
I segreti logorano chi ce li ha
20/12/2016
Il counseling familiare
31/12/2016La competizione può essere positiva o negativa sul nostro benessere.
Essere competitivi può voler dire migliorare, superare le proprie incertezze e i propri limiti. O, al contrario, spingere ogni confronto verso lo scontro e la possibile frustrazione.
La competitività, in psicologia, è un atteggiamento che può essere declinato in una accezione positiva o, al contrario, negativa. Che si tratti di raggiungere una vittoria sportiva, o un traguardo lavorativo, la competitività è una componente essenziale delle nostre giornate.
Essere competitivi, in altre parole, può significare voler superare i propri limiti e migliorare le proprie qualità o, in senso deteriore, cercare in modo ostinato una continua competizione con gli altri.
Comportamenti sociali
La competizione è un fenomeno presente in ogni contesto sociale in quanto parte integrante dell’essere umano.
Da sempre, infatti, l’uomo lotta con gli altri per potersi accaparrare risorse limitate – come cibo, amore, lavoro – e questo rende il confronto, in tutte le varie tipologie di gruppi, generatore di ansie, invidie, rancori e rivalità.
Effettivamente, la condizione relazionale e sociale dell’uomo lo spinge ad essere costantemente esposto all’osservazione e al giudizio degli altri e lo porta, conseguentemente, a temerli o ad emularli.
La competizione viene quindi definita come la pressione che un individuo sviluppa verso altri individui – che ritiene di pari livello fisico, tecnico, cognitivo o conoscitivo – nel raggiungere un certo obiettivo o risultato.
In psicologia la competizione, la cooperazione e il comportamento pro-sociale sono considerate le tre strategie interattive e sociali con cui il bambino, prima, e l’adolescente, poi, fronteggiano i compiti di sviluppo, cioè quegli obiettivi che vanno raggiunti oppure i problemi che vanno risolti in modo particolare quando la loro maturazione incontra le richieste che il contesto in cui sono inseriti impone (Havighurst, 1953, 1972).
Naturalmente in base alla strategia usata durante l’infanzia si delineerà, in termini di competizione, un atteggiamento che caratterizzerà l’uomo ormai cresciuto nel suo approccio con l’altro.
Va precisato che a differenza della cooperazione e del comportamento pro-sociale – entrambe strategie di sviluppo con accezione positiva – alla competizione viene attribuito un valore positivo o negativo a seconda dell’entità a cui è diretta: negativa, quindi, se si rivolge alla realtà esterna e positiva se, al contrario, è indirizzata alla realtà interna che coinvolge il sé e i propri limiti.
Infatti, la competizione acquisisce valore positivo se l’interlocutore è proprio la persona in questione, perché così diventa funzionale al riconoscimento di limiti e virtù – quindi alla propria conoscenza – all’affermazione del sé e delle sue capacità e al superamento della frustrazione.
Dal canto opposto, se l’oggetto della competizione è l’altro e si compete per essere il migliore, la competizione non può che essere negativa e potenzialmente dannosa in quanto fa nascere una vera e propria lotta e può addirittura assumere forme distruttive.
Le persone competitive
Le persone competitive tendono per definizione a primeggiare, a cercare situazioni in cui mettersi alla prova e misurare le proprie capacità.
Quando questa attitudine viene vissuta con sicurezza e con una solida base di autostima, le persone competitive sono capaci di esprimere il meglio di sé, sono focalizzate sul raggiungimento di un obiettivo. In definitiva: si mettono alla prova, migliorano, crescono.
Quando, invece, la competizione diventa aggressiva – si manifesta, quindi, una condizione di iper-competitività – ecco che emerge il lato negativo della competitività, che può essere descritto con le seguenti caratteristiche:
- paura di vivere il fallimento come un giudizio inappellabile
- vivere una condizione di ansia perché in ogni circostanza, anche la più conviviale, si cerca la competizione e lo scontro
- sviluppare rabbia e frustrazione per una fisiologica battuta d’arresto durante il percorso verso gli obiettivi
- cadere in forme di depressione nel momento in cui gli obiettivi prefissati non siano stati raggiunti.
Si può essere in competizione con sé stessi, per superare i propri limiti e migliorare in modo costruttivo e funzionale. Ma anche in questo caso è necessario porre attenzione: l’eccesso di competitività può comunque determinare frustrazione.
È infatti possibile che dietro l’impulso a competere ci sia il bisogno di essere riconosciuti e amati, e la vittoria, in una disciplina sportiva o in campo lavorativo, appare come strumento per ottenere questo riconoscimento.
Tale pensiero determina ulteriore frustrazione e bisogno di rientrare in competizione, dal momento che il riconoscimento è effimero, mentre a rimanere e a creare valore e maturazione è il processo che ha portato a ottenere la vittoria.
Riconoscere il competitivo
La competitività si caratterizza per alcune caratteristiche ben precise, che a loro volta determinano le scelte e le azioni di un individuo. Chi è competitivo:
- tende ad essere ambizioso e dominante
- risulta essere orientato al successo
- si comporta con determinazione e metodo
- ingaggia una sfida e la porta avanti fino al suo completamento.
Una persona funzionalmente competitiva, quindi priva della componente di compensazione che può essere causa di tensioni con sé e con i competitor, è inoltre orientata al dedicare molte ore della giornata all’ottenimento dei risultati.
Senza cadere, per fare un esempio nel mondo del lavoro, in una condizione di workaholism, cioè una sindrome da dipendenza da lavoro.
In più, è spesso alla ricerca della novità. Prova, quindi, di applicare quello che viene definito pensiero divergente: ricerca di nuovi approcci e soluzioni a problemi quotidiani.
La competitività può essere un vero strumento di crescita e consapevolezza di sé e dei propri strumenti, tanto cognitivi quanto affettivi. Quando invece è una leva compensativa, e si rivela nei suoi tratti aggressivi, può determinare situazioni spiacevoli o conflittuali.
In questa seconda circostanza come ci possiamo comportare? La prima regola è non far sopravanzare l’ego della persona eccessivamente competitiva, cercando di comunicare in modo più pacato e con assertività.
La seconda regola prevede di osservare l’eccesso di stimoli e di attenzione da parte della persona troppo competitiva con distacco, per evitare un eccessivo coinvolgimento emotivo.
Una delle chiavi per disinnescare l’eccesso di competitività, che spesso crea situazioni familiari o lavorative cariche di tensione, se non davvero tossiche, risiede nella comunicazione, grazie alla quale è possibile ripristinare una condizione di equilibrio tra le parti e di condivisione di strumenti e risultati.
Competizione lavorativa
Stabilite tali premesse, viene da chiedersi se il confronto e la concorrenza con i colleghi siano proficui e funzionali alla produttività lavorativa e, come sempre, la risposta sta nel mezzo.
Infatti, in diversi settori della psicologia, in particolare quello del lavoro e quello sportivo, si è notato come una sana competizione favorisca la prestazione e la motivazione.
Tuttavia, un’incontrollata tendenza a voler primeggiare a tutti costi sull’altro nonché l’accanimento al risultato portano ad un’eccessiva attivazione fisiologica che compromette l’esecuzione di alcune attività, specie quelle che richiedono particolare attenzione e concentrazione.
A questo punto, sette domande potrebbero fare chiarezza sulla positività o negatività della competizione al lavoro. Nello specifico:
- Cos’è la competizione a lavoro? Ebbene, secondo alcuni la concorrenza è la spinta motivazionale (quindi anche la disponibilità) che spinge il lavoratore ad eccellere in quello che fa. Secondo questa prospettiva, un posto di lavoro dovrebbe essere competitivo e far sì che ognuno competa con l’altro.
- Dove funziona la concorrenza? Gli studiosi Po Bronson e Ashley Merryman sostengono che, quando le persone sono insicure e hanno dubbi su di sé, la competizione può essere l’ingrediente giusto per sbloccare la situazione. In effetti, la competizione può funzionare in un contesto richiedente innovazione e creatività, mentre può non essere necessariamente positiva in un contesto “statico” come l’ufficio. Una spiegazione plausibile potrebbe essere che in un contesto creativo la competizione diventa stimolante e funzionale alla risoluzione dei problemi, mentre nel classico contesto d’ufficio essa può connotarsi come una minaccia che blocca l’uomo, sortendo l’effetto opposto.
- Cosa dicono le statistiche? Po Bronson e Ashley Merryman ritengono che un primo 25% delle persone si indebolisce di fronte alla concorrenza (si disimpegna), un altro 25% non ne è influenzato, mentre il 50% ne beneficia.
- Quanto dura l’effetto della competizione? Secondo la ricerca, le persone sono meno motivate da fattori estrinseci (concorrenza, premi in denaro) e più motivate da fattori intrinseci. Inoltre, fattori estrinseci possono creare un improvviso picco in termini di prestazioni, ma i fattori intrinseci hanno maggiori probabilità di generare un cambiamento comportamentale a lungo termine. Dunque, la motivazione estrinseca, come la concorrenza o le ricompense, non dura molto: solo la motivazione intrinseca – la spinta a fare bene – è ciò che spinge veramente l’uomo verso prestazioni ottimali.
- Quando la competizione peggiora il clima lavorativo? Partendo dal presupposto che il clima lavorativo dovrebbe indurre nei dipendenti un senso di fiducia e spronarli a vivere esperienze piene e soddisfacenti, l’introduzione non ponderata di espedienti competitivi potrebbe indurre nei lavoratori un sentimento di minaccia e di paura che annullerebbe la spinta alla collaborazione e al team working.
- Con chi si compete meglio? Dal momento che le persone sono guidate dalla prova sociale, fenomeno per cui sono spinte ad assumere come modello di comportamento quello delle persone ritenute simili a sé, risulta evidente che si compete meglio con chi si avverte vicino e somigliante a se stesso.
- Che tipo di concorrenza può funzionare? La vera risposta al problema competizione estrinseca vs intrinseca è che le persone possono essere guidati a competere “intrinsecamente” con se stessi e, come visto precedentemente, sarebbe proprio questo tipo di competizione ad essere proficua e produttiva non solo al livello lavorativo ma, in generale, ad un livello personale.
Se vuoi rimanere aggiornato seguimi sulla mia pagina Facebook.