La personalità rappresenta la componente di caratteristiche individuali, uniche e particolari che caratterizzano un individuo, che possono appartenere alla sua essenza biologica e psichica, ma anche emotiva, di esperienze, di vissuto, tutto ciò che può identificare un soggetto in un determinato momento.
La precisazione temporale serve a rimarcare come nel tempo noi cambiamo, mutiamo ci evolviamo in qualcosa che è sempre nuovo, diverso, adeguato allo stile di vita scelto.
Con le nostre scelte noi ci adattiamo alle nuove esigenze completando la nostra personalità per adattarla ai nuovi ruoli e alle nuove responsabilità.
Faccio un esempio molto chiarificatore.
Tutti noi nasciamo come figli e per pochi mesi viviamo in un mondo che sembra comprendere soltanto noi stessi, poi ci accorgiamo degli altri, dei genitori, dei fratelli, dei famigliari.
In un lasso temporale brevissimo siamo passati dall’essere dei neonati che nell’attesa di entrare nel mondo mangiano e dormono soltanto, poi il bimbo diventa grande e comprende il suo ruolo di figlio e di fratello, di cugino, di nipote, e così via dicendo.
Dopo alcuni anni quel bimbo entra in una scuola allora diventa un alunno, ma anche un compagno, un amico col gruppo con cui si forma, ed ogni ruolo richiede determinate funzioni e responsabilità.
Da grande quell’essere diventerà uno studente, un lavoratore, un genitore, ed anche in questi ruoli diversi egli assumerà delle responsabilità diversi, muteranno i suoi interessi e i suoi scopi e i suoi progetti in base alle scelte di vita che sono in continua evoluzione.
Seguendo questa linea logica una sola personalità si è trasformata più e più volte nel tempo adattandosi ai nuovi contesti sia ambientali che sociali, adeguando le sue esigenze e necessità a seconda del tipo di vita scelto e trasformandosi nella personalità complessa ma adeguata al contesto.
Sarebbe bastata una scelta di vita diversa per trasformare completamente la personalità di un certo tipo in un altro.
Pensiamo a chi sceglie di creare una famiglia e diventare un genitore, sicuramente sarà una persona diversa da chi è rimasto single per dedicarsi interamente al lavoro ed alle passioni, oppure pensiamo ad una separazione matrimoniale e quanto sia traumatico il passaggio dall’essere una persona in coppia al diventare un essere singolo che deve pensare soltanto per se stesso.
Questa è l’evoluzione dell’uomo nel tempo, ma vi possono essere situazioni in cui lo stesso soggetto sviluppa più personalità contemporaneamente, senza dar luogo ad alcuna patologia clinica o disturbo della personalità.
Si tratta delle sub-personalità che noi tutti possiamo avere per meglio adattarci ai diversi ambienti in cui viviamo, che richiedono delle risposte caratteriali completamente diverse se non addirittura in opposizione tra loro.
Così un padre in famiglia sarà un papà, quando è in visita ai genitori, per motivi che riguardano il rapporto relazionale con essi stabilito, può essere ancora un figlio, pensiamo ad esempio a quelle mamme che si preoccupano del loro figlio come se fosse un bambino e l’adulto acconsente ad interpretare tale ruolo per far piacere al genitore, pur trovandolo fastidioso ed inadeguato alla sua età.
Ma pensiamo a quello stesso uomo tenero ed affettuoso ci figli invece sul posto di lavoro, dove per poter esercitare la sua professionalità deve essere duro e deciso, spesso anche odioso quando deve prendere delle decisioni necessarie ma risolutive per risolvere le questioni lavorative.
Esiste dunque un noi-privato che spesso è diverso dal noi-pubblico, come se si trattasse di due personalità completamente diverse, infatti chi ci conosce al lavoro spesso fatica a riconoscerci nel ruolo casalingo.
Non per nulla il termine “personalità” deriva dalla parola latina “persona” che significa “maschera”.
Nel teatro greco-romano ogni attore portava una maschera per rappresentare meglio il personaggio che in quel momento stava rappresentando, proprio come facciamo noi quando interpretiamo i nostri ruoli che ci siamo scelti nella vita.
Dunque noi non siamo un’unica personalità ma esprimiamo molteplici aspetti tra loro differenti della nostra complessità a seconda degli ambiti e dei contesti in cui ci troviamo, che pertanto possono assumere la dicitura di “personalità diverse per adattamento”.
Riporto una definizione elaborata da Angelo Vigliotti, psicoterapeuta e grafologo, nel suo studio intitolato “I tre cervelli in grafologia”. [1]
“Una sub-personalità è una parte della nostra personalità, ovvero del nostro modo di essere e di esprimerci nella vita, costituita da un nostro bisogno o desiderio importante intorno al quale si struttura e si organizza un particolare modo di usare il corpo, di muoversi, di parlare, un modo di pensare o di vedere le cose, di rapportarci agli altri, specifici atteggiamenti, credenze, convinzioni e motti, alcune emozioni prevalenti.
Le varie parti delle nostre sub-personalità dipendono dai nostri ruoli (genitore, figlio, moglie, marito, partner, lavoratore, insegnante, medico, paziente, condomino, cittadino, contribuente, utente di internet, ricercatore, consumatore, elettore, direttore, impiegato, conduttore).
Il ruolo che più ci fa piacere vivere è quello che portiamo avanti con più arricchimento interiore, la nostra sub-personalità dipende dai bisogni ed è quella che esprimiamo anche attraverso una immagine esteriore e secondo i vari momenti esistenziali.
Dietro ogni lavoro spesso c’è una motivazione profonda che spinge il soggetto a comportarsi secondo quel ruolo che ha scelto di essere.
Non sempre è così.
Altre volte il ruolo viene scelto senza bisogno profondo e senza una motivazione adeguata: diventa una maschera.
In questo caso la sub-personalità è un personaggio in cerca di un autore sul palcoscenico della vita.
Comunque sia, ogni volta che abbiamo bisogno di assumere un ruolo prende campo la sub-personalità e noi possiamo essere uno, nessuno e centomila secondo il linguaggio pirandelliano.
Finché ogni sub-personalità ha il suo tempo dedicato non c’è nessun problema ma sovente nel gioco delle parti spesso i bisogni divergono e c’è un effetto contrastante nell’individuo.
Il bene e il male possono comparire a sequenza ravvicinata a secondo il desiderio e la paura, la quiete e la tempesta. E il ruolo può sfuggire di mano ed entrare fuori controllo.
Ci può essere il desiderio di essere al centro dell’attenzione (paura di essere messo da parte), il desiderio di emergere (paura dell’abbandono).
Nella sub-personalità c’è sempre una diade, c’è uno ying e uno yang, il giorno e la notte, l’alba e il tramonto, la vita è una sorta di grande commedia cosmica, in cui le sub-personalità sono gli attori che rappresentano un personaggio.
Il soggetto costruisce sulla sub-personalità una struttura comportamentale fatta di stile di vita, caratteristiche corporee, modalità espressive, relazioni sociali, tipologie caratteriali, modalità emotive.
Se la sub-personalità soddisfa il bisogno la persona può essere anche felice. E’ un senso di autorealizzazione compiuto.
Nella maggioranza dei casi le sub-personalità non svolgono il proprio compito in modo adeguato e la ferita primaria rimane aperta e spesso può dare una insoddisfazione esistenziale.
Alcuni riescono a vivere intensamente il proprio ruolo e sono felici ma a mio parere è una felicità di compromesso, basata molto su meccanismi difensivi per proteggersi dalle ferite subite lungo il percorso esistenziale.”
[1] Articolo tratto dalla Rivista di neuroscienze psicologia e scienze cognitive, Neuroscienze.net, dal sito: http://www.neuroscienze.net/wp-content/uploads/2017/04/I-3-cervelli-in-grafologia.pdf