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16/11/2016
Complesso di Cleopatra
22/11/2016Lo shopping compulsivo è il bisogno fuori controllo di spendere, spendere, spendere.
Lo shopping compulsivo è la versione patologica del normale e sano gesto dell’acquisto: se ne snatura la finalità, sostituendo la necessità dell’oggetto con una spinta emotiva patologica, e la modalità non è più una scelta ma un’ossessione.
Dipendenza da shopping
La persona sente il bisogno non tanto dell’oggetto che vuole comprare, perchè di fatto non ne ha bisogno, quanto del gesto stesso dell’acquisto, del fatto di poter avere quella cosa vista.
Coloro che ne soffrono peraltro non descrivono più solo il piacere insito nell’andare a fare shopping, quanto piuttosto la tensione, il disagio, il senso di non potersene sottrarre perché magari hanno speso tutti i soldi che avevano, hanno mentito ai loro familiari, utilizzando soldi e risorse di nascosto, nascosto gli acquisti per non farsi scoprire.
Tuttavia, è difficile che questi soggetti arrivino effettivamente pentiti, perché il piacere e il brivido che precedono e accompagnano l’andare a fare acquisti rimane.
È come per coloro che sono dipendenti dall’alcol o da sostanze stupefacenti o dal gioco, non riescono a fare a meno di continuare a prendere la sostanza che origina la dipendenza che nel nostro caso è il gesto di acquistare.
Alla fine di questo articolo si trova un test per capire il grado di dipendenza dallo shopping.
Nella letteratura scientifica il fenomeno dello shopping compulsivo è spesso associato ad altri disturbi quali depressione, disturbo ossessivo compulsivo, disturbi d’ansia, disturbi alimentari e gioco d’azzardo patologico, la cleptomania.
Sintomi da non sottovalutare
Il cervello emotivo è sensibile alle gratificazioni: ce ne sono di primarie come il cibo, il vestirsi, e di secondarie, più sociali-culturali, come gli acquisti.
Fare acquisti è anche un modo di coccolarsi e di sentirsi appagati: in questo senso nessuno si deve sentire sbagliato.
I problemi iniziano quando il nostro sistema per trovare appagamento, coccole, consolazione e gratificazione, per “raddrizzare la giornata”, “per sentirsi meglio”, passa spesso, se non regolarmente, dall’acquisto, che a questo punto si tramuta in gesto ossessivo.
Quindi un primo campanello di allarme è la frequenza. O quando, seppur non volendolo e non potendolo fare, ci si ritrova quasi senza deciderlo, con un oggetto acquistato.
Anche la perdita di volontarietà è un campanello d’allarme da non sottovalutare.
Poi c’è l’eccesso, la tendenza a comprare cose con prezzi superiori a quelli che effettivamente ci potremmo permettere, ma soprattutto va considerato il significato emozionale che ha il gesto.
Quando questo diventa rilevante (bisogno, necessità di appagamento, di gratificazione, senso di astinenza-necessità quasi fisica) allora è il segno che qualcosa non va.
Il 95% di chi ne soffre sono donne fra i 20 e i 30 anni, persone che hanno o hanno avuto un altro disturbo della sfera emozionale come ansia, fobie, depressione.
Sembra esserci un’alta frequenza di eventi stressanti e avversi nella storia di queste persone, come micro e macro-traumatismi.
Ci sono poi dati a supporto di una bassa autostima, un basso livello culturale e un’elevata tendenza all’estroversione.
Questo disturbo riguarda anche le persone poco inclini alla riflessione del legame tra pensieri-emozioni-comportamenti: potremmo dire quelli che vivono le emozioni in apnea, con bassa consapevolezza, sono predisposti maggiormente all’acquisto compulsivo.
Da ultimo citiamo il fatto che la letteratura porta dati discordanti su come le persone con buone capacità relazionali e una rete sociale ben sviluppata, siano più a rischio, o più protette, rispetto a questo problema.
Potrebbe essere che una rete sociale renda la gratificazione da acquisto meno necessaria, ma allo stesso tempo una vita sociale intensa potrebbe essere correlata a una bassa capacità di astrarsi da meccanismi di conformismo e bisogno di apparire.
Profili psicologici dell’acquisto
Quelle descritte sono sfumature dello stesso fenomeno dello shopping compulsivo, e possono ritrovarsi nella stessa persona insieme, ma parlarne in termini di entità distinte ci aiuta a mettere in evidenza le caratteristiche salienti del fenomeno.
Ci sono gli impulsivi, ovvero quelli che agiscono l’acquisto senza premeditazione, escono di casa per andare in posta con una raccomandata e tornano con la gonna, la borsetta, presa senza nessuna valutazione circa l’utilità o l’entità economica.
Spesso poi si pentono dell’acquisto o non lo utilizzano, perché effettivamente non ne avevano necessità e magari l’articolo non corrisponde nemmeno in termini di gusto.
Vi sono poi i seriali e gli accumulatori i quali soffrono di una patologia chiamata disposofobia.
Qui focalizziamo l’altro lato della medaglia rispetto all’impulsività, ovvero la compulsività, il senso di obbligatorietà nel reiterare un gesto che diventa una specie di rituale: ci si focalizza quasi sempre sugli stessi oggetti e spesso si diventa accumulatori (borse, scarpe, orologi, profumi).
Ci sono poi quelle persone che non si sbarazzerebbero mai degli oggetti accumulati seppur non li utilizzino mai, come se ci fosse un legame affettivo e un vero e proprio disagio fatto di ansia e panico all’idea di non avere più l’oggetto.
Poi ci sono gli emotional buyers, quelli che a fronte di un litigio, di una giornata storta in ufficio, escono e vanno a fare acquisti come forma di ansiolitico, per sedare emozioni negative, quali tristezza, rabbia; spesso lo fanno inconsciamente, non ne sono consapevoli.
A volte, come per il cibo, il risultato sono delle vere e proprie abbuffate di acquisti, perché il gesto è determinato dal bisogno di riempirsi emotivamente e quindi c’è una necessità che può andare oltre al singolo oggetto.
Poi ci sono i vanitosi. Qui l’acquisto è totalmente focalizzato all’apparire speciali, sono quelle persone che magari rimuginano sull’opportunità dell’acquisto combattendo con loro stessi per motivare la necessità di un nuovo cappotto, trovando alla fine il modo di ingannarsi, vincere le resistenze di natura economica, morale, o altro, e finalmente indossare l’oggetto desiderato.
Si sentono inadeguati fino all’acquisto del capo perché l’acquisto dà un senso di onnipotenza.
Da differenziare i vanitosi dai “fashion victims“, ovvero le persone che si fanno influenzare dalla spinta consumistica e pubblicitaria all’acquisto dell’ultimo modello assolutamente indispensabile, ma di fatto solamente di moda.
Poi esistono i tossici, termine che qui utilizziamo per porre l’accento su quelle persone che svuotano il gesto dell’acquisto del significato sociale, (vanità, spinta consumistica) ed emotivo (bisogno di compensazione), ma sono letteralmente drogati del brivido che vivono nel momento dell’acquisto, simile a quello che provano i giocatori d’azzardo.
In queste persone ritroviamo le caratteristiche di una tradizionale dipendenza: il craving (desiderio impulsivo), l’astinenza, perdita di controllo e tolleranza, cioè dover aumentare la “dose” per avere lo stesso effetto.
Test per la dipendenza
Di seguito sono formulate alcune domande per farti capire se hai un problema di dipendenza da shopping, devi rispondere un sì o no alle domande qui di seguito, alla fine il responso.
Ecco i “7 segnali d’allarme” per lo shopping compulsivo:
1 – Pensi allo shopping di continuo
2 – Compri per cambiare il tuo umore
3 – Compri così tanto che il tuo shopping interferisce con le tue incombenze quotidiane (per esempio scuola o lavoro)
4 – Senti che devi comprare di più e sempre di più per ottenere la stessa soddisfazione provata in precedenza
5 – Hai deciso di comprare meno, ma non ci sei riuscito/a
6 – Ti senti male se per un qualche motivo non puoi fare shopping
7 – Compri così tanto da mettere a rischio il tuo benessere
Se la risposta positiva è 4 su 7 domande vuol dire che esiste un problema con lo shopping compulsivo.
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