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12/11/2023Vincenzo Verzeni era noto come il “Vampiro di Bergamo”.
Benché Vincenzo Verzeni abbia avuto all’attivo solo due vittime, è rimasto impresso nell’immaginario collettivo italiano per l’efferatezza dei suoi delitti e per la sua aberrante sete di sangue. E non vi è dubbio che, se non fosse stato catturato dopo “soli” due omicidi, le sue gesta di morte sarebbero proseguite ancora.
La famiglia Verzeni
Vincenzo Verzeni nasce a Bottanuco, un piccolo paesino in provincia di Bergamo, situato sulla riva sinistra del fiume Adda, l’11 aprile 1849. Alto 1,66 per 68 kg di peso, a vent’anni Vincenzo è quello che comunemente si può definire “un bravo ragazzo”, silenzioso, docile e molto solitario. Ma dietro quella calma apparente, si cela una personalità pericolosamente borderline.
Verzeni, come molti serial killer, proviene da una situazione familiare decisamente complessa: un padre contadino alcolizzato e violento e una madre remissiva e bigotta (oltre che malata di epilessia). A chiudere questo triangolo all’insegna del precariato emozionale vi è un’inguaribile avarizia del padre che pone costantemente i membri della famiglia gli uni contro gli altri.
Masturbatore precocissimo, il giovane sfoga i primi istinti sadici nell’intimità del pollaio domestico, facendovi strage di pennuti. Questi comportamenti violenti vengono secretati dalla famiglia che, forse vedendoci lungo, vieta al giovane di sposarsi, nonostante la sua passione insistente per le donne. Vincenzo resta così per i compaesani un insospettabile. Fino al termine di quel 1870.
Questo clima, altamente patogeno, concorse ad alimentare le instabili fantasie del Verzeni, il quale non perse tempo a dare sfogo alla sua crudeltà, trasformandosi in un incubo lungo tre anni, dal 1870 al 1873.
Le aggressioni
La follia di Vincenzo Verzeni esplode presto. Durante queste aggressioni si delinearono le sue tristemente note inclinazioni patologiche.
Nel 1867 tenta di mordere alla gola e di bere il sangue della cugina Marianna mentre questa dormiva, ma la ragazza, svegliatasi di soprassalto, si mise a urlare, mettendolo subito in fuga.
Nel 1869 un’altra giovane donna, tale Barbara Bravi, viene aggredita da uno sconosciuto. Anche in questo caso le sue urla bastarono a mettere in fuga l’ignoto aggressore. Successivamente, la Bravi, pur non avendo visto bene in volto il suo aguzzino, non escluderà a priori che si possa trattare di Verzeni.
Sempre nel 1869, viene aggredita Margherita Esposito e questa volta Verzeni viene identificato con molta precisione. Nella dura colluttazione, la Esposito riesce a colpire e a ferire visibilmente Verzeni. Sempre nello stesso anno accade un fatto curioso. Un’altra donna, Angela Previtali, viene stordita e condotta in una zona disabitata. Ma alla fine il Verzeni, mosso a compassione, la libera.
Il 10 aprile del 1871 è la volta di Maria Galli, la quale viene importunata da un uomo che in identifica come Vincenzo Verzeni.
Il 26 agosto del 1871, il giorno prima dell’omicidio di Elisabetta Pagnoncelli, il mostro aggredisce Maria Previtali, spingendola e cercando di morderla alla gola.
Gli omicidi
La prima vittima accertata di Vincenzo Verzeni risale all’8 dicembre 1870. Si tratta della quattordicenne Giovanna Motta, uccisa in aperta campagna.
La ragazzina si stava recando a Suisio da alcuni parenti, ma non vi giunse mai. Aggredita da Verzeni, scomparve per sempre, come inghiottita dalla campagna bergamasca. Il suo corpo, orribilmente mutilato, fu trovato solo quattro giorni dopo.
Nuda e squartata, a Giovanna Motta le erano stati asportati gli organi genitali e le interiora, quest’ultime rinvenute successivamente in un cavo di gelso. Il collo presentava numerosi morsi, mentre una parte del polpaccio era stata asportata con inaudita ferocia. Su una pietra, posta vicino al cadavere, vennero rinvenuti dieci spilloni disposti a raggiera.
È possibile ipotizzare, data la presenza di questi oggetti, che il Verzeni fosse affetto anche da piquerismo (un particolare tipo di parafilia consistente nel ricercare il piacere pungendo e tagliuzzando un corpo con oggetti affilati o appuntiti; rappresenta una forma di sadomasochismo), ma che non si sia spinto oltre, forse interrotto da qualcuno o perché tornato in sé. Non vi sono tuttavia prove che inducano a ritenere che l’assassino abbia abusato sessualmente della ragazzina, vista e considerata l’asportazione dei genitali.
Di sicuro il Verzeni, visti gli atti di cannibalismo, era affetto dalla Sindrome di Renfield.
Dopo otto mesi e diciannove giorni, e precisamente il 27 agosto del 1871 (alcuni asseriscono che si tratti del 1872), il Vampiro torna a colpire. La seconda vittima, Elisabetta Pagnoncelli, viene ritrovata pressappoco come la precedente vittima: squartata e con vistose tracce di morsi sul collo.
Arresto e morte
Vincenzo Verzeni fu arrestato nel 1873 e posto immediatamente sotto processo. L’incarico di stendere la sua perizia psichiatrica fu affidato a Cesare Lombroso, riconosciuto padre dell’odierna criminologia, il quale, dopo attenti esami (compreso quello frenologico), giunse a definire Verzeni: “un sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana.”
Nonostante questa valutazione, Lombroso non arrivò mai a sostenere che gli omicidi commessi dal Verzeni fossero stati compiuti in uno stato di completa infermità mentale, pur rilevando che la nella famiglia dell’omicida vi erano già stati casi di alterazioni mentali.
Lombroso stabilì che il padre dell’omicida, oltre che alcolizzato e violento, soffriva di ipocondria, mentre uno zio era affetto da iperemia cerebrale, termine medico per indicare un aumento di sangue in una data parte del corpo.
Lo studio di Vincenzo Verzeni che “strangolava le donne per il piacere venereo che provocava nel toccarle il collo, e nello sviscerarne il cadavere e succhiarne il sangue ancor caldo”, fu seminale per Lombroso che lo citerà in buona parte delle sue pubblicazioni.
Il fisico del vampiro bergamasco non presentava però quei caratteri atavici/involutivi che ne avrebbero fatto il prototipico uomo delinquente.
Era solo un ventenne affetto da leggera zoppia (che secondo il sindaco del paesello, teste al processo, gli aveva valso l’esenzione dalla leva militare) e due patologie al tempo diffusissime tra la popolazione rurale italo-settentrionale: la pellagra, causata dalla carenza di vitamine del gruppo B e altre sostanze fondamentali, dovuta a una dieta sbilanciata in favore del mais, e il cretinismo, la sindrome da deficit congenito di iodio causato nuovamente da malnutrizione.
Il professor Lombroso chiede comunque una diminuzione di responsabilità per l’imputato in ragione del deficit morale provocatogli dalla famiglia ove “domina sovrana la bigotteria e l’avarizia” che gli ha provocato una “necrofilomania o pazzia per amori mostruosi o sanguinari”.
Singolare è il rituale degli spilli di cui l’omicida, però, non saprà mai fornire concrete spiegazioni atte a chiarirne lo strano utilizzo, senza dubbio simbolico. Sulle pratiche violente, invece, il Verzeni, fu molto chiaro e fornì importanti indicazioni.
Durante il processo disse: “Io ho veramente ucciso quelle donne e tentato di strangolare le altre, perchè provavo in quell’atto un immenso piacere, in quando appena mettevo le mani addosso sul collo provavo un gran gusto. La prima (la cugina) non la strozzai del tutto perchè il piacere lo gustai subito appena toccatole il collo; per la stessa ragione restarono salve le cinque altre assalite; invece le due restarono soffocate perchè il piacere tardava a manifestarsi le stringevo sempre più ed esse morirono.
Le graffiature che si trovavano sulle cosce non erano prodotte colle unghie ma con i denti perchè io, dopo strozzata la morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con che godei tantissimo. […] Io non ho mai pensato a toccare le parti sessuali, ma mi limitavo a stringere il collo ed a succhiare il sangue>>.
Verzeni scampa al plotone d’esecuzione e viene condannato ai lavori forzati a vita, ma non resisterà a lungo. Il 13 aprile del 1874 viene trasferito nel manicomio giudiziario di Milano dove viene sottoposto a torture di ogni genere.
Qui l’omicida vive nell’isolamento e nell’oscuramento più totali, ricevendo gettiti d’acqua gelata fatti calare da tre metri d’altezza, seguiti da bagni bollenti e scosse elettriche.
In seguito a questo brutale trattamento, il mostro si chiude in un mutismo totale fino al 23 luglio del 1874, quando gli inservienti del manicomio lo trovano morto nella sua cella.
Verzeni è nudo, solo con calze e pantofole, impiccato a un’inferriata.
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