
Il riccio della brutalità
11/10/2017
Il riccio dell’ammanieramento
12/10/2017Peter Kürten è stato un serial killer dei più brutali.
Nel 1929 la città di Dusseldorf fu scenario di terribili aggressioni; almeno nove corpi straziati vennero scoperti nelle strade e nei giardini, ma si sospetta che le vittime siano molte di più. Si diceva che l’assassino ne avesse bevuto il sangue, tanto che la stampa lo soprannominò “Il Vampiro”.
Chi era Peter Kürten
Peter Kürten è il più grande di tredici figli. Con la sua famiglia, quindici elementi in tutto, divide un angusto monolocale nella periferia industriale della città tedesca di Colonia. I Kürten se la passano male visto e considerato che il padre, oltre a lavorare poco, spende praticamente tutto il salario di operaio in alcool da trangugiare.
Pare che l’intera famiglia del padre di Kürten, oltre a difetti nel controllo della marcata irascibilità, fosse fortemente minata da problemi con l’alcool. In una situazione del genere, sovraffollata, gravata da grosse difficoltà monetarie, da pressanti impellenze alimentari, la rabbia e la frustrazione del signor Kürten si trasformassero in violenza barbara.
A Peter, il più grande, tocca assistere spessissimo alle liti tra i genitori, come praticamente ogni giorno gli tocca essere impotente spettatore della brutalità con cui suo padre picchia la povera signora Kürten.
Davanti agli occhi sbigottiti e impauriti dei figli, il padre non ha problemi ad abusare violentemente della madre, rivendicando un “diritto alla sessualità” che sa di dominio, possesso, spersonalizzazione della figura femminile, ridotta, anche nel rapporto educativo che il padre fornisce ai figli, a macchina da sesso, a manichino senza alcuna volontà.
Peter sarà già grande quando il padre finirà al fresco per tre anni con l’accusa di aver violentato ripetutamente la figlia tredicenne. Sarà l’occasione buona per la famiglia Kürten: la signora si risposerà nel 1911 e si lascerà alle spalle un passato orrendo, brutale, mentre i più piccoli potranno archiviare tutto quello che è accaduto davanti ai loro occhi negli anni passati, ripetendosi tra sé: «È stato solo un brutto sogno.»
Per Peter no. Al più grande tra i figli, questa seconda opportunità non sarà concessa. Avrà già ventotto anni quando il padre si toglierà dalle scatole, e, fino a quel momento, avrà già sperimentato una serie tanto impressionante di bestialità da essere ormai emotivamente compromesso.
Infanzia e torture
A nove anni, come se l’influenza brutale del padre non fosse già sufficiente, è entrato nella vita di Peter Kürten un altro eroe negativo: un accalappiacani tenuto sotto il tetto di casa Kürten in cambio degli spiccioli sufficienti a mettere qualcosa in tavola ogni giorno, un qualcosa che, comunque, non basta mai.
Questo accalappiacani, folle e minorato, gli insegna a masturbare i cani e a torturarli (uno dei tre “elementi premonitori” della Triade di McDonald) in modo da vessarli con il dolore senza mai rischiare di essere assaliti o morsicati.
La sessualità, dunque, Peter la scopre attraverso i visi deformati dal dolore di sua madre e dalla furia di suo padre, oppure attraverso i guaiti di dolore dei cani che obbliga agli amplessi masturbatori.
A Peter, del sesso, resta in testa solo che lo si impone agli altri, che a lui è dato desiderare, all’altra solo sottostare nel dolore e nella umiliazione. Per Peter “il sesso è quando voglio io, e come decido Io!”.
Da bambino comincia a sperimentare le proprie voglie represse, come molti ragazzini della sua età, in quegli anni bui, già attorno agli otto anni. Nei quartieri popolari, sottoproletari, delle città a forte industrializzazione, alcool e prostituzione, due vizi ricorrenti, si scoprono da piccoli, e non di rado anche le bambine si concedono, neppure tanto per gioco o curiosità, ai propri amichetti, in cambio di quel poco che si può offrire.
Peter, però, disdegnando le coetanee e le prostitute più mature o adulte, preferisce costringere all’accoppiamento agnelli, caprette, cani e addirittura galline, in violenti amplessi che spesso lasciano quelle bestiole traumatizzate, ferite. Di questo, come molti dei navigati e depravati ubriaconi da bar, non fa mistero, trovandolo invece un punto di sincero vanto.
Di queste cose nessuno se ne cura. La madre è occupata a tenersi lontana dal marito e a mandare avanti la baracca, i vicini hanno le stesse identiche preoccupazioni. Peter continua a caricarsi di stimoli violenti, sadici, distruttivi… in attesa di esplodere, solo pochi anni più tardi, per la prima volta.
I primi delitti
Ha dieci anni quando commette i primi due omicidi, anzi, per la precisione, un omicidio doppio.
È al ruscello, con due amici. Ne spinge in acqua uno, tirandolo giù, annegandolo, sentendolo soffrire, dibattersi sotto le sue mani che lo tengono sotto, gli negano il respiro. Lo sente lottare, cedere, crepare… poi passa all’altro, accorso a salvare l’amico, senza aver capito cosa è davvero successo.
Nel secondo caso, però, per aggiungere un brivido al tutto, s’immerge sott’acqua, completamente e tira giù il malcapitato: vuole guardarlo in faccia, mentre soffoca.
Il Reno tempo dopo restituisce i due cadaveri e Peter è lì presente, può godersi da perfetto estraneo il ritrovamento dei due ragazzini, morti, a detta delle autorità, per un “tragico incidente”.
Amplifica la violenza delle sue fantasie iniziando a uccidere gli animali con cui si accoppia, soprattutto gli agnelli, che colpisce con un coltello alla gola mentre sta eiaculando. Affermerà in seguito di aver provato un’estasi mistica più nel colpo di coltello che nell’amplesso stesso.
Nessuno, a Colonia, sospetta ancora di nulla.
A sedici anni Peter scappa di casa e finisce in carcere per la prima volta. Le prime sentenze, delle 27 collezionate, riguardano piccoli furti di cibo e vestiti. L’esperienza carceraria in sé lo mina ancor più: l’interscambio carcerario di fantasie brutali e perverse lo stimola tremendamente, al punto che, per poter meglio fantasticare, meglio elaborare, decide di farsi volontariamente confinare per essere solo con le proprie perversioni.
Quando torna in libertà, la prima volta, piuttosto che tornare a casa, inizia una convivenza con una prostituta specializzata in prestazioni masochiste, una donna di 35 anni. Testimone degli amplessi di clienti sadici, completato il proprio svezzamento anche con la scoperta visiva delle umiliazioni più raffinate, Peter è pronto a esplodere del tutto.
Inizia un periodo di aggressioni e stupri, e le sentenze di detenzione fioccano numerose. Entra ed esce di galera accumulando un odio per la società che presto si trasformerà in desiderio di vendetta totale.
Gli omicidi
La carriera omicida di Peter Kürten ha un nuovo inizio nel maggio del 1913, esattamente il 25 del mese, quando, durante un furto in un appartamento, si imbatte in una ragazzina che dorme nel suo letto. La giovane vittima ha appena dieci anni. Peter la stringe con una violenza inaudita straziandole il collo, finché il corpicino non rimane immobile, ormai privo di sensi, ma ancora vivo.
È quando la piccola sviene che Peter tira fuori un temperino dalla tasca e colpisce con la lama meno lunga, meno appuntita, la sua gola. Il sangue schizza fuori a fiotti, bagnandogli le mani, lordandogli gli abiti, spruzzando il pavimento e il tappeto scendiletto.
Ha un’eiaculazione al solo contatto del getto di sangue sulla mano. E si lancia a mordere il collo della ragazza, a succhiare il sangue direttamente alla fonte, che strazia con due morsi evidentissimi.
Mentre la ragazzina ancora si dibatte tra gli spasmi del dissanguamento, il mostro è su di lei, la tiene ferma col peso del suo corpo, con il braccio sinistro, mentre con la mano destra fruga sotto le mutandine e le imbratta la vagina del suo liquido seminale. L’orrore finisce quando il cuore ella piccola cessa di battere, quando il sangue non scorre più, non può più essere bevuto.
Kürten lascia l’abitazione e corre a casa, mentre dell’omicidio della piccola Christine Klein, è accusato lo zio, Otto Klein.
A “inchiodare” quest’uomo, un fazzoletto da tasca con incise le iniziali P.K. (Peter Kürten, ma anche Peter Klein, padre della bambina) che lo zio, desideroso di vendetta, avrebbe lasciato intenzionalmente sul luogo del delitto perché la colpa di quell’abominio ricadesse sul povero genitore, colpevole, secondo l’accusa, di aver fatto uno sgarbo imperdonabile al fratello minore.
Peter ne esce indenne, galvanizzato dall’esperienza, ma finisce dentro per furto, e ci rimane fino al 1925, sodomizzando brutalmente varie vittime, nelle celle del penitenziario di Colonia.
Quando esce dal carcere, per rifarsi una vita inizia a lavorare in fabbrica e diviene addirittura quadro sindacale. L’avventura carceraria, l’ultima, lo ha esaltato permettendogli di scaricare in cella, contro i suoi colleghi più deboli, tutte le proprie frustrazioni.
Dura poco, però.
L’arrivo a Dusseldorf
Un trasferimento costringe Kürten a spostarsi a Dusseldorf, nel gennaio del 1929. Come ammetterà l’anno dopo, negli interrogatori cui il professor Berg lo sottoporrà, «il mio arrivo in città, salutato da un tramonto che aveva lo stesso colore del sangue, mi fece capire chiaramente quale doveva essere il mio futuro, in quella città!»
Una missione, dunque, che Peter Kürten porterà a compimento degnamente, guadagnandosi il soprannome famosissimo di “Vampiro di Dusseldorf” e ispirando, insieme agli altri serial killer tedeschi di inizio secolo Karl Grossman e Fritz Haarmann, la figura del protagonista di uno dei film capolavori di Fritz Lang: M. Il Mostro di Dusseldorf.
A sedici anni dal primo omicidio, considerato che non esistono vere e proprie evidenze che possa aver ucciso anche in carcere, Kürten torna ad ammazzare, e torna a scegliere una bambina come vittima. Il 9 di febbraio, ad appena un mese dal suo arrivo a Dusseldorf, è il turno di Rosa Ohliger.
La piccola viene ritrovata in un fossato, cosparsa di liquido infiammabile per lampade. L’assassino, dopo averla ferita, massacrandola con tredici pugnalate inferte con violenza e brutalità, ha cercato di incendiare il cadavere.
Dalle tracce lasciate sul corpo e sul luogo del delitto, agli inquirenti pare chiaro che l’assassino ha prima fatto scempio della piccola, le ha morso collo e petto più volte prima di pugnalarla, ha bevuto il sangue che perdeva dalle ferite (vengono ritrovate varie tracce di saliva) e ha poi imbrattato la sua sottanina con il liquido seminale che ha sicuramente emesso durante tutta questa operazione (e non in un approccio di violenza sessuale).
È poi tornato, dopo tempo, quasi un giorno, sul luogo del delitto per cercare di incendiare il corpo senza esservi riuscito.
La sparizione e il ritrovamento di Rosa seguivano di neppure una settimana la brutale aggressione subita da Frau Kuhn, accoltellata ventiquattro volte. È in questa occasione, nel primo effettivo omicidio attribuibile a Dusseldorf a Kürten, che Kürten sperimenta per la prima volta il piacere, tutto sessuale, che un assassino prova a ritornare sulla scena del delitto.
Quella sera, quando la signora Kuhn è ritrovata, Kürten torna ben due volte sul luogo del delitto ed entrambe le volte ha un orgasmo spontaneo. Nasce anche così un rituale con la scoperta di un piacere procurato da un atto particolare. Tornare sul luogo del delitto diverrà un rito obbligato, che onorerà, in futuro, a ogni delitto, per goderne ancora, e ancora, e ancora!
Passano solo altri cinque giorni dall’omicidio della piccola Rosa, che Peter torna in azione, questa volta massacrando di coltellate un operaio meccanico, tale Scheer. Può sembrare strano ma, anche questa volta, il vampiro ha una polluzione spontanea, segno che uccide non per un bisogno squisitamente sessuale, ma perché l’assassinio, in sé, è una pratica che lo appaga completamente.
Tornando sul luogo del delitto, questa volta, si azzarda a intavolare un dialogo molto lungo con uno degli inquirenti. L’ufficiale in questione dichiarerà in seguito che mai avrebbe pensato che quell’uomo così distinto e insospettabile fosse in realtà l’autore dei delitti che dal 29 al 30 sconvolgeranno la città di Dusseldorf.
Durante la quiete
Per questa serie breve di omicidi finisce dentro lo “scemo del villaggio”, un tale Stausberg che, dopo essere stato catturato per tentata violenza sessuale, confessa anche gli omicidi di Peter Kürten.
La polizia non compie raffronti più oculati: il mostro è Strausberg, senza ombra di dubbio. Kürten si risolve a darsi una calmata, almeno per un po’.
Kürten è sposato, sebbene non abbia figli, la moglie affermerà al processo che in quel periodo le attenzioni del marito si erano fatte più decise, più pressanti, e non nasconderà di esserne stata sottilmente felice, visto e considerato che spesso, in precedenza, si era sentita di molto trascurata dal suo compagno.
Trascorrono sei mesi, densi di aggressioni notturne compiute nel buio più fondo, contro ignari passanti dei boschi, contro ragazze sperdute, lontane da casa, ma senza che vi siano morti sospette. Almeno fino al 21 agosto, quando la spirale della violenza ricomincia a vorticare senza lasciare scampo.
Nel mulinello finiscono in un giorno tre donne diverse, di cui le fonti storiche non riportano con certezza il nome. Le tre, in momenti diversi della giornata sono state aggredite da un maniaco armato di ascia che le ha tramortite, mutilate e ne ha poi bevuto il sangue, penetrandole violentemente con le dita sporche del proprio sperma.
I poliziotti che indagano, aiutati da uno psichiatra, senza collegare i delitti all’ondata precedente, sostengono che nella città si nasconda un altro maniaco sessuale, sicuramente impotente, che durante i propri riti sadici, violenti e vampirici, simula un rapporto sessuale per creare una protesi, con le sue dita sporche del proprio sperma, alla propria cronica impotenza.
Passano due giorni e a cadere vittime della violenza del Mostro di Dusseldorf, durante la fiera di paese, sono due sorellastre di quattordici e cinque anni. A loro viene riservato un violento trattamento post-mortem, ma, vista la costituzione delle due, una morte rapida, regalata spezzando il loro collo leggero, magro.
Anche le due bambine vengono violentemente prosciugate del sangue, anch’esse sono violentate, post-mortem, dall’intrusione selvaggia delle dita di Kürten.
Nessuno, purtroppo, ha ancora un’idea di chi sia il Vampiro. Di sicuro questo deve far pensare che Peter Kürten fosse abilissimo nelle “manovre di evasione”, visto e considerato che, dopo le sue mattanze, riusciva a tornare a casa miracolosamente indisturbato, pur essendo lordato sicuramente di sangue dalla testa ai piedi.
Il 24 agosto Kürten prova a uccidere Gertrude Schulle, una sciagurata capitata a Dusseldorf al seguito della famiglia per la quale fa la sguattera. Gertrude non si concede a Peter, neppure quando questo le richiede, gentilmente e promettendo compenso, delle prestazioni sessuali. A quel punto, di fronte al rifiuto, Peter prende ciò che vuole, come è abituato a fare, e accoltella più volte la donna senza accorgersi, questa volta, di averla lasciata in vita.
La ragazza descrive un uomo distinto, di bell’aspetto. A Dusseldorf, in quell’epoca, una descrizione del genere non ha nessuna utilità.
A settembre Kürten è fuori città ma non uccide in trasferta. È ottobre inoltrato quando ritorna a casa: nel giro di mezzo mese ne fa fuori tre, dopo averle violentate brutalmente e dopo aver succhiato il loro sangue attraverso squarci procurati a colpi di ascia o con ripetute coltellate.
Tutti sono d’accordo nell’affermare che il sadico ha perso ormai ogni freno inibitorio e che il trip mentale innestato è irreversibile. Reuter, Meuer e Wanders sono le tre signore che cadono sotto la furia del maniaco nel decimo mese di quell’anno tremendo del 1929 a Dusseldorf.
Kürten inizia anche a proporre sfide ai giornali, rivelando dove si trova il cadavere di una bambina di 5 anni, che ha personalmente brutalizzato, dissanguato, massacrato. Dopo questa morte, tuttavia, a Dusseldorf si susseguiranno solo attacchi non mortali, terrorizzanti ma non mortali, portati avanti sempre dal solito figuro inafferrabile.
La fine dell’incubo
La fine dell’incubo giunge il 14 di maggio 1930, coincide con l’arrivo in città di una cameriera disoccupata in cerca di lavoro.
La ragazza, Maria Budlick, appena arrivata si trova a vagare per le strade senza una guida. Quando un uomo si avvicina per darle una mano la ragazza ingenuamente acconsente, non vede pericolo nel farsi accompagnare da un uomo discreto e gentile. Quando l’uomo tenta, però, di portarla lungo strade meno trafficate e poi n un parco isolato, essendo anche l’ora del crepuscolo, la ragazza si spaventa.
Conosce le storie che si raccontano su Dusseldorf, sa del vampiro, ha paura. Quando le voci cominciano ad alterarsi e la ragazza inizia visibilmente a essere terrorizzata, ecco un angelo salvatore che, col proprio intervento, mette in imbarazzo quell’uomo inaffidabile che l’aveva condotta fino alle porte del parco e che sicuramente avrebbe abusato di lei lontano da occhi indiscreti.
Il salvatore si offre immediatamente di trovare una sistemazione alla ragazza presso uno stabile che possiede, dove affitta camere. La ragazza, è questo l’accordo che concludono, resterà lì per la prima settimana senza pagare un soldo in modo da avere la possibilità di trovare con più calma occupazione.
La giovane, vincendo la fisiologica diffidenza che quell’avventura appena conclusa le impone, segue il gentile signore fino al suo appartamento.
“Si vede subito che questo è un tipo corretto, un uomo a posto… ha anche la fede… che fortuna!” si ripete la ragazza tra sé, mentre attraversa strade buie in compagnia di un discreto e gentile “cavaliere”. Così, proprio per continuare quella che si è dimostrata fino a quel momento una cortese conversazione, la ragazza si presenta con il proprio nome e cognome all’uomo… «Piacere signorina, Peter Kürten.»
Il mostro la conduce con tranquillità in casa, mentre la moglie è assente per delle faccende da sbrigare a Colonia, per conto della sua famiglia. In casa, Kürten si sente fortunato e tenta un blando approccio con la ragazza che, delusa, chiede di essere accompagnata in strada, non si fermerà in quella casa se quello è il prezzo da pagare.
Kürten la riaccompagna in strada, fino al parco a due chilometri di distanza, per un dedalo di viuzze che la giovane non può conoscere. È sicuro, così, di non poter essere rintracciato. Neppure quando violenta la ragazza minacciandola con un coltello, può sapere che la povera Maria ricorda a memoria indirizzo e numero civico e che ha intenzione, se ci arriva viva, di rivolgersi alla polizia.
Quando il giorno dopo la ritrova sotto casa, Peter capisce che ha le ore contate. Attende sua moglie alla stazione, le racconta tutto, della violenza sessuale, dell’inganno ordito alla ragazza e le chiede di dimenticarsi di lui, visto e considerato che resterà in carcere almeno per 15 anni.
In quel momento avviene l’inspiegabile: al rifiuto della moglie di accettare la situazione e alla promessa che, qualora Peter sarà arrestato, lei si toglierà la vita, non essendo capace di sopportare gli stenti cui di sicuro sarà condannata, Peter, per amore, decide di confessare alla moglie tutti i suoi delitti e le chiede di essere lei a denunciarlo alla polizia, per poter poi intascare la lauta taglia e poter vivere dignitosamente di rendita, per molti anni.
La moglie inizialmente non ci sta, poi decide di assecondare il desiderio del marito, soprattutto quando lui stesso le chiede di fare un’azione per il bene dell’umanità.
L’arresto e l’esecuzione
Peter Kürten viene arrestato alle tre di pomeriggio del 24 maggio 1930.
È subito sottoposto allo studio attento del dottor Berg, allievo dell’italiano Cesare Lombroso. Il famoso psichiatra acquisisce, in tre anni, una conoscenza enciclopedica di Kürten, sia dal punto di vista clinico-fisico, che da quello storico-psichiatrico e che gli diagnosticherà la Sindrome di Renfield.
Il suo trattato, Il Sadico, fu oggetto di approfonditissime analisi ed è ancora un ottimo studio sulla mente dei sadici, sulle loro pulsioni, su determinati meccanismi comuni a tutti coloro che fanno del dolore altrui il proprio sommo piacere.
Il processo lampo, nel quale fu condannato Kürten, sentenziò che al Vampiro di Dusseldorf sarebbe stata staccata la testa dal corpo. Una ghigliottina, caso strano in Germania, fu preparata nel piazzale del carcere di Klingelputz e fu oliata, come prescrive il manuale del “perfetto boia”, nel secondo giorno di giugno del 1932, solo un’ora prima di quella stabilita per l’esecuzione.
Qui una rara immagine del processo del mostro evidenziato dal cerchio rosso.
È riportato negli annali e nell’edizione pubblicata nel ’35 di The Sadist che Kürten chiese, poco prima che la lama gli cadesse sul collo, se sarebbe riuscito a percepire il getto di sangue inondargli il viso, una volta decapitato. «Sarebbe il piacere dei piaceri!» sentenziò un attimo prima che il boia lasciasse libera la lama.
La sua testa sezionata e mummificata è conservata nel museo Ripley’s Believe It Or Not di Winsconsin Dells.
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