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28/04/2017La fobia sociale è la paura del pubblico e del giudizio degli altri.
Si tratta di un particolare stato ansioso nel quale il contatto con gli altri è segnato dalla paura di essere malgiudicati e dalla paura di comportarsi in maniera imbarazzante ed umiliante, le persone affette da questa fobia evitano situazioni spiacevoli, se sono costrette ad affrontarle sono molto a disagio con loro stesse.
La fobia sociale è pertanto uno stato di disagio sociale, molto più serio ed invalidante della timidezza, con la quale non va assolutamente confuso.
Cos’è la fobia sociale
La fobia sociale (o disturbo d’ ansia sociale) è un disturbo psicologico caratterizzato da un’intensa e persistente paura di affrontare le situazioni sociali in cui si è esposti alla presenza e al giudizio altrui per il timore di apparire incapace o ridicoli e di agire in modo inopportuno.
Si tratta di un disturbo d’ansia causato dalla paura di essere giudicati negativamente in situazioni sociali o durante lo svolgimento di un’attività.
Le prime descrizioni della fobia sociale risalgono ai primi anni del Novecento, quando Janet (1903) la definì come ‘La paura di parlare in pubblico, suonare il piano e scrivere di fronte ad altri‘.
La specificità della fobia sociale fu negata con l’affermarsi della Psicoanalisi, che la classificò genericamente all’interno della nevrosi fobica. Successivamente, Marks e Gelder (1966) la distinsero dalle altre manifestazioni fobiche, definendola come ‘La paura di mangiare, bere, ballare, parlare, scrivere, ecc. in presenza di altre persone per il timore di risultare ridicoli‘.
Nella fobia sociale il soggetto teme che le proprie prestazioni e comportamenti lo possano esporre a valutazioni negative da parte degli altri.
Con il termine “prestazioni” e “comportamenti” ci si riferisce a una qualsiasi attività quotidiana osservabile, plausibilmente soggetta a qualche tipo di giudizio da parte degli altri come ad esempio: mangiare o bere in pubblico, usare il telefono in pubblico, prendere mezzi pubblici, parlare di fronte a un gruppo di persone, intervenire durante una riunione di lavoro, partecipare a una festa, parlare con uno sconosciuto, chiedere informazioni e chiarimenti, firmare, camminare di fronte ad altre persone, sostenere una conversazione con un gruppo o con una singola persona, o qualsiasi altra attività che può’ attirare l’attenzione degli altri.
Il timore centrale della fobia sociale è quello di essere giudicati ansiosi, deboli, impacciati, stupidi, sciocchi o inadeguati.
Questo timore può essere tanto forte da produrre sensazioni di disagio molto intense (es: palpitazioni, tremori, sudorazione, rossore del volto, malessere gastrointestinale, dissenteria, tensione muscolare, confusione) che possono provocare veri e propri attacchi di panico.
Spesso si può avere il timore di essere giudicati noiosi, non interessanti o di poter dire qualcosa di sbagliato, tanto da essere giudicati inadeguati.
Il concetto del timore del giudizio degli altri è il nucleo centrale della fobia sociale, elemento fondamentale sia nell’eziologia che nel mantenimento del disturbo e della sintomatologia fobica (Wells e Clark, 1997).
Sintomi e cause
Secondo il DSM 5, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali i sintomi della fobia sociale o disturbo d’ansia sociale sono i seguenti:
- Marcata paura o ansia rispetto a una o più situazioni sociali in cui l’individuo è esposto al possibile giudizio degli altri
- L’individuo teme di mostrare i sintomi di ansia e che verranno valutati negativamente (umiliazione, imbarazzo)
- Le situazioni sociali provocano quasi sempre paura o ansia
- Le situazioni sociali vengono evitate o sopportate con intensa paura o ansia
- La paura o ansia è sproporzionata alla minaccia reale rappresentata dalla situazione sociale e al contesto socio-culturale
- La paura, l’ansia o l’evitamento causano disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti del funzionamento
Le cause che portano all’insorgenza di un disturbo della fobia sociale possono definirsi multifattoriali. Secondo la letteratura scientifica, alla base dell’eziopatogenesi della fobia sociale vi è una combinazione di fattori genetico-biologico e esperienziali-psicologici, che possono costituire fattori di rischio e protettivi riguardo l’insorgenza e il mantenimento della patologia.
Per quanto riguarda i fattori di rischio biologici, vi sarebbe una tendenza ad avere più facilmente reazioni ansiose, collegata ad una maggiore reattività del sistema limbico, un insieme di strutture nervose deputate alla regolazione emotiva.
In generale, in letteratura si è osservato che i disturbi d’ansia tendono ad avere una trasmissione transgenerazionale, anche se ancora non è chiara la quota di tale trasmissibilità legata a fattori prettamente genetici, e a fattori ambientali di apprendimento sociale che si giocano nell’interazione del bambino con il genitore ansioso.
In tal senso, tra gli altri fattori che possono influenzare lo sviluppo della fobia sociale vi sono quelli ambientali-psicologici, che chiamano in causa il vissuto soggettivo di ciascuno e specifiche modalità di regolazione emotiva e di relazione con il mondo e con gli altri che apprendiamo fin dall’infanzia nel nostro contesto di vita.
Tra i fattori di rischio che possono facilitare l’insorgere del disturbo d’ ansia sociale vi sono: storia familiare (se un genitore o un fratello ha disturbo d’ansia sociale); tratto di personalità di marcata timidezza; esperienze negative di bullismo, derisione, umiliazione e rifiuto sociale e criticismo (anche abuso sessuale).
Come si manifesta
Il nucleo patologico della fobia sociale è rappresentato da una marcata sensibilità verso il giudizio degli altri; il fobico sociale teme di essere osservato e di divenire oggetto di scherno da parte degli altri, o che le proprie prestazioni lo possano esporre a valutazioni negative.
A livello cognitivo il fobico sociale è caratterizzato dall’essere molto critico verso se stesso e si autopercepisce come debole, incompetente e ridicolo, mentre l’altro è visto come abile, superiore e competente.
Sul piano comportamentale, questo soggetto fobico, per sottrarsi all’esposizione di esperienze dolorose, adotta la condotta dell’evitamento e del rinvio, della rinuncia e del ritiro; nella relazione con l’altro adotta un comportamento protettivo ed una comunicazione di tipo anassertiva e di sottomissione.
A livello emotivo il fobico sociale vive posseduto da un senso generale di agitazione e di preoccupazione che aumenta con l’avvicinarsi di una situazione temuta, ansia, vergogna e sensazione di umiliazione nel momento in cui si trova nella situazione fobica.
Il timore esagerato del giudizio degli altri impedisce l’autoesposizione e più i comportamenti di evitamento si generalizzano, maggiormente il disturbo diventa invalidante: si sviluppano così sentimenti di inadeguatezza ed inferiorità che, a loro volta, riducono l’autostima ed aumentano la tendenza a percepire se stesso come incapace e gli altri come critici e rifiutanti.
Nel caso in cui il fobico sociale si espone alle situazioni temute, è generalmente presente ansia anticipatoria (che può presentarsi anche molti giorni prima del verificarsi dell’evento).
Prima di affrontare la situazione temuta il soggetto tende a rimuginare a lungo sulla situazione futura; tali pensieri e immagini mentali sono di tenore negativo e sono accompagnati da un elevato e intenso livello di ansia.
Questa ansia disfunzionale si inserisce in un circolo vizioso tale per cui l’effettiva prestazione durante la situazione temuta può venire compromessa proprio dall’eccessivo livello di ansia che interferisce i processi cognitivi.
Ad esempio, riguardo l’attenzione, la persona può focalizzarsi sui segnali non verbali del proprio interlocutore e/o sui propri segni e sintomi di ansia, piuttosto che sulla conversazione che sta avvenendo.
Di conseguenza, l’interazione comunicativa ne verrà inficiata ed emergeranno ulteriore vergogna, imbarazzo e sensazione di inadeguatezza, che potranno promuovere nuovamente evitamenti, ansia anticipatoria o comportamenti protettivi.
Comportamenti protettivi
Per evitare le conseguenze temute su cui rimugina in modo persistente, il soggetto con fobia sociale utilizza quelli che sono definiti comportamenti protettivi. Tali comportamenti protettivi sono delle strategie che la persona mette in atto credendo di poter meglio “controllare” i sintomi fobici.
In realtà tali comportamenti non sono utili poiché amplificano i sintomi, perpetuano l’ansia e le credenze dell’individuo di essere valutato negativamente, nonché interferiscono negativamente con la prestazione e l’attività temute dal fobico.
Ad esempio, reggere molto saldamente una tazza per tentare di controllare un lieve tremore della mano può impedire i normali movimenti rendendo il movimento estremamente impacciato; similmente, ripetere mentalmente ciò che si intende dire prima di parlare rende la conversazione più faticosa e difficile, oppure ancora evitare il contatto visivo per non attirare l’attenzione dell’altro è un segnale che non agevola l’interazione con l’altro.
Quindi i comportamenti protettivi – che sono molti e diversificati a seconda dei casi – interferiscono con la situazione sociale temuta, facendo apparire la persona in realtà proprio più impacciata, goffa, o meno disponibile all’interazione.
Infine, nel caso in cui le conseguenze temute non si siano verificate, il soggetto attribuisce erroneamente l’assenza di conseguenze negative e catastrofiche all’attuazione dei comportamenti protettivi, rendendo difficile la disconferma delle proprie credenze disfunzionali.
Durante l’esposizione a situazione temute, la persona con fobia sociale concentra l’attenzione su di sé e si pone di una prospettiva di autosservazione, sia della propria immagine durante la prestazione, sia delle proprie sensazioni fisiologiche ed emotive, “interne” e non visibili dagli altri e della prestazione in sé.
Tali autosservazioni presentano una elevata quota di soggettività e portano a immagini di sé distorte: ad esempio, se il soggetto si sente lievemente accaldato può pensare che si veda un rivolo di sudore sul volto. Segnale che ritiene porterà un giudizio negativo da parte dei propri interlocutori e/o dagli altri che lo stanno osservando.
Accanto all’ansia anticipatoria, il fobico sociale attua quello che può essere definito processo di esame a posteriori della situazione, che spesso esita in una valutazione negativa di sé e della propria prestazione. Anche di fronte a prestazioni oggettivamente adeguate, il fobico sociale inizia a ruminare sul proprio comportamento, formulando un’autovalutazione a posteriori solitamente negativa di se stesso e della prestazione nella situazione sociale.
Fobia e timidezza
La distinzione tra timidezza, introversione e fobia sociale è una questione sulla quale chi non si sente a proprio agio nelle situazioni sociali si interroga frequentemente. I vissuti emotivi, gli aspetti cognitivi e comportamentali in gioco nella timidezza, introversione e fobia sociale infatti sono simili.
Anzitutto, va sottolineato che in particolari situazioni sociali è piuttosto comune – e non per questo necessariamente patologico e disfunzionale – provare preoccupazione, ansia anticipatoria, vergogna e timore del giudizio altrui.
Basti pensare alla situazione di public speaking, in cui la persona si trova ad esporsi pubblicamente di fronte a un gruppo (più o meno esteso) di persone.
Anche in situazioni sociali quotidiane, la persona può provare vergogna e ansia durante un’interazione sociale; tuttavia, tali fenomeni emotivi potrebbero fare riferimento a una condizione di timidezza, tratto di personalità individuale che non è certamente invalidante e limitante quanto un vero e proprio disturbo d’ ansia sociale.
Il disturbo della fobia sociale implica una costante e sproporzionata paura nelle relazioni sociali, uno stato di intenso malessere psicofisico che costringe l’individuo a evitare situazioni sociali per il timore di essere giudicato inadeguato dagli altri.
Non è questo il caso della timidezza. L’ansia sociale e la timidezza si differenziano nell’intensità e nella tipologia delle emozioni (disfunzionali e più intense nel caso dell’ansia sociale), negli aspetti cognitivi di contenuto e processuali, nella pervasività delle condotte di evitamento e dei fattori protettivi, che nella persona timida non compromettono il funzionamento relazionale e lavorativo e lo svolgimento normale della vita quotidiana.
Ad esempio, le persone timide che non presentano un disturbo d’ansia sociale tendono a rimuginare in misura minore e solo poco prima dell’inizio della situazione ansiogena, presentano ansia di minore intensità durante la situazione stessa e l’esposizione alla situazione temuta non peggiora la sintomatologia ma anzi diminuisce la probabilità di evitamenti futuri.
Dunque, la timidezza, pure creando disagio nella persona, non compromette il funzionamento sociale e lavorativo della persona.
Anche se spesso nel linguaggio comune i due termini vengono utilizzati come sinonimi, una distinzione importante va fatta tra timidezza e introversione, entrambi definibili tratti di personalità, e dunque di per sé non patologici.
Mentre il timido desidera avere rapporti sociali ma si sente a disagio nelle situazioni sociali, sentendosi inadeguato e temendo il giudizio degli altri, l’introverso presenta meno interesse nel coltivare i rapporti sociali, non evita le occasioni di interazione sociale, ma non le ricerca attivamente e costantemente, e generalmente questo non è egodistonico (cioè non rappresenta un problema per l’individuo).
Tra gli psicologi più conosciuti in letteratura che si sono occupati di tratti personalità, Eysenck identificò due super-fattori di personalità: estroversione/introversione e nevroticismo (ai quali successivamente aggiungerà lo psicoticismo). Secondo la sua teoria, gli introversi, a causa di un elevato livello interno di eccitazione (arousal) tendono ad evitare la stimolazione esterna per evitare un eccesso di stimolazione. Gli estroversi, portatori di un basso livello di eccitazione, ricercano nuove o più intense stimolazioni esterne per preservare o realizzare un livello di stimolazione ottimale.
Tuttavia, i tratti di personalità della timidezza e dell’introversione non necessariamente autoescludono l’ansia sociale: se è vero che essere introversi non significa essere fobici sociali, è anche vero che è possibile che un disturbo d’ansia sociale si sviluppi in individui introversi o timidi. Viceversa, non è detto che chi soffre di ansia sociale sia necessariamente introverso.
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2 Comments
Ciao,mi chiamo salvatore ed ho 53 anni.Non sono ne fidanzato ne sposato.Ho sempre avuto terrore ad approci are il,sesso femminile ed infatti è tutta la vita che conducono esistenza solitaria.Non ho neanche amici in quanto le persone come me vengono detestato sia dai maschi che dalle donne.Nessuna cura psichiatrica e nessun percorso psicoterapeutico hanno risolto i miei problemi.l’unica donna che si è avvicinata a me ,quando avevo 33 anni e stata una prostituta che abitava nella mia stessa palazzina.Questo ha condizionato la mia vita sessuale e per alcuni anni ho frequentato delle prostitute con le quali riuscivo ad avere dei rapporti completi.Un paio di volte ho avuto una relazione con due ragazze che ho conosciuto in chat,ma con loro non riuscivo ad avere rapporti sessuali.Soffro di fobia sociale e disturbo bipolare.Non riesco a relazionarmi con nessuno ed ultimamente ho pensieri suicidarmi. Vivo una solitudine terribile ma allo stesso tempo detesto le persone.Ho molta rabbia repressa e ho paura di me stesso.Do la colpa della mia situazione a mia madre che ha scelto un uomo sbagliato procreazione un disastro umano.non so che fare
Che ne dice di provare un percorso con me, magari un metodo diverso può in un qualche modo sbloccare la sua situazione.
Se desidera provare mi contatti via mail: info@marilenacremaschini.it.
A presto
Marilena