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23/10/2017C’è dissonanza quando pensieri e comportamenti non coincidono.
La dissonanza cognitiva riguarda cognizioni o pensieri antitetici e per questo in contrasto tra loro al punto che, in casi più estremi, crea un forte disagio alla persona.
Provoca una inversione di rotta che determina una sorta di tensione, simile a quella che si prova in situazioni stressanti con emozioni negative.
Concetto di dissonanza
L’atto di scegliere tra due o più linee di azione è definito come processo decisionale. Questo, però, viene messo alla prova dalla cosiddetta dissonanza cognitiva. L’ideatore di questo concetto è Leon Festinger, psicologo e sociologo statunitense che elaborò la teoria della dissonanza nel 1957.
La dissonanza cognitiva non è altro che una sensazione scaturita da un conflitto fra idee, convinzioni, valori e atteggiamento dell’individuo. In poche parole, consiste nel sostenere due o più pensieri o idee che risultano in contraddizione tra loro, generando disagio e tensione.
Nel suo trattato intitolato “Teoria della dissonanza cognitiva”, Festinger parla proprio di questo meccanismo psicologico, tipico di noi umani, che oltre ad attivare idee e informazioni che possono intensificare la contraddizione, può anche cercare di ridurla e, come diceva l’autore, “fare in modo che i conti tornino “. Approfondiamo meglio il concetto di questa teoria della psicologia sociale moderna e cosa significa veramente.
Con il termine dissonanza cognitiva si intende una dissociazione mentale tra la realtà e il proprio comportamento, nel tentativo di giustificare le nostre abitudini o i nostri atteggiamenti contradditori con atteggiamenti razionali privi di fondamento.
In questo modo mentiamo a noi stessi, proprio perché abbiamo trovato una giustificazione razionale al nostro comportamento. Una volta che mentiamo, non avvertiamo il dolore del nostro fallimento, ma non abbiamo fatto altro che manipolare la realtà inventandoci una spiegazione che non ha alcun fondamento.
I 3 assunti della teoria
La teoria della dissonanza cognitiva si basa su tre assunti fondamentali:
1) “L’individuo mira alla coerenza con se stesso” nel modo di pensare ed agire.
Di solito le persone si rendono conto di quando il proprio agire entra in conflitto con le proprie idee o opinioni sperimentando uno stato di allarme. Riprendendo l’esempio precedente se un individuo crede che sia sbagliato barare, ma in alcune occasioni lo fa, avverte tensione.
2) Riconoscere una simile incongruenza crea dissonanza, per cui la persona viene motivata a risolverla.
Una volta che si riconosce di aver violato un proprio principio, non basta semplicemente ignorare l’accaduto. Secondo la teoria di Festinger permane uno stato di angoscia.
Il grado di dissonanza varia a seconda dell’importanza delle proprie credenze o principi e dipende dal grado di incoerenza tra queste cognizioni ed il comportamento. Maggiore è la dissonanza, maggiore è la motivazione a superarla.
3) La dissonanza può essere risolta attraverso tre modalità:
- cambiare il proprio comportamento: assicurare a se stesso che non si barerà mai più. E’ pur vero, però, che non sempre ci sono le condizioni per modificare il proprio comportamento a causa di vincoli troppo grandi nell’ambiente
- produrre un cambiamento nell’ambiente: si cerca di modificare la situazione che causa la dissonanza, ad esempio modificando quegli elementi contestuali che aiutano a “giustificare” la condotta da baro. Tuttavia, è molto difficile avere un pieno controllo sulle variabili ambientali tali da modificarle secondo i propri bisogni
- modificare le proprie cognizioni: cambiare le proprie opinioni e atteggiamenti aprendosi a nuove forme di conoscenza e di informazione, a nuovi modi di percepire la propria condotta diversi da quelli solitamente adottati.
Ad esempio, considerare il proprio comportamento da baro non così ignobile perché “d’altronde molti lo fanno o lo hanno fatto e non è poi così dannoso”. Questa è la modalità che più facilmente e frequentemente garantisce una riduzione della dissonanza.
Ne sono esempio le razionalizzazioni, le minimizzazioni e svalutazioni, le deformazioni della realtà.
L’esperimento di Festinger
Uno degli esperimenti più famosi con cui Festinger e collaboratori hanno indagato e dimostrato tale fenomeno fu condotto nel 1959 presso l’Università di Stanford.
Durante l’esperimento i ricercatori chiedevano a un soggetto per volta di prestarsi a svolgere un compito particolarmente noioso, in cui dovevano fare movimenti lenti e monotoni roteando figure geometriche per circa un’ora.
A conclusione del compito chiedevano al soggetto di mentire, facendo credere al partecipante successivo (che in realtà era un complice dei ricercatori) che l’esperimento era invece molto eccitante e divertente.
Per fare questo, come ricompensa, ad un gruppo di soggetti veniva dato 1 dollaro, ad un altro 20 dollari. A fine esperimento, i partecipanti furono sottoposti ad un’intervista sulla gradevolezza del compito indipendentemente dalle bugie affermate ai partecipanti successivi.
I risultati si rivelarono sorprendenti: coloro che avevano ricevuto un solo dollaro minimizzavano la noiosità dell’esperimento e lo giudicavano personalmente interessante; non solo, addirittura parlavano di “bellezza simmetrica dei movimenti degli oggetti cilindrici mossi ripetutamente sulla tavola”, ritenevano “che per la scienza si fa questo ed altro” e speravano “che gli scienziati potessero avere dei risultati significativi”.
Qual era la spiegazione?
I soggetti che avevano ricevuto 20 dollari potevano giustificare la menzogna alla luce di un buon compenso. In coloro che invece avevano ricevuto solo 1 dollaro, la dissonanza cognitiva era più intensa in quanto non avevano lo stesso pretesto degli altri. L’unico modo di ridurre tale dissonanza era quello di cambiare le proprie cognizioni e di giudicare il compito sperimentale non poi così noioso.
La volpe e l’uva
La dissonanza cognitiva la ritroviamo anche nella famosa favola della volpe e dell’uva di Esopo: “Un giorno una volpe, che era oppressa dalla fame, vide su un’alta vigna dell’uva rosseggiante e, saltando con tutte le sue forze, cercava di raggiungerla. Nonostante avesse tentato numerose volte, non riusciva a far suo quel cibo delizioso.
La fame dell’animale però era sempre più forte e la volpe non trovava una soluzione che riuscisse a placarla. I grappoli d’uva restavano davanti ai suoi occhi, vicini ma allo stesso tempo lontanissimi, così siccome non poteva toccarli, la volpe scese dalla vigna lamentandosi ed esclamò: “Non sono ancora maturi, non voglio prenderli acerbi”.
Un altro esempio tangibile e molto comune di dissonanza riguarda il fumo.
Una persona è consapevole che il fumo sia dannoso, ma, nonostante ciò, continua a fumare.
Si crea dissonanza e con essa la tendenza a ridurla. Per cui:
- non fuma più
- rende la sigaretta non così dannosa
- si dice “mio nonno fumava 2 pacchetti al giorno ed è morto a 90 anni!”.
Di esempi di questo tipo ce ne sono un’infinità: si pensi all’evasione, al rimanere con un partner violento, al rubare, all’abbracciare sette religiose che predicano la fine del mondo in date precise (sempre smentite dalla realtà), al gioco di azzardo, a condotte spericolate ecc.
Soprattutto mediante la terza modalità si continua a contrastare la propria dissonanza cognitiva per ridurre, insieme alla contraddizione, il disagio che ne deriva.
Tuttavia, le conseguenze in certi casi, seppur implichino il raggiungimento della “consonanza”, possono essere dannose per l’individuo che rimane facilmente esposto a rischi e situazioni altamente pericolose: sanzioni penali, danni e abusi fisici, sperperamento di denaro, condotte e scelte irrazionali che favoriscono i propri aguzzini a spese proprie e così via.
Riconoscere le conseguenze della dissonanza cognitiva può essere utile ad evitare esiti ben più disastrosi.
Ciò che conta, però, è che la modificazione delle cognizioni, che può sembrare una sorta di “autoinganno”, non è di per sé un pericolo o un processo giusto/sbagliato, ma che sia effettivamente funzionale al benessere globale dell’individuo.
Quando questo non accade, meglio allora cambiare strategia.
Dissonanza e dipendenza affettiva
La dissonanza cognitiva nella dipendenza affettiva è un tema piuttosto ricorrente. Quando qualcuno si trova immerso in una relazione tossica, in fondo sa perfettamente che sarebbe meglio uscirne.
Tuttavia, qualcosa gli impedisce di farlo. La paura della solitudine e il dolore sono più forti del malessere che provato ogni giorno in una relazione distruttiva.
La dissonanza cognitiva nella dipendenza affettiva compare nel momento in cui la persona sente che ogni giorno accanto al partner è come una condanna.
Sia che il partner la umili, la annulli, sia aggressivo, infedele o inneschi continue discussioni… Il risultato è che, progressivamente, l’autostima della persona dipendente è sempre più debole.
Nel momento in cui il dipendente affettivo ha un momento di lucidità, apre gli occhi ed è capace di contemplare questa realtà, prende coscienza del dolore che sta soffrendo. In questa trance, il suo pensiero gira attorno al «devo mettere fine a questa relazione perché mi fa male».
Purtroppo, però, la dipendenza affettiva racchiude al suo interno un elemento ancora più potente e pericoloso: la paura del rifiuto e della solitudine.
Invece di agire in risposta al «devo mettere fine questa relazione» e ripristinare una coerenza, la persona si rifugia nel «ho bisogno di questa persona per non restare solo/a» e, pertanto, perpetua il comportamento di sempre.
L’individuo persiste in una relazione tossica e genera una dissonanza cognitiva molto fastidiosa: «questa situazione mi ferisce e dovrei scappare, ma il miraggio di una possibile solitudine mi terrorizza».
La dissonanza cognitiva nella dipendenza affettiva è ancora più sgradevole quando tutte le persone vicine vedono chiaramente che la persona dovrebbe mettere fine alla relazione.
Con la migliore delle intenzioni e con la pretesa d’essere d’aiuto, inviano messaggi e consigli di come dovrebbe agire: «Ma perché non lo lasci se ti tradisce?», «Non dovresti accettare che ti parli in questo modo», «Lasciala prima che sia troppo tardi».
Tutto questo, evidentemente, genera un conflitto interiore ancora più grande e l’individuo dipendente può arrivare addirittura a ripudiare queste persone e interrompere relazioni per evitare che aumentino questa dissonanza.
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2 Comments
Buonasera,
Questo articolo si addice molto a me,una vita che mi sento così anche alla ‘età di 46 anni ,sempre giudicata dal viso talmente tante offese che ormai non mi offendono più. E il mio carattere e diventato più forte e sono capace di guardare dritto nei gli occhi…
Complimenti Cristina per avere superato l’ignoranza e la maleducazione della gente.
Si tenga strette le persone che le vogliono bene nonostante i suoi difetti, che tra l’altro tutti abbiamo perché nessuno è perfetto, ma il difetto dell’intelligenza è un difetto insormontabile….
In questo è sicuramente migliore di tutti gli altri messi insieme e cumulati come campionario.
Sia sempre se stessa e guardi al suo futuro, gli altri li mandi generosamente a quel paese!
Marilena