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13/06/2017Il temperamento, il carattere e la personalità indicano diversi aspetti.
La parola carattere deriva dal greco charakter che significa “impronta” e vuol dire “io incido”; il carattere è dunque l’insieme delle qualità, positive e negative, che il soggetto possiede sin dalla nascita, anzi sono in lui innate, derivanti dalla sua biologia e genealogia, ma anche dall’ambiente in cui cresce, e che determinano lo svilupparsi o l’affinarsi di determinate particolarità tanto da divenire qualità, pregi ma anche difetti.
La personalità invece è il risultato delle costruzione dell’individuo dato dal suo vissuto, dalle sue esperienze, dall’ambiente famigliare, culturale e sociale in cui si cresce, dall’educazione che ha avuto e dalle scelte di vita che ha fatto.
Con la parola temperamento s’intende la risposta psichica naturale al corredo organico ereditario: essa esprime impulsi, tendenze istintive, disposizioni, necessità, stati affettivi.
Carattere e personalità
Il carattere è quella parte in noi innata che ci caratterizza e che poco si addomestica con l’età e col il vissuto di un individuo; mentre la personalità è più adattabile e mutabile e cambia continuamente grazie alla maturazione, all’età, alle esperienze vissute, in negativo e in positivo.
Vi possono essere parti della nostra personalità inespresse o represse, oppure le cosiddette subpersonlità, cioè quei tanti volti ed aspetti che assumiamo a seconda delle circostanze e dell’ambiente in cui ci troviamo: ad esempio nell’ambito famigliare, più sereno e rassicurante, circondati dai nostri cari saremo molto più concilianti, affabili e divertenti rispetto alla serietà e professionalità presentata nel lavoro.
Casa e lavoro sono degli ambienti che di per sé inducono a sviluppare personalità diverse se non addirittura contrastanti, le subpersonalità appunto.
Il temperamento invece deriva dal latino temperare, che significa mescolare in giusta misura: è il risultato delle nostre condizioni fisiche e psichiche e della combinazione tra questi fattori, che portano il soggetto ad assumere determinate caratteristiche che lo possono accumunare ad alcune persone e distinguere da altre.
Il primo ad elaborare una distinzione del temperamento umano fu Ippocrate il quale elaborò l’idea del filosofo Empedocle secondo cui il mondo è costituito da quattro elementi primari: Fuoco, Aria, Terra, Acqua.
A questi 4 elementi che si trovano sulla madre Terra Ippocrate descrisse i 4 umori del corpo umano (bile, sangue, bile nera, linfa) facendo corrispondere ad ogni elemento una particolarità dell’essere umano:
- Al FUOCO corrisponde la bile prodotta dal fegato quindi il carattere collerico
- All’ARIA il sangue che proviene dal cuore quindi il carattere sanguigno
- Alla TERRA la bile nera elaborata dalla milza quindi il carattere melanconico
- All’ACQUA la linfa che proviene dal cervello quindi il carattere flemmatico
L’autostima
Apro una parentesi sull’autostima, che deriva dal latino “aestimare” che significa valutare, ed è la capacità di valutarsi e di riconoscere le nostre caratteristiche valutandole col giusto metro valutativo, sia per quelle positive che per quelle negative.
Avere una buona autostima comporta una conoscenza di noi stessi che ci permette di operare delle scelte di vita consone ed adeguate per la nostra personalità e carattere, per le nostre aspirazione e desideri; ma ci da anche il valore della stima che dobbiamo pretendere dagli altri sotto forma sia di rispetto, che deve essere riconosciuto da tutti, ma anche sotto forma di giudizio personale adattato su ciò che noi esponiamo ed offriamo agli altri.
L’autostima è il nostro giudizio personale: quando siamo in armonia con gli altri e col mondo corrisponde abbastanza a quello che ci viene fornito dall’esterno; quando questa corrispondenza viene a mancare può essere una nostra colpa, derivante da una carente stima di noi stessi o una sopravvalutazione non veritiera, oppure da un giudizio non adeguato degli altri che può dipendere dalle nostre azioni o pensieri, non condivisi nell’ambiente, o da un giudizio negativo espresso per pregiudizio, preconcetto o errata valutazione.
L’autostima è una valutazione che dipende da informazioni oggettive e soggettive, riferite a tre tipi di sé:
- il sé reale che valuta oggettivamente le nostre competenze,
- il sé percepito che è la nostra valutazione del sé reale e dove spesso commettiamo errori di valutazione
- il sé ideale che è quello che desideriamo essere. Quest’ultimo è influenzato dalla cultura e dalla società
I problemi legati all’autostima nascono dalla discrepanza tra il sé ideale e il sé percepito: creiamo la nostra immagine in base ai segnali che riceviamo dall’esterno, che però non sempre riusciamo a decifrare nella maniera adeguata, infatti spesso ci comportiamo riflettendo le nostre convinzioni o quelle degli altri, che possono non coincidere con la reale opinione del prossimo.
Che carattere!
I termini temperamento, carattere e personalità sono entrati a far parte del linguaggio comune al punto tale che il loro reale significato, come costrutto psicologico, è andato perso o fortemente distorto.
Ad esempio, capita abbastanza frequentemente che di fronte a qualche difficoltà nel cambiare modo di pensare o di agire si evochi il concetto di carattere come qualcosa di immodificabile ed innato: “il carattere non lo puoi cambiare, se uno nasce tondo non diventa quadrato”; o nel caso della fine di una relazione interpersonale si dica “avevamo caratteri incompatibili”.
Inoltre è frequente sentire parlare di persone con un temperamento calmo, o aggressivo o irascibile, ecc. lasciando intendere che il temperamento è una modalità relazionale valutabile moralmente ed eticamente.
Infine si può sentire definire la personalità forte o debole, dominante o succube, espansiva, introversa ecc.
Tutti questi modi di dire e di definire la realtà, che appartengono alla comunicazione ed alla storia sociale, non coincidono esattamente con i parametri offerti dalla scienza, e spesso variano nel corso del tempo a seconda delle mode o delle prassi usate nel linguaggio interrelazionale.
Il concetto di temperamento è molto antico, dobbiamo, infatti, a Ippocrate (460-370 a.C.) la sua prima formulazione.
Come già anticipato, per il medico greco, la predominanza di uno dei quattro umori corporei (sangue, flemma, bile gialla, bile nera) costituiva la manifestazione di quattro tipologie di temperamento: sanguigno, flemmatico, collerico e melanconico.
L’idea di Ippocrate fu poi ripresa ed ampliata da Galeno (130-200 d.C.), che distingueva tra spiriti vitali (nei vasi sanguigni) e spiriti animali (da cui dipende il sistema nervoso).
Questo tipo di formulazione spiegava come le caratteristiche fisiologiche fossero responsabili delle diverse manifestazioni comportamentali osservabili negli uomini, l’equilibrio tra i fluidi corporei dava quindi vita a persone sane, morali e intelligenti, mentre il loro squilibrio portava alla malattia, l’amoralità ed alla follia.
Le idee di Ippocrate ed Galeno furono dominanti nel Rinascimento e si tramutarono, dalla fine del ottocento, in una correlazione tra caratteristiche fisiognomiche e manifestazioni comportamentali, nel tentativo di classificare diversi tipi di persone e prevederne le azioni.
I maggiori esponenti di questa revisione della teoria ippo-galenica costituiscono la corrente dei costituzionalisti.
Possiamo, ad esempio, ricordare il primo criminologo Cesare Lombroso (1835-1909), il quale era convito che i tratti somatici fossero lo specchio della personalità e del carattere, e che dalla loro misurazione si potesse distinguere, tra le altre cose, tra i delinquenti ed i cittadini onesti, tra i “mattoidi” ed i sani di mente.
Anche altri autori, in era più moderna, si sono spinti a classificare gli uomini in base alle caratteristiche fisiche e dedurne da esse caratteristiche psicologiche.
Queste teorie, cosi come quelle astrologiche che declinano il temperamento in funzione dell’ influenza degli astri (persone gioviali: da Giove, saturnini: da Saturno, lunatici: dalla Luna, marziali: da Marte), sono oggi da parte di alcuni disconosciute, ma da parte di altri studiosi invece ampiamente riconosciute.
In fondo l’influenza dei pianeti non agisce soltanto sugli umori dell’uomo ma anche su tutta la natura, non dimentichiamo che il calendario lunare è molto usato nell’agricoltura per stabilire il periodo migliore per la semina o per il raccolto.
Il temperamento
Oggi la psicologia definisce temperamento “quell’insieme di disposizioni comportamentali presenti sin dalla nascita le cui caratteristiche definiscono le differenze individuali nella risposta all’ambiente. Il temperamento riflette dunque una variabilità biologica” (Lingiardi, 1996, 118).
In questi termini si ristabilisce la dimensione genetica e biologica del temperamento e si pone l’accento su un numero di risposte adattive all’ambiente presenti al momento della nascita.
Ogni neonato reagisce a certi stimoli, mentre ne ignora altri che comunque vengono memorizzati nel suo cervello, l’intensità e la frequenza di tali risposte definiscono il temperamento.
Una ricerca di Cloninger (1993) indica gli aspetti: “ricerca del nuovo”, “evitamento del dolore”, “dipendenza dalla ricompensa” come elementi che combinati tra di loro danno vita a diversi tipi di temperamento.
Come si può facilmente notare, tali caratteristiche non hanno in sé una valutazione morale o culturale del temperamento (come lo sono buono, cattivo, socievole o timido), ma sono legate alla neurochimica del cervello, e nello specifico, rispettivamente alla attività dopaminergica, serotoninergica e noradrenergica.
Se è abbastanza chiara la definizione di temperamento, più complessa è quella di carattere e personalità ed è quasi impossibile distingue tra i due termini.
Non solo nel linguaggio comune, infatti, ma spesso anche nella letteratura psicologica i due costrutti carattere/personalità si sono sovrapposti.
Sigmund Freud, Carl Gustav Jung, ed i primi psicoanalisti, ad esempio, utilizzarono il termine carattere per indicare quegli aspetti che dalla moderna psicologia vengono invece catalogati come caratteristiche della personalità.
Entrambi i termini suggeriscono un’integrazione del substrato biologico (il temperamento) con l’ambiente psicologico e sociale.
La personalità o carattere è quindi una modalità strutturata di pensare, sentire e comportarsi, risultante dall’interazione dell’ambiente sul proprio patrimonio genetico e culturale, ed è pertanto modificabile perché costruita dall’esperienza e dall’adattamento tra i propri bisogni e desideri e la realtà esterna.
In medicina
Esistono molti modelli teorici di classificazione di personalità, il più universalmente riconosciuto dalla psicologia e psichiatria moderna è quello presente nel DSM-IV che individua 10 tipi di organizzazioni di personalità: paranoica, schizoide, schizotipica, istrionica, narcisista, antisociale, borderline, dipendente, evitante, ossessiva-compulsiva.
La terminologia che indica questi diversi tipi di personalità è nato al solo scopo di descrivere delle modalità di essere, senza che a queste venisse data una accezione positiva o negativa, ma purtroppo il suo dilagare nel linguaggio quotidiano l’ha resa satura di significati negativi, tanto che viene associata costantemente alla psicopatologia.
Al contrario, questi tipi di personalità esistono su un continuum che va dalla normalità alla patologia, cioè partendo da un punto ritenuto normale, accettabile e comunque indice di sanità, sino all’espressione della caratteristica al suo eccesso, cioè alla sua massima potenzialità indice di patologia o insanità mentale od emotiva.
Ad esempio, un individuo che loda apertamente le sue capacità tende a ricercare l’ammirazione e la fiducia degli altri, è suscettibile alle critiche, aspira al successo ed al potere, può rientrare nel quadro di una personalità di tipo narcisistico.
Queste caratteristiche, se presenti in modo limitato, possono ritrovarsi in individui perfettamente “sani” come segno di una elevata autostima.
Se sono presenti in modo massiccio e rigido, senza possibilità di essere riviste o modificate, e se l’individuo che le possiede non tiene più conto della realtà circostante, né delle reali capacità interne, ed arriva a credersi superiore a tutti gli altri, più furbo, più intelligente, più ricco, o più bello di chiunque altro, al di sopra della legge e della morale, siamo di fronte ad un disturbo di personalità narcisistico.
Sebbene sia estremamente difficile, se non impossibile e probabilmente nocivo, passare da un tipo di organizzazione della personalità ad un altro, il cambiamento all’interno dello stesso continuum è realizzabile.
In conclusione: possiamo definire il temperamento la componente biologica e genetica della personalità, e considerare quest’ultima come la somma delle principali strategie di adattamento all’ambiente, quest’ultime sono basate sia su comportamenti esterni sia su processi inconsci che mediano tra impulsi e desideri e realtà circostante.
Talvolta, come nei disturbi di personalità, tali strategie, che sono state utili in certe circostanze particolari o che sono state apprese e rinforzate dall’approvazione altrui, si rivelano non più efficaci o capaci di adattarsi ai cambiamenti esterni e diventano, pertanto, disfunzionali.
La personalità, non è quindi qualcosa di innato, né immodificabile, né valutabile in termini di forza o debolezza, giusto o sbagliato, è più opportuno definirla in termini di funzionale o non funzionale o adattiva o disadattiva.
L’idea che si nasce in un certo modo e che il proprio modo di essere e di interagire con gli altri dipenda da fattori non controllabili (il fato, il destino, gli astri, i geni) è spesso usata come giustificazione alla difficoltà del cambiamento; questa idea crea aree di non pensabilità, di mancanza di pensiero e riflessione su se stessi, amputando le proprie capacità di crescita e di consapevolezza.
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4 Comments
Molto interessante istruttivo e veritiero ,
GRazie Luisa.
Marilena
Interessantissimo articolo!
Puntualizzazioni utili nel rapporto con noi stessi e con gli altri. Diventa sempre più urgente il bisogno di abolire stigmatizzazioni gratuite che inibiscono volontà e spontanee reazioni, che fiaccano forze latenti e forniscono alibi alla mancanza di coraggio a mettersi in gioco, non per esibizione ma per presa di coscienza del diritto ad affermarsi, con i propri difetti e pregi, a legittimare la propria esistenza al di là del documento di identità. . Nulla è più lesivo del “giudizio” che la corrente letteratura ‘sloganistica’ , soprattutto dei “social”, implica nelle sue asserzioni, inducendo tutti a voler essere “in” e a nascondere il sano istinto a voler sentirsi “out”.
Chiedo scusa per l’eccesso di virgolettature , ma mi è sembrato il modo più rapido per chiarire il mio pensiero. Ringrazio e saluto per l’opportunità di dialogo
Jenny
Grazie a te Jenny per la considerazione ed i tanti complimenti e per il tuo prezioso contributo informativo.
Mi auguro di averti spesso tra i miei commentatori
Buon weekend
Marilena