamenti volontari, riflesso di un complesso e ricco incontro di vissuti emotivi che hanno, probabilmente, indotto la persona ad attribuire particolare rilievo al benessere altrui.
L’abilità prosociale
Il comportamento prosociale si manifesta in azioni specifiche come:
- il sostegno fisico e verbale
- la solidarietà
- la generosità.
Questo pattern di condotta fornisce l’opportunità di avere delle valide alternative ad atteggiamenti aggressivi, favorendo lo sviluppo di relazioni che apportano benessere e supportano l’incremento dell’autostima per coloro che li esprimono.
Quali sono i comportamenti prosociali? Ecco alcuni esempi:
- aiutare: raggruppa tutte quelle azioni che avvantaggiano non soltanto i singoli individui ma la società stessa;
- condividere: l’importanza della condivisione ci è trasmessa sin dall’infanzia, ad esempio nel relazionarci con i fratelli o i coetanei. In età adulta, si condividono ad esempio, il cibo ed il tempo;
- donare: si possono donare oggetti, indumenti a chi è in difficoltà economiche, sostenere enti benefici con donazioni;
- offrire supporto emotivo: possiamo individuare questo comportamento, ad esempio, nella capacità di ascoltare il racconto di qualcuno che soffre emotivamente, di offrirgli un abbraccio, sostenere e incoraggiare;
- aderire alle regole sociali e rispettarne le convenzioni: tra le regole sociali, ricordiamo ad esempio il rispetto del codice stradale o saldare il conto in un negozio. Per quanto riguarda le convenzioni sociali, abbiamo ad esempio salutare le persone, ricambiare i favori;
- cooperare: situazioni per le quali si condivide un obiettivo e si agisce di conseguenza, come ad esempio asciugare i piatti mentre qualcun altro li lava o partecipare ad un progetto umanitario;
- partecipare a progetti di volontariato: prevede la donazione del proprio tempo, come ad esempio aiutare i senzatetto nella distribuzione di bevande calde durante l’inverno, leggere libri e giocare con i bambini ricoverati nei reparti di ospedale, aiutare ad organizzare degli eventi comunitari.
Educare alla prosocialità
Il comportamento prosociale si sviluppa nei bambini a partire dai primi due anni di vita, grazie a tre fattori principali:
- L’osservazione ripetuta e costante del comportamento delle figure genitoriali, o di chi ne fa le veci: osservando come le figure di riferimento si relazionano con essi e con gli altri, i bambini imparano a comprendere le emozioni e i bisogni propri e altrui ed interiorizzano il senso dell’empatia.
- Lo sviluppo della facoltà di percezione-azione nel sistema nervoso, che stimola le capacità empatiche.
- Le caratteristiche dell’ambiente familiare e culturale in cui si cresce: un ambiente in cui si sottolinea l’importanza della relazione con l’altro, del suo rispetto, dell’ascolto delle esigenze e dei suoi sentimenti, dell’interdipendenza reciproca, della prossimità, della fiducia e dell’aiuto reciproco, sviluppa nei bambini un forte senso di responsabilità sociale e di prosocialità.
Per queste ragioni, è rilevante educare i bambini alla prosocialità, all’altruismo e alla solidarietà, al fine di prevenire e ridurre spiacevoli episodi di violenza e aggressività.
Ci sono 3 importanti atteggiamenti prosociali che un bambino dovrebbe imparare e un genitore dovrebbe insegnare:
- Comportamento prosociale dell’aiutare. Insegnare a un bimbo a rimuovere la sofferenza di un’altra persona, permette di aumentare il suo senso di realizzazione e la consapevolezza di essere una brava persona.
- Comportamento prosociale del cooperare: I bambini che non sono in grado di cooperare fanno molta più fatica nel riuscire a lavorare efficacemente con gli altri, durante i loro anni formativi. Inoltre, dalla cooperazione i bambini imparano a delegare le responsabilità.
- Comportamento prosociale della condivisione. Un bambino che è in grado di condividere i suoi giocattoli con gli altri è destinato a diventare un adulto generoso.
Non si dovrebbe mai smettere d’incoraggiare il proprio bimbo ad aiutare, condividere e cooperare. Questi tre comportamenti prosociali non dovrebbero mancare mai nell’educazione di un bambino.
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