La scrittura tonda
21/02/2017La rieducazione della scrittura
28/02/2017Il gesto grafico è il prodotto di un lavoro neurofisiologico molto complesso.
Il funzionamento corretto della mano è determinato dal sistema osseo-muscolare-neurologico, che si presenta piuttosto articolato.
La grafologia esamina quello che è il prodotto finale di un complesso processo del gesto che avviene più o meno consapevolmente tra la mente e il corpo.
Oggi le neuroscienze hanno messo in luce tante funzioni che il nostro sistema cerebrale è in grado di compiere e hanno permesso anche di tracciare delle mappe neurologiche del gesto sempre più precise riguardo queste attività.
Cervello e mano
Lo stimolo che parte dal cervello, e che non è soltanto uno stimolo elettrico ma elettrochimico, produce delle modificazioni chimiche, a livello cellulare, che consentono attraverso le fibre nervose uno scambio di informazioni tra il sistema nervoso centrale e diverse parti del corpo, cioè il sistema periferico. Un sistema periferico è quello della mano, per esempio.
Lo stimolo che parte dal cervello impiega pochissimo tempo per attraversare queste vie; la velocità è così rapida che va da un millesimo ad un decimo di secondo; quindi, si parla di frazioni di secondo, prima che esso arrivi al muscolo.
In particolare, i muscoli che interessano la mano che scrive sono quelli flessori delle dita. Essi partono dalla mano ma hanno il loro inserimento osseo sul braccio, mentre i tendini dei muscoli si inseriscono proprio sulle dita.
Già in passato Preyer (fisiologo) aveva dimostrato sperimentalmente che la scrittura della mano è in realtà scrittura del cervello, facendo scrivere con la bocca, il piede, il ginocchio, il braccio, il mento e la testa, con la sinistra per chi era abituato a scrivere con la destra, e infine con le diverse dita delle due mani, riscontrando sempre che le diversità individuali delle grafie non dipendono dalla mano ma dal cervello che detta come si deve scrivere.
Secondo la moderna neuropsicologia un vero centro della scrittura non esiste (Caminiti) perché molte sono le aree cerebrali interessate le cui informazioni si combinano (la vista, l’udito per la scrittura sotto dettatura, il controllo motorio, ma anche le aree sensoriali o sensitive, la coordinazione tra occhio e mano, la zona del linguaggio, l’area delle emozioni, i due emisferi (a proposito di questi, è noto che l’emisfero destro riguarda il pensiero visivo e percettivo, mentre quello sinistro è del pensiero logico-verbale. Le informazioni provenienti da entrambi gli emisferi contribuiscono all’atto dello scrivere).
Il gesto prodotto finale
Proprio perché la scrittura è il risultato dell’attivazione di diverse zone del cervello, essa rispecchia tutta la persona, sia nell’aspetto somatico che psichico, ed è una via privilegiata di conoscenza dell’uomo, perchè si collega direttamente alla fisiologia dello scrivente.
Inoltre, sempre secondo la moderna neuropsicologia, è importante sapere che il senso del corpo (apparato osteoarticolare, muscolare ecc.) è sempre presente anche se abitualmente l’individuo non vi pone particolare attenzione. Questi apparati esprimono quelli che si possono chiamare “sentimenti di fondo” (Deragna).
Una qualsiasi alterazione nella sincronia della diffusione dei messaggi neurali può causare una modificazione del movimento della scrittura ed il prodotto del gesto (Deragna, 2002).
A livello psicologico le forze che partono dal cervello e che attivano un controllo “cosciente” sull’esecuzione grafica provocano un rallentamento del gesto, ma ci sono anche delle forze “inconsce”, più immediate e liberatorie, che diminuiscono il controllo razionale sul gesto.
Questi due tipi di forze (raziocinio e istinti, impulsi) che sono in contrapposizione tra loro, possono generare forme diverse di espressione grafica:
- un gesto armonico se le due contrapposizioni si equilibrano tra loro, cosicché si verifica una spontaneità espressiva
- se il controllo è eccessivo, il gesto grafico si fa più ricercato e studiato ed il movimento rallenta, motivato spesso da preoccupazioni e necessità di verifiche su quello che è oggetto di attenzione
- se domina l’inconscio, e l’impulsività è quindi esagerata con pochi freni inibitori, allora il gesto può diventare grande nelle dimensioni, oppure più veloce (A. Bravo).
Un altro studioso, George Meyer (psichiatra e grafologo) era venuto alla conclusione che stati di piacere generano movimenti che tendono all’estensione (e abduzione), mentre negli stati di avversione prevalgono movimenti di flessione (e adduzione, in un certo senso contrazione).
Tali generiche tendenze coinvolgono non solo il braccio, ma anche la mano e le singole dita, ma la vera origine di quei gesti è psicologica.
Hartge (1933) aveva già osservato che nelle grafie soprattutto aritmiche, ma anche in quelle con ritmo disturbato, è frequente il tratto rigido.
In questo caso non si può però parlare di vero e proprio “controllo del movimento”, ma piuttosto di forze neuropsichiche che bloccano o interrompono il movimento, il quale perde così la sua scorrevolezza, non per un atto volontario ma piuttosto per cause bio-psichiche e fisiologiche.
Due tipi di gesto
Alla base del difficile studio del gesto grafico, sinteticamente possono essere descritti due movimenti fondamentali di diversa origine neurofisiologica.
Il primo riguarda la realizzazione di tutta la gestualità grafica che lo scrivente traccia dall’alto verso il basso, specie nelle aste letterali quali la t, d, l, p, ecc., in cui le singole fibre muscolari dell’indice e del medio si contraggono (mentre il pollice passa in posizione antagonista), incidendo la carta con la punta della penna.
L’innervazione cerebrale impegnata in questa attività riguarda la parte del cervello più arcaico, la base tronco-piramidale, inerente la forza e la profondità degli istinti, in primis quello di conservazione, l’energia a disposizione dell’organismo più o meno vitale.
Il secondo riguarda tutti i movimenti di espansione orizzontale, sia nella conformazione degli ovali letterali che nei risvolti di collegamento tra lettere, in cui è invece la motricità neuromuscolare collegata al pollice ad entrare in azione (mentre l’indice passa in posizione antagonista).
Tutti questi movimenti sono di innervazione limbico-talamica, inerenti lo schema corporeo e relativo senso di benessere e identità personale dell’individuo, delle sue memorie affettive e degli inerenti bisogni, desideri, fiducia, sicurezza (o meno) di espansione del cuore a coinvolgersi con il Tu.
Dal momento che l’atto dello scrivere richiede attenzione cosciente, nella complessa sinergia e automatismo di questi due movimenti vi è anche l’interazione dell’area del cervello filogeneticamente più recente, il corticale, che presiede, coordina e indirizza la propria volontà e coscienza teleologica traducendo il proprio pensiero nella comunicazione del gesto scritto.
Simbologia del gesto
Pur ricca di preziose informazioni su come funziona quel cervello che ha scritto sulla carta con la sua unica e irrepetibile individualità, l’analisi grafologica sarebbe forse poca cosa se non poggiasse anche su leggi simboliche intrinsecamente connesse al piano neurofisiologico appena descritto.
E laddove l’ambito neurofisiologico può essere spiegato con certezza scientifica, altrettanto si può dire di quanto appartiene al mondo del simbolo. Ma per intenderci, occorre fare certe premesse importanti.
Se per Aristotele l’essere umano è un animale ragionevole, per i pensatori moderni, ad esempio lo psicologo svizzero Jung e il filosofo tedesco Cassirer, l’essere umano è anche, se non soprattutto, un animale simbolico.
Ciò vuol dire che non solo egli vive all’interno di una realtà che accanto al piano materiale presenta un livello simbolico, ma che egli stesso è creatore di simboli, dai quali è capace di creare e contemporaneamente attingere incessantemente significati.
Il simbolo nel gesto svolge, nella vita dell’individuo, funzione di mediazione, cioè di dialogo con lo sconosciuto da conoscere, con lo spazio infinito da conquistare, con la contemplazione del mistero del Tu e delle stelle e dell’universo.
Tanto più l’essere umano è capace di vivere il simbolo, che lega la sua presenza al mondo come in una danza e interazione magica, quanto più è un essere sano.
Laddove invece -come afferma Jung in una sua famosa frase, gli Dei sono diventati malattia – l’individuo perde la capacità, tramite il simbolo, di dialogare con loro, egli stesso diventa malato, ovvero nevrotico, e la sua vita diventa sterile di significato.
Il gesto strumento di osservazione
Questi piani del vivere di importanza così decisiva per il benessere psicologico e spirituale dell’individuo sono rivelati – pur se può sembrare incredibile – dalla scrittura.
Anzi, la grafologia afferma che, anche per un’indagine psicologica di tale portata, non c’è espressione comportamentale dell’uomo che sia più ricca di informazioni come è lo scrivere.
Il foglio grafico nel quale scriviamo è simbolo dello spazio esistenziale nel quale viviamo; come in questo esprimiamo i doni e i limiti della nostra personalità, altrettanto riveliamo sulla carta col gesto grafico.
Parafrasando un assioma della Scuola psicologica di Palo Alto, è impossibile non comunicare, ovvero non rispondere, a tutte le sollecitazioni di natura simbolica che l’atto dello scrivere provoca nello scrivente.
Ciò è tanto più infallibile quanto più è frutto non tanto della coscienza (e delle sue possibili resistenze a rivelarsi) ma dell’inconscio, cioè del fatto che lo scrivente è del tutto ignaro, mentre scrive, del complesso scenario nel quale si muove.
L’idea archetipica di Madre, intesa come Inizio, passato, terra da cui ogni essere umano proviene; di Padre come seconda dimensione del Tu, dell’Avanti verso cui il bambino (e poi l’adulto) si muove; dell’Alto come piano dello Spirito e dello psichico con cui ogni individuo deve illuminare la propria esistenza; del Basso come piano inferiore degli istinti e pulsioni da integrare nella realtà, sono i punti cardinali, l’est, l’ovest, il nord e il sud su cui si struttura la vita, e si dipana la grafia, di ogni individuo.
Tutto ciò è meravigliosamente descritto dalla scrittura per una semplice ragione: iniziamo a scrivere dal bordo sinistro del foglio e articoliamo le singole lettere verso l’avanti di quelle vicine.
Siamo costretti ad alzarci da alcune lettere (la l, h, t, ecc), ad abbassarci da altre(la p, g, q, ecc), terminiamo una parola, ne iniziamo un’altra, e ci dirigiamo verso il bordo destro del foglio a conclusione dell’esperienza di tutto il tracciato della riga, ricominciandone poi un’altra con un altro punto di inizio, e così via per tutta la pagina.
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