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18/02/2023Andrea Matteucci è noto come il mostro di Aosta.
Donne uccise con una spara chiodi e poi smembrate e bruciate, non prima, però, che lui avesse abusato dei loro cadaveri. Nel corso della sua carriera criminale Andrea Matteucci, il serial killer di Aosta, ha ucciso tre donne e un uomo e ha tentato di ucciderne una quarta.
È stato grazie alla sopravvissuta che gli inquirenti sono riusciti a incastrarlo.
Il caso Matteucci
Febbraio 1995, la polizia stradale di Pont-Saint-Martin ferma un uomo sulla trentina su un’auto rubata. È calmo, distinto, educato.
Il comandante della polizia Claudio Savera è perplesso: “Quell’uomo è troppo tranquillo per essere un ladro, sembra inoffensivo”.
Ha ragione Savera. Andrea Matteucci, 33 anni, artigiano specializzato nella lavorazione della pietra, marito e padre di un bimbo di nove anni, infatti, non è un ladro. È un serial killer.
Gli inizi del mostro
Infanzia difficile per Andrea Matteucci: suo padre, un operaio con precedenti penali per furto e ricettazione, abbandona la famiglia proprio nel 1962, l’anno in cui nasce Andrea. Mentre sua madre, Maria Pandiscia, lascia il figlio in affidamento alla sorella Lina in quel di Foggia.
All’età di cinque anni, Matteucci si trasferisce con la madre ad Aosta in un istituto religioso dove rimane fino all’età di 9 anni. Di sua madre Andrea dirà: “Faceva la prostituta e mi faceva assistere agli incontri con i suoi clienti. Io odio le donne che si fanno pagare per stare con gli uomini”.
Davanti al piccolo Andrea la madre si vanta di aver quasi evirato un uomo che aveva esagerato. Aveva preso il coltello e gli aveva tagliato i genitali, si era difesa diceva.
All’inizio ci furono piccoli furti, comunità, il trasferimento con la madre ad Aosta, Andrea diventa adulto.
Con le relazioni non è bravo, è schivo, introverso, in compenso lo è nel lavoro. Sa lavorare la pietra, diventa scalpellino.
A diciotto anni la sua vera natura, nascosta in agguato tra le pieghe di una psiche tormentata, fa capolino.
È la sera del 30 aprile 1980, incontra al Teatro romano di Aosta, Domenico Raso, commerciante con una doppia vita. La moglie e i figli, infatti, non sapevano fosse omosessuale e avesse delle avventure.
Domenico fa delle avances ad Andrea e lui, fingendo di accettarle, lo induce a farsi legare le mani dietro la schiena, poi lo uccide con un coltello da boyscout.
I fedifraghi, per Matteucci, non meritano di vivere.
Il secondo omicidio
Nessuno collegherà Matteucci all’omicidio Raso e lui avrà l’opportunità di sposarsi, di trasferirsi a Villeneuve e avere il suo primo figlio.
Cinque anni dopo, i rapporti con la moglie sono già inesorabilmente deteriorati e l’operaio, si fa sempre più inquieto. Cerca la compagnia di giovani prostitute, sebbene, come riferisce lui stesso: “le donne non dovrebbero fare sesso per soldi”.
Nel 1992, durante un incontro a pagamento con la torinese Daniela Zago a Brissogne, perde il controllo durante un litigio e le spara con una pistola sparachiodi. Non prima, però, di averle chiesto: “Hai dei figli?”.
Nel sistema di valori dell’omicida Matteucci, l’infanzia va protetta a prescindere.
La ragazza non muore, lo prega di portarla all’ospedale, lui la carica in auto e parte, ma solo per trovare un luogo tranquillo dove finire il lavoro.
Quando l’ha fatto, seppellisce il corpo della ragazza alla periferia di Arvier. Ci ripensa, lo disseppellisce, lo seziona e lo brucia in un ‘forno artigianale’ ricavato da un vecchio bidone. È il suo secondo omicidio.
Il terzo delitto
Passeranno due anni prima che uccida di nuovo. Il matrimonio è finito, lui è andato a vivere a Villeneuve con il suo vero padre che ha incontrato solo da poco e che ricetta camion rubati. Stavolta è il turno di Clara Omoregbee, le spara durante un incontro a pagamento, poi fa sesso con il suo cadavere.
Anche questa volta seziona il corpo, lo brucia, e getta quel che resta nelle acque del Dora Baltea.
La sua trasformazione in killer necrofilo è compiuta e ormai, niente più lo trattiene.
Ci riprova con Lucy durante l’ennesimo incontro, cercando di soffocarla con un cuscino e uno straccio. Lei si divincola, gli sfugge e alla polizia va a raccontare di un maniaco che tenta di uccidere le ragazze a bordo di un furgone targato Padova. Testimonianza che peserà.
Il terzo omicidio
Siamo al 1995, Andrea ha una nuova compagna, quando viene fermato alla guida di un’auto rubata. Se la cava con l’imposizione dell’obbligo di firma a Saint-Pierre, senza carcere.
Nessuno, la notte dell’arresto, può immaginare cosa sarebbe accaduto solo due mesi dopo.
Nel frattempo, uccide la sua ultima vittima, Albana Dakovi.
Dopo aver avuto con lei un rapporto sessuale, la porta ad Arnad, dove la finisce con un pugnale e una chiave inglese. Non può liberarsi subito del corpo, però, ha l’obbligo di firma. Non può allontanarsi dal Comune.
Col suo solito furgone Iveco va a Saint-Pierre a firmare il registro. Negli interni del veicolo nascondeva il cadavere della sua quarta vittima.
Nasconde il corpo di Albana in casa per cinque giorni, poi lo fa a pezzi e lo brucia nel bidone. Stavolta, però, qualcuno l’ha visto far salire la ragazza sul suo furgone e ha memorizzato la targa.
Si tratta del convivente di Albana, che comunica subito l’informazione alla polizia. Si incrocia perfettamente con la testimonianza di Lucy, la sopravvissuta, che parlava di un furgone con delle macchie di sangue.
L’arresto
Il 28 giugno 1995 la polizia va a bussare alla sua porta. Matteucci, padre di un bimbo di otto anni, separato, viene arrestato con l’accusa dell’omicidio di Albana Dakovi.
Ne confesserà altri tre, compreso quello del commerciante di Aosta: “Le ho uccise perché le donne non devono farsi pagare per fare l’amore. Sono stato costretto ad ammazzarle. Le odiavo come ho sempre odiato mia madre e capivo che l’unico modo per liberarle dai loro vizi era ucciderle”.
Nel frattempo, l’ispezione a casa sua farà ritrovare, calze a rete, reggiseni, borse, slip femminili. Tutti indumenti appartenenti alle vittime. Spunteranno fuori anche i gioielli di Albana: dopo averli sfilati al cadavere li aveva regalati ad Anna, la compagna.
Cercherà di ritrattare le confessioni, ma verrà comunque riconosciuto colpevole di tutti i delitti e condannato a 30 anni di ospedale psichiatrico giudiziario.
Riconosciuto ‘socialmente pericoloso’ dai periti Francesco Bruno e Anselmo Zanalda, verrà comunque ritenuto seminfermo di mente, per un difetto genetico e per il contesto abusante in cui era cresciuto.
Matteucci esce dal carcere nel marzo del 2017, a 55 anni, entrando poi in una struttura sanitaria psichiatrica.
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