
La paura di restare da soli
08/03/2021
Le 3 fasi della relazione
16/03/2021Il pensiero magico è l’attribuzione illogica di determinate cause.
Roald Dahl diceva che “chi non crede nella magia, non la troverà mai”.
La cosa curiosa è che l’essere umano ha sempre avuto la tendenza a credere nell’elemento magico, sin dalla notte dei tempi. Proprio da questa fede in ciò che non può essere spiegato deriva il cosiddetto pensiero magico.
Ci muoviamo nel mondo secondo la logica di causa-effetto. Così, dinnanzi a un successo o a un fenomeno che non può essere spiegato scientificamente, è facile che sorgano altre spiegazioni, appunto, “magiche”.
Forse questo è uno dei motivi principali per cui le religioni sono sopravvissute allo scorrere dei secoli e al costante progresso scientifico.
Cos’è il pensiero magico
La psicologia e l’antropologia considerano il pensiero magico come la descrizione di attribuzioni illogiche a determinate cause, senza la mediazione di alcuna prova empirica.
Questo fenomeno assume un ruolo rilevante quando il soggetto pensa che il proprio pensiero potrebbe avere delle conseguenze sul mondo esterno. Tali conseguenze possono provenire dal suo stesso agire o dalla credenza dell’intermediazione di forze sovrannaturali.
Dando uno sguardo alle società del mondo, ci accorgiamo che praticamente in tutte le culture esiste il pensiero magico.
Si tratta di un processo naturale che ha un più che probabile fondamento nella biologia. Gli umani stabiliscono relazioni causali in base ad associazioni circostanziali e difficilmente dimostrabili sotto la lente della sistematicità.
È facile trovare esempi di pensiero magico. Un bambino che crede all’uomo nero che lo porterà via se dovesse comportarsi male. Anche il rituale di danza che cerca di invocare la pioggia o che affida un fenomeno atmosferico all’azione di un’entità superiore sono un pensiero magico.
Cause del pensiero magico
Due cause principali ci aiutano a spiegare questo fenomeno del pensiero magico.
Una si riferisce alla contiguità tra eventi, la seconda si può spiegare per mezzo del pensiero associativo:
- Contiguità tra eventi: si riferisce alla generazione di determinate associazioni, come il fatto di credere che un amico sia stato bocciato perché abbiamo desiderato con tutte le nostre forze che non lo passasse.
- Pensiero associativo: consiste nello stabilire relazioni in base a specifiche similitudini. Per esempio, credere che lo spirito di un animale passerà a noi se ne mangeremo il cuore.
Nonostante le cause associate al pensiero magico, questo fenomeno presenta anche delle funzioni importanti.
In altre parole, può tornarci molto utile in alcune situazioni molto concrete:
- Allevia l’ansia: a volte in alcune situazioni stressanti e non di facile soluzione associare l’evento a elementi arbitrali aumenta la sensazione di controllo e riduce l’ansia. Ad esempio, usare un amuleto per sconfiggere determinate paure.
- Effetto placebo: pensare che certi rituali possano curare una malattia potrebbe in effetti stimolare un miglioramento della sintomatologia.
Oggigiorno possiamo trovare decine di esempi che mostrano chiaramente cos’è il pensiero magico.
Si manifesta, di fatto, in situazioni di vita quotidiana, senza che arrivi a essere considerato patologico. Questo vale perché in molti casi il pensiero magico – lungi dal causare malessere – produce sollievo. Il problema sembra nascere quando così non è, o quando tale sollievo a breve termine, diventa poi malessere a lungo termine.
I gesti scaramantici
Nella nostra cultura il pensiero magico è presente sotto forma di scaramanzie e gesti propiziatori, come le credenze associate alla data del venerdì 17 o al passaggio di un gatto nero, a cui seguono gesti scaramantici come “fare le corna”, spargere del sale o “toccare ferro”.
L’abitudine al pensiero scaramantico e ai comportamenti propiziatori è assai diffusa, sicuramente molto più di quanto tutti siamo disposti ad ammettere, e trova fondamento in una ragione psicologica precisa.
L’aspetto fondamentale che ci permette di discriminare, tra la normale scaramanzia da un disturbo è rappresentato dalla complessità dei rituali ‘magici’ e dall’ansia associata allo svolgimento degli stessi.
I rituali superstiziosi “benigni” non compromettono la qualità della vita dell’individuo, sono per lo più abitudini radicate nella cultura popolare e rappresentano l’espressione del pensiero magico.
Nel Disturbo Ossessivo Compulsivo i rituali scaramantici, che non hanno un nesso logico con le ossessioni, oltre ad assorbire una notevole quantità di tempo, assumono un significato eccessivo, ben oltre la normale scaramanzia.
l rituali si manifestano come forme mentali, gesti, formule e comportamenti “magici”, che nella mente della persona hanno la funzione di controllare e ridurre l’ansia.
Si ritiene, infatti, che dal loro buon esito dipenda la neutralizzazione di un danno a sé stessi o alle persone care; per questa ragione vengono svolti con estrema cura e ripetuti diverse volte affinché si possa essere “sicuri” di aver raggiunto la perfezione.
Egocentrismo nei bambini
Tra i 2 e i 7 anni (fase pre-operativa), i bambini possono arrivare a pensare di avere in mano il potere di cambiare il mondo con la sola forza del pensiero, sia in modo volontario sia in modo involontario.
Risulta loro complicato comprendere concetti astratti e al centro del loro sguardo difficilmente si posiziona qualcosa che non sia l’Io. In seguito a ciò, possono pensare che ai loro genitori sia successo qualcosa perché erano arrabbiati con loro o che loro siano la colpa di eventi negativi o di malattie.
In determinate circostanze i bambini possono tendere a colpevolizzarsi per determinati fatti senza aver partecipato all’accaduto.
Tuttavia, tale egocentrismo tende ad attenuarsi con l’età sino a spostarsi ad un metro di valutazione più adeguato.
La superstizione
La superstizione e il pensiero sovrannaturale, così accentuati nella nostra società, ruotano in modo costante attorno al pensiero magico.
Il 13 nella nostra cultura o il 4 in quella giapponese sono numeri che nella coscienza collettiva vengono associati alla sfortuna. Così, diventa un numero sulla maglia che nessuno sportivo vuole indossare o un appartamento in cui molti non vogliono vivere.
Di fronte alle difficoltà della vita l’uomo, sin dai primi albori della sua esistenza, è stato costretto a utilizzare strategie di sopravvivenza, meccanismi di difesa e si è costruito convinzioni dogmatiche caratterizzate spessissimo da inesistenti o evanescenti riscontri con la “realtà”.
Tale retaggio superstizioso si è talmente radicato nell’inconscio collettivo che le conoscenze scientifiche di questi ultimi secoli hanno solo lievemente scalfito questa tendenza primordiale.
Sigmund Freud, nella sua celeberrima opera Totem e tabù, illustra le somiglianze tra le dinamiche psicologiche e mentali dei “selvaggi”, dei bambini e dei nevrotici.
In effetti il bambino alla nascita è una sorta di “primitivo” alla scoperta di un mondo nuovo. Il suo processo evolutivo è, per altro, estremamente influenzato dal contesto relazione in cui esso si svolge.
Se si creano i requisiti necessari per cui egli “respiri” un “clima emotivo” sufficientemente buono (caratterizzato cioè da relazioni basate su condivisione, intesa, sintonizzazione e riconoscimento di identità; se, in altri termini, vige empatia, accettazione, rispetto, coerenza di messaggi e, in ultima analisi, amore) ci saranno ottime probabilità che egli possa instaurare un buon processo dialettico con se stesso e con i referenti esterni; ciò sarà apportatore di ottime possibilità evolutive, che si sostanzieranno in uno stato di benessere.
Se, al contrario, la crescita sarà caratterizzata da privazioni e/o distorsioni affettive, relazionali e materiali la persona tenderà a mettere in atto (a partire dalle sue ferite, paure e angosce) una serie di adattamenti e reazioni inconsce che potranno, tra l’altro, sfociare in nevrosi; uno questi “adattamenti” è appunto la superstizione.
Patologia della superstizione
Finché la superstizione si limita a innocue e sporadiche manifestazioni ci troviamo ancora nell’ambito di un’accettabile e non disfunzionale condizione; ma anche in questo caso è possibile superare una linea rossa oltre la quale si entra nelle sabbie mobili della sofferenza.
Esaminiamo alcuni esempi:
- nel caso del Disturbo Ossessivo Compulsivo si mettono in atto complesse, bizzarre e soffocanti ritualità per evitare che avvengano evenienze spiacevoli più o meno realistiche;
- ci si rivolge in modo compulsivo a maghi, preveggenti e cartomanti per sapere: come comportarsi o cosa pensano e sentono le altre persone che ci stanno a cuore, cosa succederà nel futuro; si creano spesso in questi casi pericolose e penalizzanti condizioni di dipendenza;
- il meccanismo di proiezione (verso gli altri) di elementi inaccettabili in stessi e il bisogno scaricare tensioni collettive contribuiscono spesso a una superstizione che genera pregiudizi e/o la ricerca di capri espiatori. Un esempio tragico e criminale sono le persecuzioni che avvengono in Africa nei confronti delle persone albine.
Anche nel caso della superstizione patologica il rimedio più efficace è la consapevolezza.
Renderci conto che la fonte delle nostre paure è soltanto la paura di un qualcosa che sta dentro di noi, e non fuori, può aiutarci a comprendere che esse sono solo stadi mentali superabili, e che si possono risolvere alla fonte senza coinvolgere altri sistemi.
Se vuoi rimanere aggiornato seguimi sulla mia pagina Facebook.