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01/11/2017La compassione è la partecipazione emotiva al dolore altrui.
La compassione è empatia in azione. È una scelta coraggiosa e radicale che va contro l’abitudine di guardare solo all’interesse personale e all’egocentrismo.
Secondo Aristotele, la compassione è una emozione dolorosa, che riguarda la disgrazia e la sofferenza che colpiscono le altre persone. Essa si basa su tre requisiti cognitivi:
1. la credenza, o valutazione, che la sofferenza sia seria e non banale;
2. la convinzione che la persona non meriti la sofferenza stessa;
3. la consapevolezza che ciò che capita all’altro potrebbe un giorno capitare a se stessi.
Cos’è la compassione
Nell’immaginario collettivo il termine compassione è spesso affiancato a quello di saggezza; infatti, se ci soffermassimo su questi due concetti, per certi versi, sarebbe difficile scinderli.
Entrambi sussumono il significato di vivere in armonia con l’ambiente e il contribuire attivamente al benessere degli altri.
Ma la compassione comprende aspetti emotivi come l’amore e la pietà, mentre la saggezza è guidata da una forte componente intellettuale. La conoscenza, dunque, intesa come cammino verso il sapere, è indispensabile per raggiungere la saggezza e per esercitare la compassione.
Il sentimento caritatevole mostra aspetti affini al concetto di empatia, ovvero sentire e soffrire con il nostro prossimo, immedesimandosi nel suo dolore, vivere la stessa emozione dell’altro.
Secondo Price la compassione è uno stato mentale che invoca l’altruismo e lo fa agire.
Partendo da questo concetto, si è dimostrato come gli individui percepiti come simili a se stessi, non solo evochino più compassione ma, a parità di situazione, inducano i soggetti a mettere in atto comportamenti altruistici rispetto a quelli agiti nei confronti di persone diverse.
Sembrerebbe che la sincronia, indotta da una valutazione di somiglianza, rafforzi una risposta compassionevole nei confronti delle vittime morali favorendo un aumento di comportamenti caritatevoli, concordi con una serie di regole morali.
Quindi, la compassione potrebbe essere definita come una forza morale?
La risposta, secondo molti leader spirituali, è affermativa. L’essere compassionevole ha un effetto radiante poiché porta ad estendere la gentilezza e il perdono agli altri, anche nei confronti di coloro che hanno trasgredito intenzionalmente.
Come tale, la compassione si contrappone al desiderio di punizione e di vendetta: funziona come un sentimento morale in grado di inibire le azioni che di solito comportano una escalation di violenza.
Cosa comporta
Valutare questo aspetto è molto difficile vista l’impossibilità di separare la compassione da altri fattori sociali, etici, morali e religiosi come l’essere tolleranti oppure perdonare l’altro.
I sentimenti della commiserazione provati nei confronti di qualcuno sembrano essere in grado di ridurre la pena anche verso quegli individui che hanno chiaramente trasgredito in maniera irrimediabile e non hanno cercato il perdono per le loro azioni.
Il meccanismo presente alla base di questo effetto, tuttavia, è ancora da esplorare, l’essere compassionevole può portare alla riduzione del desiderio di punizione, migliorando il controllo cognitivo circa la punizione da infliggere al trasgressore.
E’ possibile che alti livelli di commiserazione possano essere compensati dal desiderio di punire chi genera un disagio. Infatti, esistono casi in cui questi aspetti altruistici vengono meno per cedere il posto all’obbedienza.
La violazione dei propri principi morali e altruistici spesse volte è determinata dal grado di obbedienza mostrato nei confronti dell’autorità. Il sottostare a delle regole indurrebbe uno stato eteronomico, in cui la persona diventa strumento per eseguire degli ordini.
Quindi, la compassione viene meno quando non è possibile accedere per causa di forza maggiore alla moralità.
A tutt’oggi, la natura esatta delle forze che influenzano i meccanismi alla base della compassione è ancora difficile da comprendere, tuttavia aiutare gli altri è comunque un processo costoso, sia in termini di risorse fisiche sia psichiche.
Citando Aristotele: “L’uomo saggio non persegue la felicità, ma l’assenza di dolore “, quindi che sia caritatevole o meno l’importante è compiere azioni che possano non farci star male.
Con la gentilezza
Compassione e gentilezza sono due aspetti che si tengono vicini, perché la gentilezza implica il prendersi cura della sofferenza altrui come se fosse la propria. Una gentilezza che non abbia in sé stessa un elemento di compassione e una compassione che non abbia in sé un elemento di gentilezza è, infatti, impensabile.
Sia la gentilezza che la compassione richiedono che sviluppiamo prima gentilezza e compassione verso noi stessi. Un’accettazione della nostra esistenza che sia sentita, calorosa e avvolgente deve rimpiazzare tutti i sentimenti di auto-denigrazione e disprezzo verso noi stessi. Alan Wallace
Il dolore, quando diventa sopraffacente, è il nemico vicino della commiserazione, perché ci rende paralizzati e incapaci di muoverci. A volte potremmo pensare che preoccuparci degli altri sia compassione ma se ci trascina in un vortice, diventa una specie di fardello mentale in cui l’oggetto del dolore è l’unica realtà che consuma e schiaccia tutto.
Il nemico lontano della commiserazione è, invece la crudeltà. Una condizione in cui la mente è sprofondata nell’illusione che l’altro – il nemico – non sia un essere umano come noi ma qualcuno di inferiore.
Nell’estremo della crudeltà l’illusione è credere di fare qualcosa di buono e giustificare la crudeltà stessa a fronte di un bene superiore, che autorizza ad operare senza impedimenti.
È anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo, e che non possegga né una profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie.
E’ una sfida al pensiero, come ho scritto, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale. Hannah Arendt
Idealmente
Idealmente dovremmo essere in grado di trasformare l’avversità in un’opportunità per una felicità più grande. Usare l’avversità per approfondire la nostra saggezza e commiserazione, trasformando così il dolore in qualcosa che possiamo abbracciare. Questo è l’ideale. La realtà è che, spesso, si tratta di un processo, complesso e difficile, che porta verso la comprensione e la compassione.
Una delle radici della commiserazione è il riconoscimento dell’interdipendenza tra noi e gli altri. Il dolore, il problema che affronta l’altro, quando proviamo compassione, non è sua esclusiva preoccupazione. Può essere anche nostra preoccupazione.
Il nucleo dell’interdipendenza è la connessione che c’è tra tutte le cose. Una connessione che rafforza il senso di appartenenza e la condivisione.
Possiamo osservare la naturale attitudine alla compassione nel mondo intorno a noi. Può succedere spesso di essere “mossi a compassione”. Nella nostra vita quotidiana, tutti noi sperimentiamo il sentimento della commiserazione, vedendo soffrire qualcuno che amiamo ma anche quando vediamo soffrire uno sconosciuto o un animale.
Per strano che possa sembrare esplorando la compassione e l’empatia la neuroscienziata Tania Singer ha scoperto che la compassione attiva gli stessi circuiti cerebrali della ricompensa mentre l’empatia attiva quelli del dolore. Ci aspetta quindi, alla fine della compassione, la gioia.
Riguarda tutti
La compassione però, se partiamo dalla prospettiva dell’interdipendenza, non è solo un’emozione rivolta alle persone che amiamo. Può estendersi nei confronti di tutti.
Attraverso questa comprensione della realtà interconnessa arriviamo a capire che, se agli altri accadono cose buone, anche noi ne trarremo vantaggio, se non immediatamente, di certo prima o poi. Se loro soffrono, prima o poi soffriremo anche noi. Perciò siamo più capaci di simpatizzare anche con persone di origini molto diverse dalle nostre. La compassione per loro nasce con più facilità. Dalai Lama
Nel 2005 David Foster Wallace tenne uno storico e ormai famoso discorso sulla compassione agli studenti del Kenyon College. E, con la sua consueta intelligenza e originalità, disegnò un percorso in 5 punti verso la compassione; una sorta di vademecum per gli studenti che stavano per affacciarsi al mondo e alla loro vita adulta.
Pregiudizi e stereotipi
L’educazione dovrebbe insegnarci come pensare. Raramente, però, cerchiamo di guardare cosa significhi davvero pensare. Pensare – dice Wallace – significa essere un po’ meno arroganti e avere consapevolezza di quanto poco conosciamo e comportarsi di conseguenza.
Avere un po’ di consapevolezza critica su noi stessi e sulle nostre certezze è importante. Tendiamo ad essere automaticamente certi di quello che pensiamo, anche se poi si rivelerà totalmente sbagliato e ci lascerà delusi. L’ho imparato a mie spese e anche voi lo imparerete a vostre spese.
L’educazione è un processo che dura tutta la vita e che strappa le convinzioni più profonde, gli stereotipi, per insegnarci a trascendere la nostra limitata prospettiva, permettendoci così di pensare in maniera più aperta e ampia. Per Wallace, questo è un modo per andare al di là dei confini della nostra mente.
Crescere è un movimento
Il nostro modo di vivere e pensare è fondamentalmente auto-centrato – prosegue Wallace – è naturale vedere tutto in relazione a noi stessi. Questo modo però costruisce – di default – una visone egocentrica del mondo.
Ogni aspetto della nostra esperienza immediata sostiene la mia profonda convinzione che sono il centro dell’universo; la persona più vivida, reale e importante che sia in vita.
Questa convinzione auto-centrata però ci impedisce di coinvolgerci in modo consapevole e compassionevole con il mondo. Il nostro lavoro, come persone, è quello di scegliere in ogni momento, ogni giorno, di andare al di là di questo schema di pensiero auto-centrato.
È una scelta personale quella di fare il lavoro che ci permette di andare al di là del nostro abituale modo di pensare auto centrato e di vedere e interpretare ogni cosa alla lente del nostro sé.
Rimanere aperti
La nostra mente è naturalmente indisciplinata. Per questa ragione, se vogliamo vivere con un senso di pace e di libertà è necessario averne padronanza. Come dice il proverbio “La mente è un eccellente servitore ma un pessimo padrone”.
È estremamente difficile rimanere attenti e presenti, invece che ipnotizzati dal costante dialogo interiore che si realizza nella nostra mente. Eppure, imparare a rimanere attenti e presenti, è fondamentale per imparare come pensare.
Se sappiamo esercitare qualche tipo di controllo su come e cosa pensiamo, diverremo anche sempre più in grado di scegliere a cosa prestare attenzione e a come costruiamo il significato delle nostre esperienze.
È necessario scegliere come rispondere ai piccoli e grandi problemi della nostra vita. Come rispondere quando qualcosa non va nella direzione che vorremmo, perché è proprio in quei momenti che scegliamo come e cosa pensare.
Significato personale
Imparare come pensare ci dà la libertà di costruire il significato della propria esperienza. Scegliere cosa è importante e cosa non lo è.
Adesso vi prego di non pensare che io voglia farvi una lezione sulla compassione o la sincerità o altre cosiddette “virtù”. Il problema non è la virtù. Il problema è di scegliere di fare il lavoro di adattarsi e affrancarsi dalla configurazione di base, naturale e codificata in noi, che ci fa essere profondamente e letteralmente centrati su noi stessi, e ci fa vedere e interpretare ogni cosa attraverso questa lente del sé. Le persone che riescono ad adattare la loro configurazione di base sono spesso descritti come “ben adattati”, che credo non sia un termine casuale.
Essere buoni con gli altri
Educare la nostra mente ha uno scopo essenziale: essere meno autocentrati e più in connessione con gli altri. Per scegliere la strada della compassione più possibile.
Il tipo di libertà davvero importante è quella che coinvolge – dice Wallace – attenzione, consapevolezza e disciplina e la capacità di essere sinceramente coinvolti con gli altri, disponibili in una miriade di modi semplici e banali, ogni giorno.
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16 Comments
Grazie
GRazie a te Monica
Marilena
Interessante. Grazie
Grazie a te Willy
Approvo pienamente. Se riesco a pubblicare il mio libro ‘nitro e glycerina’ capirette il perché. Lui nitro, bipolare ed io, che per compassione riusci a perdonnare…
Ti uguro d pubblicarlo presto Cita, e facci sapere dove reperirlo.
Marilena
Oggi la persona che amo ma alla quale ho fatto molto del male in passato mi ha detto di provare compassione per me…sono stata tutto il pomeriggio con un dolore immenso nel cuore,una ferita lancinante,per questa sua affermazione.Non so perché sono corsa a cercare qui il significato di questa parola sentita mille volte,ma sono contenta di averlo fatto:grazie!
Sono contenta di averla aiutata, ma non si faccia ferire dalle parole di un altro se non corrispondono a verità, a volte le persone per sfogarsi e per scaricare la responsabilità di ciò che non va offendono ed umiliano, ma ciò non vuol dire che abbiano ragione delle loro critiche.
Spero di averla aiutata
Marilena
Grazie. Molto interessante. Proprio oggi ho ricevuto una telefonata da parte di una persona cara con molte sfumature sarcastiche e parole non gradevoli. Vorrei iniziare a mettere in pratica la compassione. X avere un beneficio. C’è un libro che può essere utile? Grazie. Sereno pomeriggio
Non saprei consigliarti un libro, ma di fare piccoli passi in quella direzione in modo da farla diventare una buona abitudine.
in bocca al lupo
Marilena
Grazie Marilena,
sto cercando di visionare i momenti di mancata compassione per me.
Un caro saluto,
a presto,
Antonella
Lo faccia con grande generosità e buonismo, quando si ha sofferto a causa degli altri non c’è mai la colpa della vittima, qualunque situazione si tratti, pertanto si voglia bene, molto bene, e metta se stessa ed i suoi bisogni prima degli altri, vedrà che il tempo per essere disponibile anche per loro lo troverà di sicuro, ma deve prima imparare a concedersi un po’ di sano egoismo.
Marilena
Oggi più che mai abbiamo bisogno di compassione per tutti e, in particolar modo, per noi stessi, per trovare un giusto equilibrio che ci permetta di rimetterci attivamente in gioco appena possibile
Per alcuni aspetti sono d’accordo con lei, ma occorre anche difendersi da un mondo sempre più opportunista e avido.
Essere troppo buoni e compassionevoli si rischia sempre di essere la preda di qualcuno.
Marilena
Ma come posso aiutarmi x riuscire ad avere compassione x persone che con me sono state un Po cattivelle?
Cominciando a trattarle nello stesso modo
Ci sono persone che capiscono solo un certo tipo di atteggiamento, se ti metti sulla stessa linea d’onda fai capire a loro che puoi essere stronza anche tu se non peggio quanto loro, così impareranno a rispettarti. Funziona sempre
Marilena