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02/08/2018Il modus operandi dei Serial Killers risulta essere più o meno lo stesso.
Alla fine degli anni Settanta due agenti dell’FBI intervistarono i 36 criminali più pericolosi d’America per capire i meccanismi della loro mente e scoprire se vi fosse un modus operandi comune a tutti i serial killers.
Robert Ressler e John E. Douglas, analisti comportamentali dell’FBI, volevano ‘entrare’ nelle loro menti e rubarne i segreti. Da questo progetto senza precedenti è nato il moderno profiling del criminale.
E una scoperta importante: quella che molti assassini sono ‘seriali’: hanno cioè un modus operanti comune.
Grazie al lavoro di Ressler e Douglas nasce il Profiling del criminale, lo studio del modus operandi collettivo, cioè l’identificazione dei parametri generali di una persona, caratteristiche comportamentali, stile di vita, modalità di reazione, potenzialità ed ambiente sia familiare che lavorativo ideale, in modo da riuscire a comprenderli e scovarli prima di sapere chi siano.
Alla loro inchiesta si unisce anche la professoressa Ann Wolbert Burgess, consulente medico forense, esperta nell’assistenza delle vittime di crimini sessuali.
Per i due agenti si prono le porte del braccio della morte, dove incontrano, tra gli altri Jeffrey Dahmer, il ‘cannibale di Milwaukee’, l’uomo che squartava e mangiava le sue vittime e Richard Chase, ‘Il vampiro di Sacramento’, il prototipo di quello che Ressler e Douglas chiameranno assassino disorganizzato.
I due agenti, infatti, individueranno alcuni comportamenti ricorrenti tra i Serial Killer, definendo quello che oggi la letteratura criminologica chiama “modus operandi”, l’insieme delle modalità con cui un assassino opera, in una parola: il ‘come’ il killer uccide, classificando gli assassini in organizzati e disorganizzati.
La serialità nel modus operandi
Il concetto più innovativo elaborato dai due agenti è quello di serialità del modus operandi.
Fino ad allora i detective avevano cercato per ogni singolo omicidio un movente e un colpevole legati al contesto della vittima, senza considerare che vi potesse essere un modus operandi seriale.
Il nuovo approccio dimostra che alcuni assassini scelgono casualmente la vittima e possono accumulare decine di vittime.
A spingerli non è un movente occasionale, ma il disturbo della personalità che può assumere le più svariate forme. Viene coniata così per la prima volta la definizione di Serial Killer.
Dopo aver stabilito ‘come’ i killer uccidono il gruppo di Ressler, trova una risposta al ‘perché’.
Dalle ricerche emerge come, per certi crimini, non agisca un movente, ma piuttosto la struttura psicologica dell’assassino, con le sue tendenze e le sue pulsioni; un struttura forgiata dal contesto sociale e familiare e con degli schemi riconoscibili.
Le ricerche di Ressler contribuiscono a delineare profili criminali ed il modus operandi ricorrenti come quello del sadico, dell’ossessivo, o del guardone, introducendo il metodo investigativo che oggi la letteratura criminologica chiama profiling.
Le dinamiche del comportamento o modus operandi relativo al crimine viene diviso in cinque fasi:
- Comportamento precedente il crimine e pianificazione
2. Assassinio
3. Eliminazione del corpo
4. Comportamento dopo il crimine
5. L’arresto
Comportamento precedente il crimine
Questa fase del modus operandi, del comportamento precedente e della pianificazione, comprende tre elementi del modus operandi: i fattori stressanti, lo stato mentale e la pianificazione.
Molti assassini segnalano il precipitare di qualche situazione affettiva prima di qualche crimine, anche se raramente sono disposti ad ammetterlo, un qualsiasi evento di questo tipo spesso è più che sufficiente nella loro mente per giustificare un’aggressione.
Un caso può essere un conflitto con una donna. In 48 omicidi su 81 osservati la causa finale scatenante era stata un qualche conflitto con una donna.
Anche il conflitto con i genitori è considerato un fattore privilegiato di stress.
In terzo luogo, i problemi finanziari sembrano essere un fattore anch’essi. Il 48 per cento dei casi descrive problemi finanziari nelle immediate vicinanze temporali dell’omicidio.
Difficoltà di lavoro sono state attestate nel 39 % dei casi e sospettate per un altro 26 %. In una società moderna e competitiva come quella Statunitense, è facile sentirsi sorpassati, incapaci di tenere il ritmo, messi da parte.
Infine, anche i problemi riguardanti il matrimonio sono molto influenti. Non sono stati considerati uno degli elementi chiave perché la maggior parte dei soggetti non era sposata.
Addizionali fattori di stress possono includere problemi legali (28%); conflitti con un uomo (11%); perdita di una persona cara (8%) e nascita di un figlio (8%).
Lo stato mentale
Lo stato mentale predittivo all’atto criminoso è un altro parametro di analisi della fase pre-assassinio del modus operandi.
Per stato mentale si intende una condizione emozionale che funge da filtro e da meccanismo interprete degli eventi esterni. In ordine decrescente, i più riscontrati sono: frustrazione (50%); ostilità e rabbia (46%); agitazione (43%); eccitazione (41%).
Di uguale interesse sono quei sintomi e stati umorali associati con lo stress interiore come il nervosismo (17%); la depressione (14.6%); paura (10%); confusione (7%).
Douglas, parlando di prevenzione e di tecniche, come le chiama lui, proattive nella ricerca dei criminali, indicava la collaborazione del pubblico televisivo e massmediatico in generale.
Il suo invito era di guardarsi intorno con estreme circospezione: se si appartiene all’area dove genericamente gli inquirenti ritengono risieda l’assassino, bisogna cercare di prestare attenzione al comportamento dei compagni di lavoro, degli amici e dei conoscenti e riportare alla polizia comportamenti sospetti.
In generale questi stati di ansia e di stress che sfociano in un crimine sono del tutto manifesti e ben individuabili da coloro che entrano in contatto col soggetto.
Per quanto riguarda la pianificazione del crimine il 50% netto degli intervistati ha detto di sapere con una discreta precisione chi, quando e dove avrebbero ucciso.
Un altro 34% ha affermato che si trovavano in uno stato emotivo giusto per l’impresa criminale e che andavano in giro in cerca di occasioni.
A volte i soggetti sentono un irresistibile stimolo a uccidere, alcuni cercano di soffocarlo con l’alcool, altri soccombono come sono abituati a soccombere alla tirannia delle proprie fantasie.
In ogni caso ci appare che, per quanto riguarda il serial killer cosiddetto organizzato con un modus operandi ben definito, una lunga fase di preparazione del modus operandi sussiste nella stragrande maggioranza dei casi.
La precisione va così lontano da permettere a questi criminali l’approntamento di veri e propri kit con corde, armi, bavagli, nastro adesivo, strumenti per la tortura.
E non ci dobbiamo dimenticare che le fantasie si riadattano dopo il primo omicidio, che le azioni vengono calcolate meglio e che tutto quello che riguarda il crimine tende a migliorare con l’esperienza.
Durante i giorni antecedenti all’omicidio la situazione emotiva del soggetto cambia per una serie di ragioni.
Tra queste ci sono anche altri crimini minori.
Due uomini del campione hanno commesso furti di materiale feticistico come intimo femminile o oggetti appartenenti a una donna.
Un soggetto, che più tardi ha ucciso tre donne, aveva assalito e minacciato sua moglie forzandola a scrivere un biglietto suicida.
Un altro, che ha ucciso cinque persone in una settimana, nei giorni precedenti aveva appiccato fuochi, aveva sparato dei colpi di pistola all’interno del suo appartamento e nel cortile della sua casa.
La scelta della vittima
Il passo seguente del modus operandi coinvolge il primo livello dell’adattamento delle fantasie alla realtà dell’omicidio: la scelta della vittima.
Molti soggetti hanno raccontato di essere andati in cerca di vittime per ore nel loro modus operandi, a volte giorni interi, preparandosi al momento in cui sarebbe successo tutto.
Alcuni cercano in locali frequentati da prostitute, bar per singles, bar per gay, parcheggi isolati, luoghi bui.
In alcuni casi la fantasia può richiedere un tipo molto particolare di vittima, di conseguenza la ricerca diventa più lunga ma non certo più estenuante.
Molti al contrario descrivono questi momenti come occasione di tensione crescente, di eccitazione in costante aumento, di grandi attivazioni delle fantasie.
Ted Bundy preferiva ragazze che andavano al college, di buona famiglia, carine e con capelli neri lunghi divisi nel mezzo.
Aveva dovuto organizzarsi in modo impeccabile per prelevare soltanto ragazze di questo tipo da aree affollate, il suo modus operandi era perfettamente pianificato.
La pianificazione è già una parte del crimine, è già creare un modus operandi, un momento in cui si vive in diretta l’eccitazione di quello che sta per succedere.
L’assassinio
In questa fase del modus operandi il soggetto entra in contatto con la realtà fisica dell’omicidio.
Potrebbe non andare tutto come previsto, potrebbe dover usare molta più violenza di quella che aveva previsto, potrebbe provare paura, o potrebbe essere fastidioso dover fare i conti con il cadavere e con le conseguenze delle proprie azioni in senso generale.
Ma per la maggior parte dei criminali l’atto stesso va positivamente molto oltre l’eccitazione immaginata.
Per la prima volta la sensazione di dominio sulla vita e la morte viene provata dall’individuo ed è solitamente un momento di forti sensazioni di grandiosità e di potere.
La componente sessuale è presente, nella stragrande maggioranza dei casi, anche dove sembrerebbe insospettabile o dove non si trovano tracce di violenza carnale.
Dobbiamo ricordarci che questi individui spesso stuprano e uccidono ma altrettanto frequentemente usano la persona come un oggetto nel senso vero e proprio del termine.
Infatti, se la loro storia sessuale è costruita intorno al sesso solitario, quella è sovente l’unica pratica attraverso la quale percepiscono il rapporto con altre persone.
È molto facile trovare sperma dell’aggressore sulla vittima, magari anche soltanto tracce (risultato di un tentativo di pulizia) perché spesso il soggetto aspetta che la vittima sia morta o tramortita per darsi soddisfazione da solo attraverso atti masturbatori.
C’è una distinzione infatti da puntualizzare nel modus operandi di tali criminali.
Gli stupratori che uccidono in genere non provano soddisfazione sessuale né praticano atti post-mortem sulla vittima. In questi casi anche l’atto di liberarsi del corpo prende poco tempo e non comporta rituali significativi.
Per questi assassini, in genere disorganizzati e dipendenti dalle circostanze in cui commettono il crimine, lo stupro è l’unico crimine al quale sono interessati.
L’omicidio avviene per perdita del controllo, paura di una testimonianza che possa incastrarlo, rabbia.
Per gli assassini sadici anche detti “Lust murderer” o assassini per libidine, invece, l’assassinio fa parte dell’esperienza sessuale.
L’intero schema dell’atto è infatti basato sull’esperienza di dominio e controllo; quindi, dallo stupro alla tortura per finire con l’omicidio ogni atto è finalizzato a soddisfare le fantasie di sesso-morte del criminale.
Nello studio sul modus operandi di cui ci stiamo riportando dei 36 assassini seriali il 56% degli omicidi è preceduto da un atto sessuale con la vittima ancora in vita.
Ma la vittima può essere stuprata prima e dopo la morte, e nel frattempo può anche essere mutilata o torturata.
Un’altra indagine mostra che i casi in cui la vittima era stata stuprata soltanto dopo la morte erano ben il 42%.
L’overkilling
Altre componenti del modus operandi è quello che si chiama overkilling, cioè, ferite inferte post-mortem sono evidenti in questi casi.
A volte la rabbia dei soggetti si placa dopo ore di torture e sevizie post-mortem che gli assassini eseguono unicamente come parte dei loro rituali di morte.
Nella stessa indagine, un terzo delle 92 vittime mostrava segni di tortura.
In alcuni casi fra l’uccisione e la mutilazione può passare molto tempo, segno evidente della tendenza all’escalation delle fantasie dei criminali durante la fase del modus operandi.
Un altro atto che spesso viene praticato sui corpi è la depersonalizzazione.
Il criminale vuole a tutti i costi avere a che fare con un oggetto e se la persona della vittima interferisce con le sue fantasie, allora farà di tutto per neutralizzarla.
A partire da forme sottili come, per esempio, voltare una persona o un cadavere sulla schiena fino a forme estreme come lo sfigurare, tramite coltelli o corpi contundenti, il viso.
La presenza della persona è utile solamente nei termini di concretizzazione delle fantasie, in caso contrario l’aggressore può tentare di farla adeguare alle sue pretese o appunto di spersonalizzarla, privandola dei suoi attributi di essere umano e trasformandola in un oggetto attraverso la violenza e la prevaricazione.
Ed Kemper ancora una volta ci mostra la peggiore delle possibilità riscontrate nei vari modus operandi.
Molte delle sue vittime, inclusa sua madre e l’amica di sua madre, sono state violentate solamente dopo la decapitazione. In una intervista dettagliata ha specificatamente detto che dovevano essere il più simili possibile ad oggetti.
L’eliminazione del corpo
In questa fase del modus operandi vediamo cosa succede nell’immediata fase dopo l’omicidio seguendo il modus operandi seriale.
I comportamenti relativi al trattamento del corpo sono molto importanti perché ci parlano delle sensazioni e degli stati d’animo dei serial killers in questa delicata fase.
Questo è il momento cruciale; la realtà dell’omicidio appare in tutta la sua crudità.
Passata l’euforia nella metà (52%) dei casi c’è una fase in cui per la prima volta il criminale si accorge di cosa sia realmente accaduto.
Se ci sarà pentimento, autodenuncia alle autorità, imbarazzo, dispiacere, o invece indifferenza, o addirittura godimento nello smembrare ed essere ancora in possesso del corpo questo dipende dai soggetti.
In diffusi casi accade che il trattamento del cadavere sia molto diverso negli omicidi che seguono il primo, per una migliore organizzazione e pianificazione.
Per quanto riguarda invece i cadaveri lasciati sul luogo del delitto, si può parlare di cadavere lasciato in piena visibilità nel 42% dei casi e di cadaveri nascosti in un modo o nell’altro nel 58% dei casi.
Il corpo può essere lasciato all’esterno perché le circostanze non permettono all’autore del delitto altre possibilità. Oppure può essere portato in un bosco o in un luogo isolato tentando di ritardarne il ritrovamento.
A volte nel modus operandi il posizionamento del corpo può avere a che vedere con un messaggio che il criminale vuole mandare. È questo l’esempio dei corpi che vengono ritrovati in posizioni specifiche (il 28% dei casi).
Le possibilità sono varie: il criminale vuole inscenare un crimine diverso o con delle sfumature rispetto a quello commesso.
Per questo può lasciare il corpo di una donna in una posizione e in uno stato in cui sia presupponibile la violenza carnale.
Altre ragioni di tale modus operandi sono la vergogna del criminale rispetto all’atto, in questi casi troviamo il corpo girato sulla schiena oppure coperto con un lenzuolo.
Nel 17% dei casi gli agenti non sono neppure sicuri se lo stato del corpo sia casuale o posizionato in modo speciale per obbedire a qualche fantasia del criminale.
A volte i corpi possono essere ritrovati in pose sessuali, o perché la fantasia del killer lo esigeva oppure in segno di disprezzo della vittima o di sfida dalle autorità e della società.
Un corpo lasciato in una posizione bizzarra può essere una dichiarazione di strafottenza verso il mondo di una personalità molto egocentrica e con una elevata concezione di sé.
Un modo per dire che quell’individuo può fare quello che vuole quando lo desidera e che si sente libero e giustificato nel farlo.
Riguardo allo stato si può dire che il corpo viene trovato completamente svestito nel 47% dei casi, con i genitali esposti nel 5% dei casi, col seno (9%) e sedere (11%) esposto.
Oppure i vestiti della vittima possono essere stati usati per legare, imbavagliare o coprire la vittima o semplicemente lasciati intorno alla scena disordinatamente.
Alcuni assassini nel loro modus operandi rivestono la vittima, la lavano dal sangue, le curano le ferite.
Dennis Nielsen, un assassino quasi completamente paragonabile all’americano Jeffrey Dahmer, che adescava giovani uomini e poi li portava a casa e li uccideva, intratteneva bizzarri rituali con i cadaveri.
Spesso li svestiva, faceva loro il bagno e accuratamente li puliva e li rivestiva per poi piazzarli a letto insieme a lui o sul divano a vedere la televisione insieme.
Lo faceva per giorni fino a che il livello di decomposizione non era insostenibile.
Per il serial killer il luogo finale di destinazione del corpo può essere importante per vari motivi.
Per esempio, due serial killer esaminati hanno posizionato il corpo della vittima per far sì che gli inquirenti credessero che si trattasse di uno stupro andato male, hanno lasciato il corpo in un luogo appartato ma non troppo perché volevano che fosse scoperto presto.
Altri invece gettano i cadaveri nei fiumi carichi di pesi per farli affondare perché è chiaro che non vogliono che il corpo sia scoperto.
In altri casi il luogo dell’abbandono del corpo può essere simbolico o utile all’assassino per qualche ragione.
Un soggetto, che lavorava in ospedale come autista di ambulanze, stuprava e assassinava le vittime in parcheggi isolati, poi chiamava la polizia denunciando anonimamente il ritrovamento di un corpo, dopodiché entrava in servizio ed era mandato a prelevare la persona che lui stesso aveva ucciso.
Il luogo può ancora avere significato solamente per l’assassino, come per Kemper che seppellì le due teste delle donne che aveva ucciso in giardino fuori dalla camera di sua madre, che gli diceva sempre che non sarebbe mai riuscito ad uscire con loro.
In questo caso il messaggio nel modus operandi è fin troppo chiaro.
La psicosi paranoide di un altro soggetto, Richard Chase, fu manifestamente dichiarata allorché venne sorpreso con tre cadaveri nel frigo, dai quali era solito prendere il sangue per berlo perché sosteneva che le streghe gli avevano ordinato di farlo in quanto il suo stesso sangue si stava asciugando.
Comportamento dopo il crimine
Molti soggetti dichiarano che dopo l’omicidio hanno sentito un profondo senso di sollievo e tranquillità tanto che sono andati a casa e hanno dormito profondamente tutta la notte.
La fuga può essere frettolosa in caso di mancata pianificazione di questa fase oppure calma e attenta nel caso contrario.
Paradossalmente, per alcuni individui non è altro che un’altra fase dell’esperienza alimentata dalle fantasie.
Il comportamento manifesto nel modus operandi della maggior parte di questi killer è apertamente contrario alla loro comprensibile voglia di non essere incriminati.
Spesso i soggetti mantengono anche a lungo nel tempo del post-omicidio un comportamento di aperta sfida per riuscire a mantenere quello stato di eccitazione e quella sensazione di controllo e di grandiosità fornita dall’omicidio.
I comportamenti messi in atto rientrano spesso fra il seguente modus operandi: ritorno alla scena del crimine, osservazione del ritrovamento del corpo e delle prime rilevazioni sul posto, conservazione di souvenir del defunto e addirittura partecipazione alle indagini.
Si dice che David Berkowitz non facesse altro che parlare con i suoi colleghi al lavoro dei delitti del killer della 44. Nessuno poteva sospettare che il placido David era in realtà l’autore di quei crimini.
Ritorno sulla scena del crimine
Il ritorno alla scena del crimine è un luogo comune ampiamente sostanziato dalle statistiche.
Nel modus operandi seriale il 27% dei nostri 36 assassini studiati dagli agenti Ressler e Douglas e dalla professoressa Burgess è tornato sulla scena in cui ha commesso l’omicidio.
Nel modus operandi seriale il 26% ammettono come motivo il rivivere le sensazioni provate durante l’omicidio, il 19% per assistere a quello che fa e dice la polizia quando il corpo viene trovato, l’8% per ripetere l’assassinio con un’altra vittima e infine il 7% per fare sesso con il cadavere.
Un esempio, Ted Bundy, era uno che sulla scena del delitto ci tornava spesso. Il suo modus operandi era piuttosto rigido. La maggior parte delle volte era per fare sesso col cadavere ma spesso anche per sincerarsi che nessun elemento delle scena del crimine potesse ricondurre a lui, tracce, impronte, perfino capelli e peli, sperma, ecc.
I souvenir consistono in una prova per il criminale che è riuscito ad attivare le sue fantasie e spesso vengono usati come catalizzatore per riviverle.
Alcuni collezionano oggetti vistosi senza troppe preoccupazioni di nasconderli in casa, li vogliono sempre a portata di mano e a vista, più possono pensare a quello che hanno fatto e meglio si sentono.
John Wayne Gacy teneva carte di identità, guanti sciarpe e cappelli delle sua vittime sul cassettone in camera da letto.
Per non parlare di Ed Gein che aveva la casa piena di macabri memento come teschi portacandele, pelli dei defunti e persino un corrimano fatto di ossa del femore e delle gambe.
Si è notato che gli assassini che uccidono con una pistola sono più inclini a tenere un diario, ritagliare articoli dei giornali, confidare il gesto a qualcuno mentre è improbabile che facciano foto della scena del crimine, o che ci tornino in qualche modo.
Dall’altra parte coloro che usano coltelli o oggetti contundenti per uccidere a volte fanno foto della vittima, ritornano sulla scena in alcuni casi e cercano in ogni modo di interagire con la polizia a proposito delle indagini.
L’arresto
Il 50% degli intervistati in carcere sono stati arrestati unicamente a causa delle indagini della polizia che ha seguito il loro modus operandi, sei sono stati identificati da un sopravvissuto a degli attacchi, due da un partner o da una moglie, e quattro si sono costituiti.
Famosa è la storia di Edmund Kemper che si è costituito nel modo più mite possibile subito dopo aver massacrato la madre e l’amica della madre: ha chiamato la polizia da una cabina telefonica e gentilmente ha detto: “venitemi a prendere”.
I casi in cui un sopravvissuto racconta sono più unici che rari; si pensi che una delle più attendibili e curate biografie del feroce Ted Bundy si intitola The only living witness (L’unico testimone vivente). Come spesso succede con questo tipo di assassini, il colpevole è l’unico testimone vivente dei fatti.
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