Si può leggere per approfondire una passione, una materia che ci interessa ma si può leggere anche per pura curiosità, o voglia di scoprire argomenti a noi lontani e nuovi.
Tutto questo nasce per l’amore smodato della lettura, con intento formativo, esplorativo, di approfondimento o solo di puro piacere.
L’amore per la lettura e per i libri si può definire Bibliofilia, che è il puro piacere della conoscenza, del coltivare l’interesse per la cultura attraverso i libri e del piacere dei libri stessi, perché di loro si ama anche l’odore della carta, del piacere di sfogliarli e divederli accatastati in bella vista su una libreria.
Chi ama i libri inevitabilmente si circonda di questi oggetti e li tiene sparsi ovunque perché qualunque posto è l’ideale per leggere.
Nella casa di un bibliofilo non possono mancare le librerie, perché una non basta a contenere i libri letti o semplicemente quelli che ci piace avere.
Come potete vedere, qui sotto reco l’immagine del vero cuore della casa di un bibliofilo: la biblioteca, e quando non esiste spazio sufficiente l’amante dei libri li piazzerà ovunque, perché anche il solo vederli, sentire l’odore della carta. procura un immenso piacere e tanta soddisfazione.
Non è nulla di patologico diventa semmai maniacale quando l’accumulo ed il desiderio di un libro diventa limitante per gli altri aspetti della vita sociale, come quello di uscire, conoscere gente e relazionarsi col prossimo.
Può essere patologico è invece l’atteggiamento di accumulare libri senza il desiderio di leggerli e senza aver nessun interesse per la conoscenza che si accumula sfogliandoli, ma esiste una forma di attaccamento morboso all’oggetto in sé, amato come si può amare qualunque altra cosa, l’interesse di leggerli è un aspetto del tutto irrilevante e, spesso, in tali casi, i libri accumulati non vengono proprio letti, la loro scelta è dunque semplicemente casuale ed una questione estetica.
In tal caso si parla di Bibliomania.
La patologia si evidenzia quando l’accumulo, disordinato e disorganizzato, è tale per cui la casa è letteralmente invasa dai libri o dalle riviste specialistiche tanto da non esservi spazio sufficiente per poterci vivere, in tal caso siamo in presenza di uno degli aspetti manifesti del Disturbo Ossessivo Compulsivo o più semplicemente DOC.
L’immagine di seguito riproduce un accumulo ossessivo di libri, completamente disinteressato al contenuto ma maniacale e patologico nell’aggiungere le cose del medesimo tipo, un attaccamento all’oggetto puramente per quello che è.
Se i volumi finiscono per accumularsi ed occupare sempre più spazio, potreste essere “affetti” da tsundoku.
Con questa parola di origine giapponese si intende infatti l’acquisto compulsivo di libri che probabilmente non verranno mai neanche letti, finendo per formare pile scriteriate sugli scaffali o negli angoli della casa.
Il termine in realtà è un gioco di parole nato durante il periodo Meiji, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.
L’espressione originaria tsunde oku, che significa più o meno “accatastare oggetti e lasciarli in disparte” ha cambiato la parte finale fondendosi con doku di dokusho, ovvero il verbo “leggere”.
La bibliomania, come specificato è un comportamento ossessivo compulsivo che ha per oggetto il collezionare libri, ma senza aver lo scopo di leggere, infatti può accadere che l’acquirente compulsivo compri diverse copie dello stesso libro semplicemente per il colore della copertina e per la composizione che crea insieme alle altre copertine.
Altri comportamenti anormali che riguardano i libri includono il disturbo alimentare di cibarsi della carta, quindi l’accumulo è diretto unicamente per procurarsi materiale da mangiare, in tal caso si parla della bibliofagia.
Nel caso invece si tratti di furto compulsivo di tale oggetto si avrà il disturbo denominato bibliocleptomania.
Non manca anche chi ha il desiderio compulsivo di seppellire i libri, bruciarli o distruggerli, in tal caso parleremo di bibliotafia.
Ognuno di questi disturbi cela un comportamento che sopperisce ad un bisogno, una necessità od un disagio che va ovviamente esplorato, compreso e quindi superato.
Esiste anche la biblioclastia che può non avere origini patologiche ma semplicemente evidenziare un determinato modo di esprimere un’opinione o una filosofia di vita, che comunque ha come oggetto di riferimento sempre i libri.
Esistono tre tipi di biblioclastia: quella fondamentalista, quella per incuria e quella per interesse.
Il biblioclasta fondamentalista non odia i libri come oggetto ma teme soltanto il loro contenuto, il valore intrinseco dei concetti che esso contiene, per tale motivo tende alla loro distruzione od estromissione dalla sua vita per costringersi e costringere tutti coloro che fanno parte della sua famiglia, del suo gruppo o cerchia di relazione sociale non solo a non leggerli ma nemmeno a possederli per non cadere nella tentazione della loro lettura.
Vi sono molti ceti religiosi o politici che tendono a bandire determinati libri perché rappresentano il peccato o l’abominio da evitare.
La biblioclastia per incuria è quella di tante biblioteche non solo private ma purtroppo anche quelle pubbliche, dove la poca cura per i libri finisce per distruggerli o danneggiarli inesorabilmente.
Finché si tratta di una scelta personale applicata ai beni personali, è una libertà di comportamento che pur non apprezzandola personalmente la disapprovo, se uno non desidera circondarsi dei libri li può sempre donare a chi li ama, a qualche associazione o biblioteca che li raccoglie molto volentieri per poterli mettere a disposizione di tutti.
L’incuria disinteressata alla possibilità di fare una donazione a beneficio degli altri cela anche un egoismo, che può essere anche patologico, e un disinteresse non solo per le cose ma anche per le persone.
Grave e sicuramente mai scusabile che sia un ente pubblico od un ufficio pubblico a distruggere dei beni che fanno parte del bene pubblico o del demanio statale, a danno di tutti i cittadini e spesso a danno di trattati storici e di inestimabile valore storico ed economico.
Il biblioclasta per interesse distrugge i libri perché vendendoli a pezzi ne ricava molto più che vendendoli interi, in tal caso siamo di fronte ad un truffatore che suddivide i manuali semplicemente per raggirare gli ignari acquirenti che si ritrovano con metà del bene che intendevano acquistare e dunque leggere.
Un danno non solo economico ma anche diretto ad un danno morale ed esistenziale che spesso i tribunali riconoscono come bene avente un valore a se stante, ed in effetti è così, non siamo privati soltanto dell’integrità di un oggetto acquistato, volendo acquistare l’intero, ma anche dell’interesse e del piacere di poterlo leggere nella sua interezza, e per un bibliofilo questo è un danno che supera notevolmente il valore intrinseco del costo del libro.
Se abbiamo la dipendenza dai libri, che è l’unica forma di dipendenza che fa solo del bene e mai incide negativamente sulla mente e sulla conoscenza dell’acquirente-dipendente, allora nel caso non si possa dar sfogo a tale bisogno, piacere o necessità, il bibliofilo le sente tutte in maniera completa, allora siamo davanti anche alla possibilità di poter provare una vera e propria astinenza libraria.
Se siamo davanti ad un acquirente di libri ossessivo compulsivo, il non poter sfogare il suo bisogno innesca in senso negativo tutte quelle frustrazioni od ansie che l’ossessivo patisce quando non può mettere in atto i suoi rituali e quindi si possono creare situazioni di stress grave, di ansia patologica sino a eventi di vero panico per l’astinenza.
La deprivazione viene vissuta da chi soffre del Disturbo DOC come una vissuto come una frustrazione invalidante che genera un dolore per l’impossibilità di poter concretizzare il desiderio.
Qualche studioso tende a definire tale forma di astinenza come un «senso di castrazione libraria», cioè la sofferenza, lo smarrimento che il bibliofilo vive di fronte alla mancanza di un libro fortemente desiderato.
Il libro amato, desiderato ma impossibile da avere, per motivi economici o per l’irreperibilità dello stesso sul mercato, e che quindi rimane un desiderio non soddisfatto diventa per il bibliofilo un’idea fissa, un supplizio mentale, una fonte di un’angoscia, di frustrazione e di tristezza incolmabili, potendo anche innescare situazioni patologiche come la depressione.