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14/02/2017La sindrome di Pollyanna rappresenta l’ottimismo portato all’eccesso.
Reagire positivamente agli eventi avversi della vita, pensare che tutto andrà per il verso giusto, credere che il mondo sia benevolo sono considerazioni legate all’essere ottimisti.
Tuttavia, sembra che tendere eccessivamente verso una concezione ottimistica della realtà, diventi disfunzionale al punto da negare l’esistenza di problemi e difficoltà, provocando l’insorgenza della cosiddetta Sindrome di Pollyanna.
Chi era Pollyanna
Il nome di tale condizione è quello della protagonista di un romanzo di Eleanor Hodgman Porter del 1913 denominato Pollyanna.
La trama racconta di una bambina di nome Pollyanna che, nonostante sia orfana di entrambi i genitori e adottata poi da una burbera zia, condiziona tutti quelli che la circondano mettendo in atto una strategia, il “gioco della felicità” appresa dal padre: una visione del mondo e degli eventi proiettata verso la benevolenza, nel credere a tutti i costi che l’essere speranzosi, fiduciosi e positivi, prima o poi ripagherà le ingiustizie della vita.
Una prospettiva che gioverà a Pollyanna e che useranno tutti anche con lei in seguito ad un incidente che la fa rimanere paralizzata.
In psicologia, però, con questa definizione si fa riferimento ad una condizione disfunzionale.
Secondo Courtney E. Hackerman esiste infatti un “pregiudizio di positività” che aiuterebbe ad essere più felici e positivi ma, nello specifico di questa sindrome, si tratta di individui che ricordano e rievocano maggiormente eventi piacevoli e positivi rispetto ad eventi spiacevoli e negativi.
In altre parole, le situazioni negative vissute da tali persone finiscono per non essere considerate: il ricordo del passato diventa roseo e nostalgico. Come se, nella vita in generale, non esistessero emozioni negative e dolorose, bensì unicamente eventi permeati da una felicità fiabesca e incantevole.
Atteggiamento disfunzionale
Essere positivi dovrebbe favorire il benessere, eppure questo atteggiamento di Pollyanna diventa a volte problematico, per un semplice motivo: è una distorsione della realtà circostante. Per parlare di benessere e salute è corretto sperimentare sia emozioni positive che negative, evitare costantemente queste ultime può risultare dannoso.
Solo in tal senso è possibile dare un significato veritiero agli eventi della vita, anche alle situazioni dolorose, le quali dovranno subire un riconoscimento ed un’elaborazione.
Le emozioni non possono essere controllate, poiché si corre il rischio di reprimerle; di conseguenza, non accogliendo un’emozione spiacevole, non si accoglie una parte di sé, si rifiuta un momento che invece necessita delle giuste attenzioni per poterlo fronteggiare e che può invece permettere un cambiamento o un insegnamento.
Riepilogando, la Sindrome di Pollyanna è associabile al concetto di disfunzione, per i seguenti motivi:
- l’individuo ignora la percezione e il riconoscimento di eventi sfavorevoli;
- persiste un ottimismo infondato ed esagerato nelle diverse situazioni di vita;
- le conseguenze potrebbero essere di sperimentare e attuare una carente capacità di risoluzione dei problemi, non essendo in grado di affrontare eventuali situazioni spiacevoli e stressanti con un carico emotivo elevato, come possono essere, ad esempio, la scoperta di una malattia o un lutto improvviso.
Ottimismo cieco
Chi soffre della cosiddetta “sindrome di Pollyanna” tende a ignorare la realtà, selezionando solo gli aspetti piacevoli, in una sorta di ottimismo cieco che impedisce un adattamento funzionale agli eventi. È il caso di quando si ricordano solo le buone notizie o quando si evita di entrare in contatto con informazioni dolorose, anche se reali.
Le “lenti rosa” dell’ottimismo di Pollyanna spesso impediscono il riconoscimento delle emozioni spiacevoli, evitandole e reprimendole, con inevitabili ripercussioni sulla salute mentale.
L’ottimismo è un tratto di personalità che permette di reagire positivamente alle difficoltà della vita e porta ad avere un atteggiamento resiliente e proattivo.
Secondo alcuni studi, l’ottimismo favorisce la perseveranza nel raggiungimento degli scopi, determinando una maggiore capacità decisionale, con logica e razionalità, un’attenta definizione degli obiettivi e una maggiore pianificazione di azioni e piani alternativi.
Chi possiede un buon ottimismo disposizionale tiene conto di un efficace esame di realtà, che include anche la possibilità che non tutto potrà sempre andare bene ma, in caso di eventuali problemi e difficoltà, porta a nutrire speranza sulle proprie risorse personali.
Tuttavia, l’ottimismo può assumere diverse connotazioni e non tutte consentono di valutare le situazioni con il dovuto realismo.
Alcune volte, una concezione eccessivamente ottimistica della realtà può risultare problematica e spesso disfunzionale e l’ottimismo ottuso può portare al mancato riconoscimento dei problemi e delle difficoltà, impedendo l’esame di realtà, oltre che la necessaria elaborazione di eventi ed emozioni spiacevoli.
Silenziare il dolore
Secondo diversi studi, le persone ottimiste presentano una forte inclinazione alla resilienza e al problem solving. Per questo motivo, tendiamo a vedere l’ottimismo come una caratteristica positiva, al contrario del pessimismo.
Se, però, l’ottimismo diviene forzato e cieco, l’atteggiamento illusorio porta a sbilanciarsi solo verso ciò che viene considerato positivo, ostacolando l’elaborazione degli stati mentali necessari per un buon adattamento alla realtà.
Se da bambini impariamo che non ci è concesso stare male e il dolore e la sofferenza devono essere evitati a tutti i costi, da adulti potremmo applicare il diniego come principale risposta a eventi spiacevoli, proprio come avviene nella sindrome di Pollyanna.
Il diniego è una manifestazione dell’evitamento, una strategia di coping che permette di affrontare esperienze ed emozioni spiacevoli, attraverso la loro negazione.
Seppur necessario in alcuni momenti, “silenziare” sempre il dolore, attraverso un pensiero positivo forzato, può, però, avere notevoli ripercussioni sulla salute mentale.
L’ottimismo ottuso della sindrome di Pollyanna predilige un focus selettivo che tiene conto esclusivamente degli aspetti positivi, ma le emozioni come la tristezza, la paura o la rabbia non devono essere evitate o cancellate, al contrario, sono dei preziosi segnali da ascoltare e accogliere come parte necessaria per l’elaborazione degli eventi.
Le emozioni negative
Una visione semplicistica delle emozioni, ma purtroppo ancora tanto diffusa, porta a fare distinzione tra emozioni positive e negative, etichettando queste ultime come qualcosa da evitare, poiché indicatori di scarsa salute mentale.
Ci viene detto di “pensare positivo” o di “mandar via la tristezza”, come se fosse necessario performare anche quando ci si rapporta alla propria sfera emotiva.
Eppure, contrariamente a quanto suggerisce il mito della positività a tutti i costi, non si può essere felici sempre: non sempre la positività e l’ottimismo riescono a tutelarci dalle difficoltà della vita e, quando ci troviamo di fronte a problemi, è inevitabile provare pensieri ed emozioni spiacevoli.
Le emozioni che consideriamo “negative”, seppur dolorose, fanno parte della nostra vita psichica ed è necessario elaborarle per una buona salute mentale.
Andare avanti “a tutti i costi”, spesso ci impedisce di metabolizzare le difficoltà ed elaborare le emozioni a esse collegate.
Per far sì che l’ottimismo mantenga la sua connotazione funzionale e non dia luogo alle conseguenze descritte nella sindrome di Pollyanna, è importante sviluppare e promuovere una buona educazione emotiva, che punti all’accettazione e all’ascolto di tutti gli stati mentali, anche quelli che crediamo di dover evitare.
In tal senso, potrebbe essere utile intraprendere un percorso con un professionista della salute mentale, per imparare ad aprirsi senza limiti al proprio repertorio emotivo e mettere le basi per una reale resilienza.
Affrontare la Sindrome di Pollyanna
Alcuni ritengono che ottimismo e pessimismo siano innati: che, cioè, siano insiti nell’individuo sin dalla nascita, e che rimangano stabili senza possibilità di cambiamento. Il pessimista non può diventare ottimista, e viceversa.
Tuttavia, vi sono anche dei pareri contrari: Martin Seligman, saggista e psicologo statunitense, afferma che questi due stili di pensiero e di comportamento sono assimilati dalle figure di riferimento nell’infanzia.
Iniziano a manifestarsi nel corso dell’infanzia, e si fanno più radicati man mano che passa il tempo, atteggiamenti che si faticano poi a cambiare.
Si può imparare a essere ottimisti: certo non sarà semplice, anzi, di sicuro sarà necessario un intenso lavoro su sé stessi e sulla propria interiorità. Ed è importante anche fare attenzione a non cadere nell’errore opposto, sperimentando così l’altrettanto pericolosa sindrome di Pollyanna.
Per far sì che l’ottimismo sia costituito da una connotazione funzionale ed equilibrata, e non disfunzionale come indicato fin ora, è necessario effettuare un percorso a livello emotivo: in questo caso potrebbe tornare utile e funzionale la cosiddetta esperienza emozionale correttiva introdotta da Franz Alexander e Thomas French (1946).
Fondamento della psicoterapia breve strategica, si tratta di una ristrutturazione di realtà disfunzionali che permette al paziente di sperimentare e riconoscere i comportamenti che mette in atto verso sé stesso e gli altri e, in secondo luogo, permette di riconfigurare la sua percezione della realtà circostante, operando un cambiamento che correggerà, con i suoi effetti, l’abitudine malsana.
Dal momento in cui ci si renderà conto che per raggiungere il benessere, l’eccessivo ottimismo comporta il sopprimere aspetti importanti della vita, che invece è necessario elaborare, allora cambierà il modo di pensare e di agire.
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2 Comments
Non sono affatto d’accordo. L’esercizio a scorgere aspetti delle situazioni che di primo impatto, sopraffatti dal dolore, non cogliamo, non è negare la realtà negativa, ma adattarsi ad essa traendone il meglio. Non è istintivo, ma l’utilizzo della ragione per superare i problemi è assolutamente naturale. Sono cresciuta con questa storia e non mi ha reso cieca o insensibile, piuttosto mi ha insegnato a vedere meglio, a scorgere cose che gli altri non notano nemmeno. Soffro come tutti, ma l’analisi della situazione mi aiuta a trovare speranza.
La storia è solo lo spunto per descrivere una patologia tipica nel suo modo di esplicarsi.
Non centra nulla il fatto che la storia di Pollyanna sia piaciuta o meno ed abbia lasciato effetti posititvi.
Sono contenta per lei che abbia addirittura tratto un modo di crescere e maturare positivo, ma ribadisco che la sindrome è un’altra cosa.
MArilena