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28/01/2020Il lutto richiede un percorso di elaborazione per essere superato.
Il lutto è uno stato psicologico che segue la perdita di una persona significativa che ha fatto parte della vita di qualcuno. La perdita di una persona amata non è mai semplice da superare e a volte può assumere caratteristiche patologiche.
L’esperienza della perdita è vissuta diversamente da persona a persona. È quindi difficile stabilire quali siano le reazioni psicologiche che possono insorgere così come individuare i tempi di elaborazione della perdita, che possono essere quantificabili in mesi o anni.
Le fasi della Ross
Nel 1969, la psichiatra svizzera Elizabeth Kübler Ross ha formulato una teoria sulle fasi di elaborazione del lutto, attualmente seguite dalla psicologia.
Ci sono poi numerose varianti della psicologia più moderna che cambiano il nome delle diverse fasi ma, in sostanza, le cinque fasi del lutto rappresentano un cammino ben preciso che ogni persona si trova ad affrontare dopo la perdita.
Gli stadi del lutto, le modalità, le reazioni e i tempi di elaborazione possono ovviamente essere diverse da caso in caso. Non è definibile a priori la durata dell’intero processo perché dipende molto dalla capacità, volontà e resilienza di ogni persona.
Inoltre, le fasi di elaborazione di un grande dolore non sono sempre così lineari e correlate.
Il lutto non riguarda solo la morte di una persona, può essere la perdita dovuta ad una separazione o ad un abbandono, la fine di un amore importante. In tali casi si parla di “lutto da separazione”.
In psicologia, il termine “lutto” indica lo stato d’animo che si vive in seguito alla perdita di una persona cara. Questo doloroso processo psicologico può innescarsi anche nel caso di una rottura di una relazione su cui si era investito molto.
La fine di una relazione causa la perdita di una persona cara, anche se viva, e può influire in modo rilevante sulla nostra vita mettendo in crisi la sfera privata e professionale.
Le 5 fasi del lutto
Sono cinque le fasi del lutto e gli stadi che una persona si trova ad affrontare dopo la perdita di una persona cara, o la fine di una storia importante, tutte queste fasi sono necessarie per metabolizzare il dolore e per trovare la forza di andare avanti.
Queste fasi sono: Negazione, Rabbia, Patteggiamento, Depressione e Accettazione.
Fase della negazione
Quando affrontiamo una perdita che ci causa molto dolore il nostro organismo cerca di difenderci da una simile sofferenza, negandola. Neghiamo quindi l’accaduto a causa dello stato di shock dovuto alla perdita.
Emotivamente si osserva un’assenza di reazione: la persona è consapevole di ciò che è successo ma non vuole, e non può, accettarlo. Il trauma è talmente forte che non sentiamo quel dolore che lo dovrebbe accompagnare.
Fase della rabbia
Quando cominciamo a renderci conto di ciò che è accaduto, iniziamo a provare rabbia, a chiederci cosa abbiamo fatto per meritarci questa sofferenza, a sentirci arrabbiati con chi ci ha ferito e con la vita stessa.
Tendiamo a dare la colpa a qualcuno perché pensiamo che la situazione sia ingiusta. Può capitare di sentirci responsabili in qualche modo perché non siamo riusciti a evitare la perdita.
La fase della rabbia può essere considerata positiva perché, se qualcuno scatena in noi questo sentimento, finiamo con il volerlo evitare e cercare di farlo uscire dalla nostra vita. Dobbiamo però stare attenti a non rimanere bloccati nella rabbia perché finirebbe per ritorcersi contro di noi.
Fase del patteggiamento
La nostra mente per tornare a sopravvivere, in questo momento di grande dolore, inizia a patteggiare.
È il momento in cui cerchiamo di capire cosa siamo in grado di fare e in quali situazioni possiamo di nuovo di investire emotivamente. Cerchiamo di riprendere il controllo della nostra vita buttandoci su altro, su nuovi progetti e nuove amicizie.
La perdita, tuttavia, non è ancora stata elaborata e il dolore può ritornare da un momento all’altro: è il periodo degli “alti e bassi”, dei giorni sì e di quelli no.
Fase della depressione
L’alternarsi di momenti di dolore e tentativi di reagire ci porta a cadere in un continuo stato di tristezza. In questa fase iniziamo a prendere atto di ciò che abbiamo perso.
Il dolore fa ancora tanto male, è vivo, forte e presente. Le conseguenze sono anche a livello fisico: è possibile che compaiano mal di testa, aumento o perdita del peso corporeo, irritabilità, insonnia o sonnolenza.
Fase dell’accettazione
Il tempo cambia le cose ci permette di completare il processo di elaborazione del lutto. L’ultima fase consiste nell’accettare la perdita: è l’unico modo per reagire e sentirci pronti a riprendere in mano la nostra vita.
Ritorna l’interesse per le persone e i progetti e soprattutto smettiamo di colpevolizzarci. A questo punto siamo riusciti a comprendere la perdita, a voltare pagina.
Ciò non significa dimenticare la persona cara o non provare più dolore; vuol dire andare avanti nonostante la sofferenza, dando un senso a quella perdita, continuando ad alternare momenti di felicità o momenti di tristezza, ma in modo sempre più tenue ogni giorno che passa.
L’elaborazione del dolore
L’elaborazione del lutto è il processo di rielaborazione legato alla perdita di una persona cara. Può essere molto doloroso ed è solitamente caratterizzato da sentimenti come tristezza, rabbia, colpa o senso di vuoto.
Elaborare la perdita è fondamentale per poter riprendere a vivere nuovamente con serenità e per evitare che questa situazione possa cristallizzarsi e creare un trauma che può ripresentarsi nel futuro, sfociando in sintomi e disturbi.
L’unico modo per uscire da una situazione di perdita è accettarla e reagire. La cosa fondamentale di cui abbiamo bisogno è il tempo. Il tempo cura ogni sofferenza.
Deve passare il tempo: il dolore non scomparirà ma si addolcirà e la vita, in un modo che oggi sembra impossibile, andrà avanti.
Bisogna considerare il lutto e la perdita allo stesso modo di come vengono considerate qualsiasi ferita fisica, cioè, bisogna disinfettarla e curarla. A volte si ritiene che le ferite del cuore, quelle emotive, abbiamo bisogno di meno cure e che guariscano da sole.
In realtà non è così, anzi spesso sono quelle che richiedono maggiori attenzioni.
È di fondamentale importanza arrivare a imparare qualcosa dalla situazione spiacevole, il rischio altrimenti è che la ferita si rimargini ma in modo superficiale per riaprirsi facilmente in occasioni simili di perdita.
Ogni attività potenzialmente in grado di suscitare interesse o procurare piacere va incentivata, compreso il lavoro.
Soprattutto se è sempre stata una fonte di stimoli positivi e mette in contatto con colleghi gradevoli e sensibili, riprendere l’attività lavorativa può essere una vera e propria àncora di salvezza, perché non c’è niente di meglio che riprendere la vita di tutti i giorni e vedere che tutto prosegue lungo gli assetti consolidati per capire che le cose possono ritrovare un loro ordine e una loro ragion d’essere.
Un altro errore da evitare è ignorare o, peggio, inibire, i segnali di ripresa emotiva. Ricominciare a provare piacere in quel che si fa o amore per le persone nuove che si incontrano non è ingiusto nei confronti di chi non c’è più, né è il segno di averlo amato poco o di amarlo di meno.
Di questo bisogna essere profondamente consapevoli e coltivare ogni minima emozione positiva come un dono di cui sarebbe ingiusto privarsi.
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10 Comments
TUTTO VERO, TRANNE SE STIAMO PARLANDO DELLA MORTE DI UN FIGLIO. NON SI ACCETTERA’ MAI.
Ha ragione Carmela, il dolore di perdere un figlio deve essere insopportabile ed indimenticabile per chi quel figlio lo ha amato veramente.
Ma il dolore può attenuarsi col tempo, rimane il ricordo, il vissuto, i pensieri ed i sogni che accompagnavano quel figlio, ma la sofferenza deve col tempo diventare sempre un po’ più leggera.
Questo non significa dimenticare o dare meno importanza ad un fatto tanto devastante, ma non si può vivere sempre col cuore straziato, ad un certo punto occorre arrendersi all’inevitabile e al fato che ha cambiato la sua vita per sempre.
Solo così si può continuare a vivere, soffrendo per il ricordo, ma vivere, come penso che suo figlio avrebbe voluto per lei, una mamma tanto speciale.
Marilena
Ho 50 anni sono sposato ed ho un figlio di 11 anni , un mese e mezzo fa é deceduta mia madre dopo un periodo di grave malattia durato quasi 2 anni durante i quali l ho assistita in tutti i modi che ho potuto in quanto mio padre 80 anni da solo non riusciva.Mia moglie, con cui siamo assieme da circa 20 anni, in questa situazione mia moglie si é sentita posta in secondo piano. Devo specificare che mia moglie 44 anni ha vissuto un infanzia infelice fatta da continue liti e separazioni dei suoi genitori questo le ha causato dei traumi infantili presenti ancora oggi.conseguenza di questo lei ha un continuo bisogno di conferme per sentirsi realizzata ed amata. Questo in tutti questi anni ci ha creato delle discussioni in quanto non sempre io riuscivo a darle queste sicurezze nel modo e nella forma da lei cercate.Chiaramente il periodo di malattia di mia madre non ha aiutato. Ora a 45 giorni dalla morte di madre, istante che ho vissuto personalmente e da cui non sono ancora riuscito a riprendermi mia moglie mi lascia dicendomi che non é più felice e vuole vivere un altra vita e tra 15 giorni trasloca con mio figlio . Ora a me é crollato un mondo già con la perdita di mia madre ed ora me ne é crollato un altro con la separazione…. la persona a me più vicina e da cui avrei dovuto avere sostegno é quella che più mi ha “tradito” colpendomi con un ulteriore dramma.al momento non so se ne uscirò e come, sono più che distrutto ed ho paura di non farcela,…… Unica luce mio figlio che mi cerca mostrandomi il bene che mi vuole e la sua tristezza per la situazione…..
Caro Fabrizio, tua moglie probabilmente soffre di dipendenza affettiva, e quindi ha, proprio come dici tu, un bisogno costante di essere considerata e rassicurata, tra l’altro il lutto di una madre amata non si può superare in pochi giorni, quindi hai ragione quando dici che avrebbe dovuto dimostrare un po’ di compassione e comprensione e questa volta esserti lei vicino a sostenerti…
Probabilmente le cose protrebbero sistemarsi da sole, perché è probabile che il suo allontanamento sia dipeso dalla paura di essere abbandonata o dimenticata (è questo pensiero che crea la dipendenza affettiva di cui parlavo) pertanto prova a cercarla, a rassicurarla sui tuoi sentimenti e a farle capire che la perdita di tua madre per te è stato un trauma pesantissimo…. nella speranza che comprenda.
Spero di esserti stata d’aiuto, diversamente contattami privatamente via mail.
Marilena
Mi chiedo se il problema non sia quello di non accontentarsi mai. In altre parole, se non ci accontentassimo di legarci ad una persona qualsiasi per paura di rimanere soli e cercassimo quel partner in cui riconoscerci in tutto per vivere con lui di un sentimento puro, finendo per trovarlo, non potremmo poi avvertire nel momento della perdita quel sentimento di vuoto incolmabile. Tanto è più rara la perla, tanto più difficile se non impossibile sarà sostituirla nel momento in cui si rovinerà…ma d’altronde mi chiedo – e le chiedo – chi mai sarebbe felice di barattare una collana di perle con una di perline!? Chi si accontenta, forse, chi sostituirà in breve una persona ad un’altra senza colpo ferire. Non sono i miei giudizi, ma solo riflessioni: tra il non soffrire ed il soffrire preferisco la seconda perché se hai perso qualcuno di veramente importante è giusto piangerlo, così come immaginare che se si fosse trattato di “uno qualunque” – uno che non avrebbe mai potuto regalarti le stesse emozioni che invece hai vissuto – non lo piangeresti allo stesso modo. Amanti, familiari, amici: illudersi sulla presenza del defunto è sbagliato, ma continuare a “vederlo” in tante piccole cose del quotidiano è un rammentarci di quanto lui era speciale per noi e di quanto lo fossimo noi per lui. Un presente può esser in misura ridotta fatto anche da quei ricordi e che son cosa che “scalda” molto meglio di chi si accontenta e si fa scaldare da un rimpiazzo. Avere un bagaglio anche se ingombrante è sì avere un peso, ma anche un tesoro. Avendo una sola vita non posso né voglio vivere una vita perfetta o asettica, ma mettere il cuore, il sudore e le lacrime lì dove è giusto metterle e se è il caso di piangere, piangere. A 46 anni ho capito che di qualcosa prima o poi bisogna pur morire e che morire non è il più grande dispiacere quanto pensare al dolore che lasci nei cuori di chi ti ha amato. Ma se pianti un seme nel loro cuore, vivrai dentro di loro per tutta la loro vita e non saranno mai soli.
Verissimo caro Andrea, ogni persona è speciale per qualcuno e noi mai dovremmo accontentarci di sopravvivere o di adattarci tanto per non essere soli, come dice lei la vita è già di suo piena di difficoltà e troppo breve per sprecarla con chi non ci merita.
Le auguro di innamorarsi presto, se già non lo è, e di essere felice sempre, sia grazie a se stesso sia grazie alle persone valide di cui vuole circorndarsi.
Marilena
Sono perfettamente d’accordo con le tue parole. Io avevo proprio trovato quella perla quando pensavo di non poterla più trovare. E dopo tre anni e mezzo è spiegata improvvisamente davanti a me. Non so se ce la farò ad andare avanti
Ce la farà, ce la farà sicuramente.
Creda di più in se stessa, cara Viola, e dentro di sè troverà la forza per superare anche i momenti più brutti.
Nel caso abbia bisogno di sostegno o di aiuto io ci sono per lei, mi contatti pure.
Le auguro di trovare presto la strada della serenità.
In bocca al lupo.
Marilena
Può essere considerato un lutto anche le restrizioni o le limitazioni che la pandemia del Covid-19 ci sta imponendo?
E’ una cosa diversa, sono restrinzioni della libertà a cui non siamo abituati, sono fonte di stress, ansia, disturbi relazionali e tante altre cose, ma se ci si organizza mentalmente si può evitare di cadere nell’oblio
Marilena